Quest’anno la famiglia Ligresti ha deciso di passare la mano sulle Generali. Così, all’assemblea degli azionisti del gruppo del Leone di sabato 28 aprile, nessuno si è presentato a far valere i diritti sul pacchetto che, almeno fino a un anno fa, ammontava all’1,11 per cento. Allora, l’amministratore delegato di Fonsai, Emanuele Erbetta, aveva spedito a Trieste come rappresentante di Fonsai il fratello Vittorio, in qualità di collaboratore della compagnia per la funzione «M&A, partecipazioni ed estero». Dall’assemblea delle Generali del 2011, tuttavia, è cambiato il mondo, almeno per la compagnia assicurativa che, al momento, fa ancora capo alla famiglia Ligresti (attraverso il 36% nel portafoglio della holding quotata Premafin). Non solo, infatti, in occasione dell’accordo stipulato con Unicredit la scorsa estate, i Ligresti si sono impegnati con l’Antitrust a cedere la partecipazione nel gruppo triestino entro fine 2012, ma ora a rendere il quadro ancora più complesso è l’operazione di maxi-aggregazione tra il gruppo Fonsai e Unipol, bloccata dopo l’avvio dell’istruttoria della stessa Authority. Senza contare che la famiglia siciliana e la compagnia bolognese non sono ancora riuscite a raggiungere un accordo sul valore dei concambi di fusione. Tutto sembra quindi deporre a favore della tesi che il management di Fonsai lo scorso weekend avesse ben altro a cui pensare che non all’assemblea Generali. Oppure, considerando che l’Antitrust nell’avviare l’istruttoria sulla fusione con Unipol ha messo nel mirino anche i rapporti con il Leone (l’anello di congiunzione sarebbe Mediobanca, primo socio di Generali al 13,24% e grande regista, anche per via di un’esposizione non marginale verso le due compagnie, dell’operazione Fonsai-Unipol), la società guidata da Erbetta potrebbe aver ritenuto più opportuno stare defilata evitando di presentarsi in assemblea e di gettare ulteriore benzina sul fuoco in un momento in cui già la decisione dell’Antitrust fa discutere negli ambienti finanziari. C’è, però, un’altra possibilità: che quel pacchetto dell’1,11% del Leone possa non essere già più nel portafoglio di Fonsai. Se così fosse, la prima domanda da porsi potrebbe essere: chi è stato l’acquirente? Indizi al momento non ce ne sono, ma può essere utile ricordare che, stando alla lista dei soci presenti in assemblea, gli unici a rafforzarsi in maniera considerevole nel capitale delle Generali rispetto a un anno fa sono stati la cassaforte Delfin della famiglia Del Vecchio (passata dall’1,87% al 3%) e il fondo sovrano della Norvegia (dallo 0,49% all’1,79 per cento).