Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Welfare 2025 – che analizza i comportamenti di oltre 2.500 aziende e 500.000 lavoratori attivi sulla piattaforma ZWelfare, integrati con una survey qualitativa realizzata grazie a oltre 2.700 rispondenti tra lavoratori e responsabili HR- realizzato da DoubleYou, società specializzata nel welfare aziendale e parte del Gruppo Zucchetti, continua a crescere il credito welfare medio pro capite assegnato: lo scorso anno si è assestato a 1.030 euro, in aumento del 16% rispetto agli 890 euro del 2023.

Un incremento che si spiega sia con il diffondersi della cultura del welfare aziendale
anche tra le PMI sia grazie agli interventi normativi in materia di fringe benefit.

Ulteriori evidenze emergono se scomponiamo questo dato per dimensione aziendale,
genere e età:

  • mentre grandi e medie imprese erogano un importo medio simile (rispettivamente
    1.018 euro e 995 euro), le piccole imprese assegnano un credito più significativo
    (1.386 euro). Questa differenza è principalmente dovuta alla tendenza delle piccole imprese ad erogare fonti On Top maggiori;
  • le lavoratrici ricevono in media un credito del 10% più basso degli uomini (966 euro
    vs 1.069 euro), un dato che potrebbe riflettere il divario di genere delle politiche
    retributive in Italia;
  • l’importo tende a crescere con l’età e passa dai 794 euro della Gen Z (i nati dopo
    il 1997) ai 1.069 euro dei Baby Boomers (i nati prima del 1964). Questa differenza
    potrebbe spiegarsi con la tendenza di alcune aziende a prevedere importi aggiuntivi per chi ha maggiore anzianità di servizio o, più probabilmente, al fatto che i lavoratori più giovani hanno un inquadramento contrattuale o un job title, parametri spesso determinanti nello stabilire gli importi erogati, inferiori.

Guardando alla tipologia di fonte di finanziamento utilizzata (CCNL, conversione del Premio di Risultato o importo On Top), il 50% delle aziende erogano una sola fonte On Top, mentre emerge un incremento rispetto al 2023 per quanto riguarda le aziende che erogano un piano multifonte (38% del campione, rispetto al 26% dell’anno precedente).

L’85% delle aziende eroga un premio On Top – a indicare la predilezione per iniziative unilaterali o gestite tramite regolamento aziendale – il 33% un importo da CCNL, dato che dipende dall’adesione a un Contratto Collettivo che prescrive l’erogazione di importi in welfare, e il 30% un importo da conversione del PDR.

Le scelte dei beneficiari

Se nel 2023 i fringe benefit rappresentavano circa il 42% della spesa complessiva, nel  2024, l’utilizzo dei crediti welfare in fringe benefit sale a quasi il 60% della spesa
complessiva, un dato simile al 2022, quando alla fine dell’anno il massimale fu portato
in via eccezionale a 3.000 euro.

Questo aumento si è riflesso anche in una contrazione che ha interessato tutte le altre
voci di spesa, in particolare i rimborsi delle spese di istruzione (-6%), gli acquisti in viaggi e divertimento (-7%) e i versamenti a previdenza (-2%), che rappresentano il 33% del totale dei consumi contro il 48% del 2023.

Sembra quindi trovare conferma l’ipotesi per cui l’intervento legislativo di aumento del limite fiscale dei fringe benefit abbia portato anche a un assorbimento delle spese altrimenti dedicate agli altri flexible benefit.

A livello di scelte a seconda del genere, le differenze non sono elevate, tuttavia, mentre le lavoratrici tendono a destinare una quota superiore agli uomini al rimborso delle spese di istruzione (+3%) e al caring per familiari non autosufficienti (+1%), gli uomini versano
maggiormente a previdenza complementare (+2%), un dato che dovrebbe far riflettere
considerando che le donne, poiché soggette a una maggiore discontinuità di carriera,
trarrebbero particolare beneficio investendo maggiormente in queste iniziative e com
pensando così i periodi di minore contribuzione.

Differenze vengono registrate anche a seconda delle dimensioni aziendali: tra le aziende
medio-grandi vi è una maggior incidenza dei fringe benefit (60% vs 48%). Una possibile spiegazione potrebbe essere indirettamente legata al fatto che le piccole imprese erogano importi medi On Top più alti e quindi è più facile che la soglia dei fringe benefit venga saturata.

Analizzando le differenze generazionali, emerge che l’incremento dei consumi in fringe benefit ha interessato tutte le fasce di età, in modo progressivo: la quota è massima (78%) per la Gen Z e si riduce progressivamente con l’età, raggiungendo il minimo (51%) per i Baby Boomers, comunque superiore al valore del 2023.
Il dato riflette sicuramente le differenze di credito medio assegnato tra generazioni ma dipende anche probabilmente dalla minore stabilità economica dei più giovani, che trovano nell’acquisto di buoni spesa un ritorno immediato.

