Se il problema è di speciale difficoltà servono dolo e colpa
 di Pamela Pennesi e Giuseppe Ripa  

Il rischio per i professionisti di essere sanzionati è tutt’altro che remoto; sia direttamente che per concorso di persone che come autore mediato dell’illecito tributario. E dunque tali soggetti devono e attrezzarsi per evitare le sanzioni relative alle violazioni commesse in prima persona dal contribuente-cliente. A oggi, infatti, non è rara la giurisprudenza intervenuta a sancire la colpevolezza a vario titolo del consulente tributario sia in ambito civile, amministrativo che penale. Così il soggetto può dover rispondere di uno dei reati tributari di cui al decreto n. 74 del 2000 o incorrere nella responsabilità civile che trova origine negli artt. 1176 e 2236, c.c. o ancora scontrarsi con la responsabilità di natura fiscale diretta nelle situazioni in cui il consulente stesso è parte attiva nel perfezionamento dell’illecito, magari inducendo il cliente a trasgredire la normativa.

Tutto ciò a dimostrazione del fatto che è indispensabile porre particolare attenzione alle modalità di svolgimento dell’attività consulenziale che, chiaramente, deve essere condotta con la diligenza professionale richiesta. D’altronde non è infrequente che il cliente cerchi di addossare la colpa della violazione sul professionista al solo fine di affrancarsi dalle sanzioni; ciò a dimostrazione dell’importanza di difendersi attraverso documenti e prove concrete che diano conto del proprio operato, magari stipulando un mandato scritto che indichi i compiti che il consulente è chiamato a svolgere, oltre che, per esempio, la testimonianza di terzi soggetti o pareri scritti durate l’attività svolta.

Nel campo delle violazioni tributarie, sono gli artt. 5, 9 e 10 del decreto n. 472 del 1997, che interessano la figura del professionista.Così, in primis, le violazioni commesse nell’ambito della consulenza tributaria sono punibili solo in caso di dolo o colpa grave se i problemi si qualificano come di «speciale difficoltà». Se è chiaro che si ha dolo se sussiste la coscienza e la volontà di trasgredire, bisogna vedere in pratica quando l’atteggiamento colposo possa dirsi grave. Al riguardo soccorre il comma 3 dell’art. 5 del decreto citato secondo cui è grave il comportamento tenuto con negligenza e imperizia indiscutibili e quando non è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta evidente l’inosservanza di elementari obblighi tributari. In sostanza, si ritiene di considerare macchiato di colpa grave il soggetto poco avveduto.

Non è neanche facile individuare la «speciale difficoltà»; in linea generale con tale espressione si suole intendere l’ipotesi di questioni poste al consulente che investono situazioni o rapporti giuridici che l’ordinamento non conosce. Comunque il consulente non è esule da responsabilità nemmeno in caso di colpa lieve se le violazioni rientrano nell’ambito della ordinaria amministrazione.

Ma in pratica ciò che si osserva è la responsabilità del professionista chiamato a rispondere, ai sensi degli artt. 9 e 10 del decreto n. 472 citato, alla violazione del cliente a titolo di concorso o come autore mediato.

Rientra nel primo caso il comportamento attivo del consulente che contribuisce a realizzare la violazione del cliente a titolo di concorso materiale o anche meramente psicologico. Certo che, posta la presunzione di responsabilità in capo all’autore dell’illecito, sarà compito del cliente riuscire a provare l’effettivo concorso del professionista che, per esempio, nella sua attività ha consigliato di seguire un preciso percorso o perché ancora ha descritto un determinato comportamento come corretto.

Diversamente il contribuente, ai sensi dell’art. 10, potrebbe addirittura essere escluso dalla sanzionabilità perché si dimostra che il professionista è l’autore mediato ovvero colui che inducendo il cliente «in errore incolpevole», determina la commissione della violazione; e pertanto diventa l’unico responsabile dell’illecito. Si tratta dell’ipotesi in cui il cliente viene convinto dal consulente qualificato, nell’ambito dei compiti affidatogli, a eseguire un comportamento che in verità viola precise norme tributarie. In tal caso non è facile per l’autore materiale del fatto dimostrare la sussistenza dell’errore di cui non si ha colpa causato dal consulente al quale ci si è rivolti. In sostanza la responsabilità del consulente come autore mediato emerge quando l’errore si riferisce alle funzioni contemplate nel mandato, sussistono i presupposti della colpa grave o lieve e del dolo e al cliente, che ritiene senza dubbio esatto il suggerimento del consulente, non può venir eccepita una colpa in eligendo.