La speranza è sempre quella di un incremento delle adesioni alle forme di previdenza complementare, ferme al palo ormai da troppi anni. Nel 2010 le adesioni, al netto dei riscatti, sono salite appena del 4,3% a 5,3 milioni. Ma in attesa che gli italiani siano più incentivati (anche fiscalmente) a crearsi una pensione aggiuntiva a quella riconosciuta dallo Stato, la Covip, la commissione di vigilanza, sta lavorando per aumentare trasparenza e credibilità del comparto che, nonostante il lento sviluppo, è arrivato a gestire risorse patrimoniali per 83 miliardi. «Nell’attesa che si creino iniziative dirette a incrementare le adesioni la commissione ha rafforzato l’attività di vigilanza orientandola alla prevenzione dei potenziali rischi», ha dichiarato ieri il presidente della Covip, Antonio Finocchiaro, in occasione della relazione annuale dell’istituto. Un impegno tanto più importante in questa fase di mercato in cui, come ha sottolineato il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, «anche il miglior fondo può cadere nella tentazione di abbassare la guardia, optando per soluzioni a breve termine». Dalle rilevazioni risulta in particolare che gli investimenti obbligazionari dei fondi pensione di nuova istituzione, che rappresentano circa il 70% delle risorse gestite, sono caratterizzati da una duration molto breve rispetto agli impegni: nel 2010 di 3 anni e mezzo. Il problema è che una duration troppo breve aumenta il numero dei titoli in scadenza ogni anno, e quindi quello degli acquisti, ovvero la cosiddetta velocità di rotazione dei portafoglio che fa aumentare i costi di negoziazione a danno dei rendimenti riconosciuti agli iscritti. Per questo motivo la Covip è pronta a chiedere ai fondi di indicare nel documento di politica d’investimento sia la duration prevista sia la misura di turnover, oltre agli obiettivi in termini di rendimento lordo e alla perdita massima accettabile.
Nelle ispezioni che hanno coinvolto forme pensionistiche complementari dal 2005 e che si sono intensificate negli ultimi anni, sono emerse inoltre carenze di tipo organizzativo, legate in particolare alla funzione del responsabile della forma pensionistica. Le problematiche, in particolare, hanno riguardato per il 52% l’assetto organizzativo, per il 34% la governance, per il 10% la gestione delle risorse finanziarie e solo per il 5% la trasparenza nei confronti dell’autorità di controllo e degli iscritti. E per alcuni fondi preesistenti a prestazione definita (o a contribuzione definita), in un numero limitato di casi, sono stati rilevati squilibri tra l’entità degli attivi del fondo e le riserve tecniche. Squilibri che dovranno essere eliminati il prima possibile.
Per quanto riguarda l’incentivo alle adesioni, Finocchiaro ha chiesto alle istituzioni e alle parti sociali di rilanciare il settore considerando anche che la flessione dei redditi delle famiglie connessa con la crisi ha determinato «un forte aumento» delle sospensioni dei versamenti contributivi: alla fine del 2010 hanno quasi raggiunto un milione di unità, a fronte delle 840 mila del 2009. E nel quadriennio 2007-2010, gli iscritti che hanno smesso di versare ai fondi sono raddoppiati, a causa soprattutto della riduzione del reddito dei lavoratori autonomi. Per il rilancio servirebbe mettere mano alla riforma fiscale, magari allineando i prodotti previdenziali ai fondi comuni. L’occasione per riaprire il dossier potrebbe essere la futura riforma del fisco ma Sacconi, proprio ieri, ha messo le mani avanti chiarendo che in ogni caso non dovranno esserci «ulteriori oneri per lo Stato». Sul fronte delle performance, infine, a fine 2010 i rendimenti delle forme pensionistiche complementari sono risultati positivi e superiori alla rivalutazione del Tfr, attestatasi al 2,6%: le perdite subite nel 2008 sono state quindi sostanzialmente recuperate. In particolare, i fondi pensione negoziali hanno ottenuto un rendimento del 3% e i fondi pensione aperti del 4,2%. (riproduzione riservata)