di Sante Agostinelli
Edward Page Mitchell, grazie al racconto “The Man Without a Body” del 1877, fu il primo scrittore a far conoscere il concetto di teletrasporto; tuttavia, sono stati i film di fantascienza che hanno reso famose le meravigliose opportunità che poteva creare.
Negli episodi di “Star Trek: Discovery”, serie televisiva arrivata in Italia nel 2017 e ambientata nel 32° secolo, il teletrasporto è stato poi interessato da un importante aggiornamento, la trasportabilità, permettendo così alle persone di portare con sé dispositivi personali per il trasporto istantaneo.
Quante volte abbiamo pensato quanto sarebbe stato bello possederne uno? Se godessimo di questo strumento quanto risparmieremmo di carburante per gli spostamenti, quanto si ridurrebbe l’inquinamento e soprattutto quanto tempo in meno ci metteremmo per raggiungere qualsiasi luogo? Questo ci permetterebbe di ridurre le distanze e farci conoscere da molte più persone. Che vantaggio competitivo darebbe a quei pochi privilegiati che lo potrebbero detenere?
In realtà questo dispositivo, seppur con aspetto e funzioni diverse, esiste già: si chiama piattaforma di video-conferenza. Certo, non ci trasporta fisicamente; tuttavia, ci permette di essere in pochissimi istanti in qualunque parte del mondo, facendoci risparmiare inquinamento, tempo e denaro. Eppure, in quanti ne stanno sfruttando davvero le potenzialità?
Mentre molte aziende stanno implementando sempre di più con questo sistema la loro forza di vendita, sono molti i consulenti che prediligono ancora di gran lunga il metodo tradizionale, cioè in presenza fisica.
Analizzando la questione dal punto di vista di chi opera sul campo, molti consulenti si aggrappano alla convinzione che in presenza sia molto più facile allacciare il rapporto umano con il cliente in quanto “nulla può sostituire un incontro fatto di persona”.
Più o meno è ciò che disse anche William Preece, ingegnere capo delle Poste britanniche, quando nel 1876 sostenne: “Forse gli americani hanno bisogno del telefono. Noi no: abbiamo tanti fattorini.”; oppure una dichiarazione uscita sul Time Magazine nel 1966 dove si sosteneva che “Lo shopping a distanza, benché fattibile, sarà un flop” (ditelo a Jeff Bezos!).
Volenti o nolenti, il futuro è già qui, presente tra noi da diverso tempo; tuttavia, noi ci ostiniamo ancora a fare le stesse cose. Esistono almeno due bias cognitivi che determinano questo tipo di comportamento.
Il primo è legato al concetto di attenzione selettiva (o filtro mentale), cioè quel meccanismo che ci porta a prestare attenzione a un solo elemento, spesso negativo piuttosto che positivo, invece di considerare la totalità della visione. Ad esempio, quando focalizziamo la nostra attenzione solo sugli aspetti che confermano le nostre idee stiamo applicando un filtro mentale.
Un ulteriore bias che ci porta a fossilizzarci su alcuni comportamenti sta nella convinzione che quando una cosa è difficile da sopportare, allora diventa automaticamente insopportabile, intollerabile. Questo meccanismo mentale porta a focalizzarsi maggiormente sul disagio, sulla difficoltà, rendendolo difficile da tollerare anche temporaneamente e anche qualora questo sforzo comportasse dei vantaggi sul lungo periodo.
Se non ci lasciassimo condizionare troppo da questi due bias e ragionassimo con tutte le informazioni che abbiamo a disposizione, allora potremmo iniziare con il chiederci cosa in realtà apprezziamo del contatto umano. La stretta di mano? La condivisione di un buon caffè? La facilità di percepire le sensazioni?
Forse è proprio questo il punto: siamo focalizzati sul fatto che la mancanza di certi rituali possa impedire di creare il rapporto fiduciario con il cliente. Tuttavia, non viene presa in considerazione la possibilità di trasformare questi rituali, adattandoli all’ambiente virtuale. Se è vero, infatti, che in una video-conferenza non possiamo stringerci la mano fisicamente, è anche vero che esistono altri mille modi per poter creare quel legame; si tratta solo di aggiornare le nostre competenze per conoscerli. Ad esempio, il sorriso si può mostrare anche in video, la scenografia alle nostre spalle e il dress code sono riportabili in termini di immagine anche nell’ambiente virtuale. Di fatto, il percepito in termini empatici è identico. Abbiamo a disposizione strumenti alternativi e aggiuntivi come la lavagna virtuale e la possibilità di condividere in diretta video, immagini e notizie senza disperdere tempo ed energie, tutto alla portata di un click. Ormai siamo abituati a essere stimolati da ciò che avviene online. Perché dovrebbe essere diverso in una trattativa svolta a distanza?
Questo significa che il vero nocciolo della questione è il “dover” apprendere un nuovo idioma comportamentale e relazionale, che si sposi con l’evoluzione digitale; e, per alcuni, questo richiede fatica. In realtà, basterebbe osservare questa opportunità nel modo giusto, entrando nell’ottica di considerare la video-conferenza come un vero e proprio teletrasporto. Allora, forse, affronteremmo con molto più entusiasmo le potenzialità che il futuro ci ha messo a disposizione. Lo stesso entusiasmo che ha caratterizzato un commesso viaggiatore nel prendere la patente, intuendo che l’automobile gli avrebbe permesso di ricoprire maggiori distanze e incontrare molti più clienti.
Di quante opportunità in più hanno goduto coloro che si sono adattati per primi al cambiamento, rispetto a chi si è ostinato a muoversi con il carretto trainato dai cavalli?
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