Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

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231, prescrizione su due binari

La prescrizione per il reato della persona fisica e quella per l’illecito amministrativo dell’ente corrono su binari paralleli. Per questo motivo, in caso di intervenuta prescrizione del reato presupposto (commesso dalla persona fisica), l’accertamento della responsabilità dell’ente ex decreto 231 deve avvenire “oltre ogni ragionevole dubbio” a opera del giudice, che dovrà verificare autonomamente la responsabilità della persona giuridica. Lo ha precisato la Cassazione nella sentenza n. 14343/2025, con cui è tornata pronunciarsi sul tema della prescrizione, affrontando il tema sotto un nuovo profilo e inserendosi in un filone giurisprudenziale diversificato, ma ugualmente univoco.
Ancora molto poco diffuse in Italia le polizze assicurative stipulate dalle imprese per garantirsi contro i danni da responsabilità ambientale. Infatti, solo lo 0,64% delle aziende possiede una copertura assicurativa contro i rischi per i danni causati alle risorse naturali. A rilevarlo è il focus curato da Pool Ambiente, consorzio di coriassicurazione nato nel 1979 dopo il disastro ambientale di Seveso, sulla base dei dati della seconda rilevazione statistica recentemente condotta da Ania, Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici, sulla diffusione delle polizze di responsabilità ambientale in Italia. «La diffusione delle polizze assicurative per danni ambientali tra le imprese italiane è limitata da molteplici fattori, spesso interconnessi», osserva Tommaso Ceccon, presidente di Pool Ambiente. «Un ostacolo significativo è rappresentato da pregiudizi e concezioni errate che persistono nel nostro paese tra aziende, intermediari assicurativi, media, consumatori e istituzioni. A eccezione della regione Veneto, che impone obblighi nel settore dei rifiuti, in Italia non esistono altre normative che rendano obbligatoria la stipula di queste polizze. Inoltre, gli obblighi previsti da regolamenti europei, come la direttiva sulle emissioni industriali, non trovano concreta applicazione nel nostro paese. La nostra speranza è che nei prossimi anni ci sia un notevole aumento della diffusione delle polizze di responsabilità ambientale. Per ottenere ciò dovrebbero essere attivate delle azioni mirate in questo senso, in particolare per contribuire allo sviluppo di una maggiore cultura del rischio ambientale».
Mentre fino a oggi le responsabilità dei sindaci erano sostanzialmente parametrate a quelle degli amministratori a seguito della legge n. 35 dello scorso 28 marzo (vigente dal 12 aprile), oggi, fra le due tipologie di responsabilità sono state introdotte delle differenziazioni sia in tema di massimali che di termini prescrizionali. La responsabilità dei sindaci nei confronti della società e dei soci è di natura contrattuale poiché deriva dal rapporto organico con la società. Essi oltre che al controllo sulla legge e sullo statuto sono tenuti a vigilare in merito al fatto che la gestione sia improntata a criteri di ragionevolezza economica, criteri che configurano un controllo di legittimità sostanziale. Dette funzioni determinano una responsabilità per i sindaci qualora gli amministratori compiano operazioni manifestamente imprudenti e prive di logiche economiche e l’organo di vigilanza ometta di formulare i propri rilievi e attivare i propri poteri di reazione
Un mondo senza lavoro si può solo sognare. Quello con pochi rischi e più sicurezza sul lavoro, invece, potrebbe presto diventare realtà grazie all’ottimizzazione dell’intelligenza artificiale. I sistemi basati su IA e robotica, infatti, poiché in grado di compiere azioni e di svolgere compiti, anche con una certa autonomia, potrebbero prendere il posto dei lavoratori negli ambienti più rischiosi e in quelle mansioni più pericolose. Il risultato? Un mondo nuovo e un nuovo modo di lavorare: i sistemi IA applicati nei compiti ripetitivi, a più alto rischio di sicurezza; i lavoratori impiegati in funzioni meno rischiose e a contenuto creativo. L’idea convince