La scarsa adesione ai fondi integrativi porta al paradosso di prodotti che contano una decina di iscritti. Una situazione che fa lievitare i costi e che limita gli investimenti Da qui il pressing della Covip per una concentrazione del settore e una migliore governance
di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Bisogna dire addio ai micro-fondi. Lo chiede con forza il presidente della Covip, Antonio Finocchiaro, che tornerà a ribadirlo anche il prossimo 25 maggio quando presenterà a Roma la relazione annuale sul 2010: «In Italia ci sono più di 500 fondi, sono troppi. Basti pensare che più di 350 fondi sono preesistenti alla riforma del 1993. In Italia oggi ci sono fondi pensione con meno di dieci iscritti. È quindi necessario portare avanti un processo di concentrazione che consenta di aumentare i capitali investiti, abbassare i costi e incrementare il livello di trasparenza dei fondi. Per fare questo servirebbero controlli più frequenti e penetranti da parte della Covip. Noi oggi non abbiamo poteri di intervento. Possiamo fare una moral suasion. Ma non è sufficiente». I nano-fondi sono anche la conseguenza del mancato decollo della previdenza complementare. A fronte di 23 milioni di possibili aderenti fra lavoratori dipendenti privati, pubblici e autonomi, gli iscritti alle forme di previdenza complementare assommavano, a fine dicembre, a poco più di 5,3 milioni (5,4% in più rispetto a dicembre 2009): il 23% della platea potenziale rispetto a una media europea ben più alta, con punte ancora maggiori nei Paesi Bassi e in Svezia. In Gran Bretagna e in Olanda i fondi hanno asset pari anche al 130% del pil, mentre in Italia il rapporto tra patrimonio totale dei fondi pensione e il pil è pari solo al 4%, meno della Nigeria. Il tutto in un Paese che ha una capacità di risparmio tra le maggiori al mondo con un tesoro di mille miliardi soltanto in liquidità. Ma i fondi pensione costituiscono una quota poco superiore all’1% delle attività finanziarie delle famiglie, contro il 13% in Germania e il 27% negli Stati Uniti. Questo fa sì che oggi nel panorama italiano ci sia un universo di microfondi con patrimoni inferiori addirittura ai 10 milioni di euro e una manciata di iscritti (vedere tabelle). Questa situazione riguarda tutti: fondi negoziali, aperti e preesistenti. Dimensioni di questo tipo rappresentano un ostacolo all’efficienza perché non permettono economie di scala per quanto riguarda i costi, né un’adeguata diversificazione degli investimenti. «Il contenuto volume di risorse amministrate previene lo sfruttamento di economie di scala nella gestione; contribuisce all’adozione di strategie di investimento che sono assai prudenti: la quota di azioni e obbligazioni corporate nel portafoglio di questi investitori è in genere relativamente limitata», ha spiegato Giovanni Carosio, vicedirettore generale della Banca d’Italia, in un’audizione alla Camera. È per questo che da tempo Covip sottolinea la necessità di maggiore integrazione tra fondi pensione in modo da creare veri campioni nazionali. In particolare Finocchiaro auspica una progressiva riduzione del numero dei fondi preesistenti e aperti, da realizzare attraverso fusioni e concentrazioni. «Quanto ai fondi negoziali, andrebbe valutata la possibilità di creare un fondo intercategoriale capace di raccogliere le adesioni di lavoratori che operano nell’ambito di categorie numericamente limitate e di quelli autonomi. Qualche esempio esiste già. Per migliorare il rapporto con gli aderenti, in essere e potenziali, andrebbero individuate soluzioni idonee a tal fine», dice il presidente della Covip. I fondi preesistenti delle banche sono tra i più frammentati. Questo anche perché dopo le maxi fusioni tra istituti di credito tricolore i fondi pensione non sono stati a loro volta subito accorpati. Ma oggi diversi gruppi sono alle prese con la riorganizzazione dei comparti previdenziali. E’ il caso ad esempio del gruppo Mps che dopo le varie aggregazioni degli ultimi anni si è trovato ad avere 10 fondi. «Il processo di aggregazione, in buona parte già realizzato, prevede che al momento del suo completamento la banca comprenda nel proprio perimetro tre sole forme di previdenza complementare», spiega Moreno Guarguaglini, direttore responsabile di due dei principali fondi pensione del Monte dei Paschi di Siena. Anche Intesa Sanpaolo è alle prese con la razionalizzazione dei propri fondi pensione che sono oltre 30, ma i primi sette coprono oltre il 90% delle masse gestite pari a 7,1 miliardi. Tra i motivi alla base di quest’intervento c’è «la difficoltà a utilizzare nuove asset class che richiedono maggior presidio e dimensioni non adatte a fondi di limitate dimensioni», sottolinea Pietro De Sarlo, responsabile welfare del gruppo Intesa Sanpaolo. Dopo aver effettuato una prima fase di razionalizzazione, oggi Intesa Sanpaolo ha allo studio ulteriori interventi con l’obiettivo finale di restare con quattro o cinque fondi di riferimento. La dimensione è fondamentale anche quando si fanno i conti con le scelte d’investimento. Come ricorda Finocchiaro: «La Covip ha prodotto una revisione del decreto del ’96 che è stata sottoposta all’attenzione del ministero dell’Economia, che la sta vagliando proprio in questi giorni. In buona sostanza la nostra proposta contiene tre novità. Innanzitutto chiediamo l’allargamento dello spettro di investimento dei fondi per andare a cogliere il valore presente oggi sui mercati, come ad esempio nei Paesi emergenti. Per fare questo, tuttavia, servono professionalità nuove, capacità di analisi e conoscenza dei mercati tali da consentire di limitare i rischi. Infine bisogna equilibrare il rapporto tra professionalità e rappresentanza all’interno dei fondi per aumentarne il livello di trasparenza. Se fossero applicate queste semplici modifiche, i fondi pensione potrebbero riprendere la corsa interrotta dalla crisi». Proprio sul fronte del corretto funzionamento dei fondi pensione, Covip nei giorni scorsi ha inviato a tutte le forme pensionistiche (fondi aperti, negoziali, pip e preesistenti) una circolare che riassume gli esiti di accertamenti compiuti nel corso dell’attività ispettiva condotta negli ultimi anni. L’obiettivo è far sì che ogni fondo valuti autonomamente se ci sono aree da migliorare nella sua attività. Serve un buon governo. In particolare la Covip rileva punti di debolezza che riguardano tutte le tipologie di fondi sul fronte della governance dove gli aspetti problematici riscontrati costituiscono poco più di un terzo del totale delle criticità rilevate. Le disfunzioni riguardano principalmente l’inadeguata interpretazione dei ruoli, la scarsa consapevolezza delle proprie attribuzioni e la non corretta operatività degli organi rispetto a prescrizioni normative. Anche nell’assetto organizzativo la Covip rileva punti di debolezza che coinvolgono tutte le categorie di fondi. In questo campo, che raccoglie oltre la metà del totale delle criticità rilevate, le disfunzioni riguardano principalmente l’esercizio delle funzioni di responsabile del fondo e la gestione operativa. Mentre meno presenti sono le disfunzioni in tema di trasparenza, anche se riguardano tutte le forme pensionistiche. In questo caso le principali criticità fanno riferimento a difetti di comunicazione verso gli iscritti e verso l’autorità di vigilanza come comunicazioni periodiche omesse, incomplete o inesatte o parziale applicazione della normativa in materia di collocamento del prodotto. (riproduzione riservata)