Altri trend interessanti:

  • tra i Millennials, troviamo la percentuale massima di utilizzo dei crediti welfare
    per i servizi legati ai viaggi e al tempo libero (17%) e, anche se più basso in termini
    assoluti, per le spese di caregiving (4%), derivante soprattutto alla presenza di figli
    nei primi anni di vita;
  • la Generazione X dedica il 17% dei propri consumi alle spese di istruzione, rivolta a
    figli che si trovano soprattutto in età scolare;
  • tra i Baby Boomers, infine, troviamo l’incidenza massima dei versamenti alla previ
    denza complementare (17%), ad indicare una maggiore attenzione per la pensione
    futura che tende a crescere con l’età.

L’Osservatorio Welfare 2025 ha anche voluto indagare il sentiment di lavoratori e aziende clienti in relazione ad alcuni temi, in particolare l’evoluzione dei bisogni futuri, le priorità di riforma del welfare e un focus rispetto alla digitalizzazione e al welfare territoriale.

Aumento del costo della vita e crescente attenzione al wellbeing sono due variabili che
negli ultimi anni sono diventate sempre più determinanti nella definizione dei contenuti
dei piani welfare.

I lavoratori attribuiscono la massima priorità all’aiuto contro il caro spesa e il caro energia
(53%), dato coerente con l’ampio utilizzo dei buoni spesa sul portale. Seguono l’educazio
ne e la formazione dei figli/e (31%), la prevenzione medica (30%), il tempo libero (29%) e il benessere fisico (23%).
Gli HR, invece, propongono un ordine di priorità parzialmente diverso: la prevenzione me
dica è considerata il bisogno primario (51%), seguita dal caro spesa (41%), con un divario
di 12 punti percentuali rispetto ai lavoratori. Anche l’educazione dei figli/e (33%) e l’incremento della pensione futura (32%) sono considerati prioritari dagli HR, mentre quest’ultimo aspetto è segnalato da una percentuale significativamente inferiore di dipendenti (16%).

Inoltre il benessere psicologico e la cura dei parenti anziani risultano più importanti per gli HR rispetto ai lavoratori (+12% e +18%), mentre lo spostamento casa-lavoro e il tempo libero sono percepiti come maggiormente prioritari dai dipendenti rispetto alle aziende (+10% e +13%).

Le differenze a livello di esigenze si notano ancora di più se si considerano le diverse generazioni.

Quali sono le aree di intervento più richieste?

All’interno dell’indagine è stato chiesto a HR e lavoratori di esprimersi rispetto all’importanza di alcuni possibili ambiti di intervento legislativo:
• l’estensione del rimborso diretto anche alle spese personali di formazione del dipendente, oggi possibile solo per i familiari indicati nell’art. 12 del TUIR;
• l’ampliamento delle fattispecie di rimborso ai servizi in sharing e alle ricariche elettriche;
• la semplificazione delle modalità di donazione del credito welfare assegnato agli enti
benefici;
• il rimborso delle spese di cura degli animali, tema su cui anche in passato sono state
presentate proposte di modifica in Parlamento;
• l’estensione dei servizi a rimborso anche al partner convivente non sposato (oggi è
obbligatorio il vincolo di matrimonio o l’unione civile per le persone dello stesso sesso).

I lavoratori esprimono una richiesta di maggiore libertà di rimborsare la spesa per la
formazione e l’aggiornamento professionale personale (65%). L’estensione dei benefici
al partner convivente raccoglie il consenso del 58% dei dipendenti, mentre il 47% ritie
ne importante l’inclusione delle spese veterinarie tra le fattispecie rimborsabili.

Gli HR, pur condividendo priorità simili, attribuiscono pesi differenti: il 51% sostie
ne l’ampliamento della formazione personale (con un gap negativo del 14% rispetto ai
lavoratori), mentre l’estensione dei benefici ai partner conviventi raggiunge il 63% (+5%
rispetto ai dipendenti). Le spese veterinarie raccolgono l’interesse del 40% degli HR,
sette punti percentuali in meno dei lavoratori, così come inferiore (-13%) è anche l’interesse per una semplificazione delle modalità di donazione ad enti benefici.
Per quanto riguarda l’ambito mobilità, sia i lavoratori che i referenti aziendali mostrano
un interesse inferiore per il rimborso della ricarica dei veicoli elettrici. Tuttavia, il 39% dei
lavoratori si dichiara favorevole al rimborso dei servizi di sharing, rispetto al 30% degli HR.

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