l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, che ha elaborato in questi termini la strategia UE-OSHA per il periodo 2025/2034, affrontando le problematiche in evoluzione in materia di sicurezza sul lavoro (SSL), in conseguenza degli importanti sviluppi sociali, quali la transizione digitale, la transizione verde e l’invecchiamento della forza lavoro. Una «rivoluzione» della sicurezza sul lavoro, grazie all’intelligenza artificiale e alla digitalizzazione nel mondo del lavoro, è anche il tema della «Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro 2025», istituita dall’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro), celebrata quest’anno il 28 aprile
Negli ultimi anni, termini come smart working, lavoro agile o workation sono entrati stabilmente nel lessico lavorativo. Queste nuove modalità di lavoro portano con sé opportunità e competitività, ma anche nuove responsabilità e rischi, soprattutto in termini di salute e sicurezza. Il concetto di luogo di lavoro non è più legato solo a uno spazio fisico aziendale. Può trattarsi della propria abitazione, una seconda casa, una biblioteca o uno spazio di coworking. La smaterializzazione dello spazio lavorativo pone però degli interrogativi: come deve essere gestita la sicurezza? Il lavoro agile, regolato dalla legge n. 81/2017, prevede che il lavoratore sia tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore. Il legislatore, infatti, non ha previsto un trasferimento sul lavoratore dell’onere di prevenzione e protezione di sé stesso. Il fenomeno del workation, dall’unione di work e vacation, è forse la rappresentazione più significativa. Sempre più persone scelgono di lavorare da località di vacanza e sempre più aziende lo concedono. L’obiettivo? Unire produttività e benessere. Ma in questi casi i rischi possono essere ancora più complessi: strutture non adeguate, connessioni instabili, postazioni ergonomicamente scorrette, isolamento sociale, confusione tra il tempo lavorativo e il tempo libero. In assenza di previsioni normative puntuali, il datore di lavoro deve comunque adottare misure preventive, fornendo indicazioni chiare sull’organizzazione del lavoro, sulla gestione del tempo e sull’allestimento delle postazioni.  Un altro aspetto centrale è la salute psicologica.

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Alla sicurezza negli ambienti di lavoro va appena lo 0,4% dei bilanci delle Asl: 400 milioni su 10 miliardi. Lo racconta una ricerca Uil sui bilanci di 83 aziende sanitarie locali sul totale di 110 che sarà presentata domani. Troppo poco per fare molte cose importanti: dalle ispezioni alle autorizzazioni, dalle visite mediche alle indagini su infortuni e malattie professionali. In Italia si investe poco sulla sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori. Non bastano i 1.077 morti del 2024 a cambiare rotta, in crescita del 5% sull’anno prima: tre al giorno compresi i festivi. Non bastano i 133 morti dei primi due mesi di quest’anno, già il 13% in più dell’anno passato quando furono 118. Crescono gli infortuni. Dilagano le malattie professionali: +22% l’anno scorso a quota 88.499. Lavorare in Italia significa sempre più rischiare la vita e la salute.

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La tanto attesa assemblea di Generali si è conclusa all’insegna della continuità, portata avanti dal primo azionista privato al 13% del capitale, Mediobanca. Come nel 2022, quando la lista del cda uscente aveva prevalso su quella di maggioranza concorrente presentata dal socio Francesco Gaetano Caltagirone, anche nel 2025 a fare la differenza è stato il mercato. Cioè i fondi internazionali che nel loro complesso pesano per il 30-32% del capitale della compagnia e che in entrambi i casi hanno votato compatti a favore delle liste del cda (nel 2022) e di Mediobanca (2025). Non una delle preferenze dei fondi è andata alle liste presentate da Caltagirone che hanno invece raccolto consensi tra i soci privati della compagnia, come Delfin (la finanziaria della famiglia Del Vecchio), Fondazione Crt, Edizione della famiglia Benetton (che nel 2025 si è però astenuta).
Il Banchiere Anziano non è affatto sorpreso. Il voto degli azionisti del Leone Alato di giovedì scorso non era scontato, ma quasi. Dopo l’ipotizzato sostegno dei grandi fondi Blackrock e Vanguard alla lista della maggioranza guidata da Mediobanca era praticamente impossibile un ribaltone, favorevole alla lista di Caltagirone e Delfin. Così, per l’ennesima volta, fallisce l’assalto al cielo della minoranza romano-veneta, tentato inutilmente già tre volte in questi anni. «Questa roba mi ricorda gli scontri tra Cuccia e Prodi ai tempi delle privatizzazioni delle tre banche d’interesse nazionale Credit, Comit e Banco Roma – dice il Banchiere Anziano – con il Professore dell’Iri che sognava le public company e il Grande Vecchio del Salotto buono che voleva i nuclei duri: alla fine vinceva la merchant bank, che sulla piazza finanziaria si sapeva muovere come pochi. Oggi è un po’ la stessa cosa: sui mercati aperti Piazzetta Cuccia non la batti, ma la politica può fare la differenza…». E qui siamo alla logica del primo tempo. Nonostante la conferma quasi scontata dei vertici della compagnia, in assemblea c’è stata una novità piuttosto clamorosa: la mossa di Unicredit, che invece di astenersi – come era parso probabile – ha deciso di portare la sua quota del 6,51 per cento a sostegno della lista di minoranza. Come del resto ha fatto la Fondazione Crt. «Per carità – chiosa il Banchiere Anziano – sempre “con le migliori intenzioni”, come scrive Alessandro Piperno in quel suo strepitoso romanzo di qualche anno fa: nessun desiderio di destabilizzare Generali, anzi l’obiettivo è quello di migliorarne la gestione, e via via cianciando del solito nulla retorico. La realtà è un’altra.
A ciascuno il suo fondo pensione. Più o meno esposto ai titoli di Stato o, al contrario, alle azioni. Con rendimenti negli ultimi dieci anni più o meno alti: a volte zero assoluto e altre volte il 4,7% medio annuo che è un’ottima performance di lungo termine. Oppure più o meno “sicuri”, con strumenti che hanno la garanzia di non avere mai un segno meno, e altri che mostrano talvolta risultati negativi. Insomma, c’è spazio per tutti. Si può andare alle stelle o finire nella polvere. Dipende naturalmente dagli investimenti che i singoli fondi (chiusi, aperti e Pip assicurativi, i tre strumenti a disposizione) fanno. Una recente audizione dellapresidente facente funzione della Covip, Francesca Balzani, alla Commissione parlamentare di controllo degli enti pensionistici, ha dato una lettura aggiornata di questi dati, aggiungendo nuovi particolari. E aprendo a scenari inediti che potrebbero presto concretizzarsi grazie alla decisione della Ue di riformare l’approccio agli investimenti dei fondi pensione.

Le vie del capitalismo italiano sono infinite. E in questi giorni trovano sentieri sconosciuti e alleanze inedite, come quella tra l’Unicredit di Andrea Orcel e il gruppo che fa capo a Francesco Gaetano Caltagirone nelle votazioni per il consiglio delle Generali. Ennio Flaiano sosteneva che in Italia è impossibile fare una rivoluzione perché ci si conosce tutti. Aggiungiamo al celebre aforisma dello scrittore, grande firma del Corriere, che nel mondo dell’alta finanza tutti si fingono amici di tutti. Si danno tutti del tu. Ma se un tempo l’appartenenza alle diverse sfere di influenza (laica e cattolica per esempio) rendeva avventurosi i tradimenti, oggi questi hanno un costo relazionale e di potere infinitamente più basso. Più liberi, sciolti. C’è il mercato, le authority, il governo. Ma è molto difficile, se non impossibile, scegliere accontentando tutti. Mediobanca sta provando sulla propria pelle che cosa significhi la perdita di centralità politica. Oltre al fatto di non essere più lo snodo unico e irrinunciabile di ogni grande operazione finanziaria. In altre stagioni quell’aulica centralità avrebbe reso impensabile, o comunque troppo pericolosa, qualsiasi azione di mercato aggressiva nei confronti di Piazzetta Cuccia.
Questa mattina, 28 aprile, se non ci saranno sorprese dell’ultimo minuto, inizierà l’offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit sulla totalità delle azioni di Banco Bpm, operazione che si concluderà il 23 giugno. Un arco di tempo lungo, ma inferiore al massimo concesso di 40 giorni. Unicredit ne utilizzerà 35. Le cautele della vigilia sono opportune, visto il panorama in cui va ad inserirsi l’operazione voluta da Andrea Orcel e considerata anche la rapidità d’azione e di reazione che caratterizza l’amministratore delegato di Unicredit, già impegnato dallo scorso settembre in un assalto simile che ha come obiettivo la tedesca Commerzbank e, più recentemente, protagonista nel rinnovo dei vertici delle Assicurazioni Generali. A Trieste, giovedì scorso, Orcel si è schierato con il fronte aperto dall’imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone che vede schierata anche la Delfin degli eredi di Leonardo Del Vecchio.
Il nuovo cda del Leone si riunirà oggi per deliberare sulla nomina delle cariche sociali e avviare il nuovo mandato triennale, sotto la guida del ceo Philippe Donnet e del presidente Andrea Sironi riconfermati giovedì dall’assemblea a Trieste. Per Donnet è il quarto mandato che si prepara ad affrontare con un piano strategico che promette 7 miliardi di dividendi agli azionisti più 1,5 miliardi di buyback. Ha incassato il consenso del mercato, che gli ha dato la maggioranza dei voti (52,38%) nell’ambito della lista di maggioranza proposta da Mediobanca.
Secondo molti analisti la pet economy è un settore «a prova di recessione». È cresciuto anche negli anni della pandemia, quando altri hanno tirato il freno. Le stime dicono che il comparto valga quasi 7 miliardi di euro l’anno. Ma potrebbe essere anche di più, soprattutto in prospettiva. Tre miliardi vanno per cibo e prodotti igienici (le sole lettiere per gatti valgono circa 100 milioni). Ci sono poi le spese veterinarie, che pesano in assenza di un sistema sanitario statale, anche se ci sono proposte di legge per introdurlo. Spuntano come funghi moderne cliniche, spesso in catena, che offrono prestazioni e specializzazioni di tipo ospedaliero. Il trend è aprirle nei centri commerciali o in abbinamento ai negozi di prodotti per animali. Salgono anche i servizi assicurativi, per responsabilità civile e mutua sanitaria, e quelli finanziari, con fondi di investimento mirati sulle aziende del pet.

Meno di cinque giorni freddi all’anno, in media, sul territorio nazionale. E, di contro, sempre più ondate di calore, notti tropicali e picchi di caldo estremo: nelle città del Nord le temperature giornaliere sono cresciute mediamente di 2,4°C rispetto al 2010 e l’impennata si è tradotta in fenomeni climatici estremi di magnitudo più elevata. Tra i più recenti, la forte tempesta che si è abbattuta lo scorso 17 aprile su Milano (prima delle vacanze pasquali), con raffiche fino a 67 km/h e alberi divelti che hanno evocato gli ingenti danni della notte tra il 24 e il 25 luglio 2024. A registrare l’aumento degli eventi climatici estremi sono i dati 3bmeteo, elaborati dall’ufficio studi del Sole 24 Ore: dall’analisi delle rilevazioni climatiche in 112 città capoluogo emerge la media mobile degli indicatori meteorologici per macro-area e il suo trend dal 2010 al 2024. «Per avere dei riscontri scientifici servirebbero più anni. Ma dalla serie temporale esaminata emergono già marcati segnali di come sia cambiato il clima negli ultimi anni», afferma Alessandro Conigliaro, meteorologo di 3bmeteo.
Sono cinque i nuovi indicatori che debuttano nell’Indice del clima del Sole 24 Ore, relativi a cinque parametri meteorologici che negli ultimi anni hanno cambiato la qualità della vita in molte città italiane. L’Indice del clima è stato pubblicato per la prima volta nel 2019 e rappresenta una elaborazione originale della redazione del Sole 24 Ore su dati forniti da 3bmeteo e riferiti ad oltre un decennio di performance climatiche rilevate sulla Penisola: il team di meteorologi della società del gruppo Meteosolutions ha collaborato all’ideazione e alla validazione dei 15 indicatori presi in esame che, insieme e tutti pesati allo stesso modo, contribuiscono alla definizione della classifica finale.