Paola Valentini
Inflazione alle stelle e borse in calo. Una congiunzione decisamente poco favorevole si è abbattuta sui mercati nel primo trimestre di quest’anno mettendo in difficoltà i risultati dei fondi pensione rispetto alla rivalutazione del trattamento di fine rapporto che resta in azienda. Questo si apprezza costantemente sulla base di un meccanismo legato all’andamento dei prezzi (che ricorda la scala mobile degli stipendi attiva dal dopo guerra e abolita nei primi anni 90), ovvero dell’1,5% fisso annuo più il 75% dell’indice di inflazione Istat. Risultato: nel primo trimestre sulla base delle anticipazioni sulla dinamica dei prezzi al consumo di marzo, il tfr ha registrato un rendimento netto del +2,4%, considerando la tassazione che è più leggera (17%) di quella che grava sui rendimenti dei fondi pensione (20%). Ma anche guardando al dato lordo (+2,9%) non c’è stato verso per i gestori previdenziali di battere il tfr. Non solo nessuno ha superato la buonuscita, e i risultati si sono tinti tutti di rosso. Per i negoziali, in base ai valori raccolti da MF-Milano Finanza, sulla quasi totalità dei fondi sul mercato, il risultato medio è stato negativo e pari al -2,9%. I motivi sono sotto gli occhi di tutti. La doccia fredda dell’inflazione ha provocato attese di aumento dei tassi, negli Usa già avverate, e così sui bond è scattata un’ondata di vendite sulle previsioni di aumento del costo del denaro da parte delle banche centrali ancora una volta impegnate nella lotta all’inflazione, questa volta però per raffreddarla dopo aver trascorso anni, invano, a rianimarla. Ma il Covid prima e la guerra poi hanno creato terreno fertile per un aumento dei prezzi. Incremento che, purtroppo, come affermano alcuni analisti, sembra non ancora essersi manifestato appieno perché dopo il rincaro dei prezzi dell’energia, adesso si attendono gli aumenti dei beni alimentari.
Fatto sta che per i gestori dei fondi pensione, ancora molto esposti alle asset class tradizionali, né le azioni né i bond hanno offerto un rifugio adeguato, mentre gli attivi non quotati, come private equity, venture capital o infrastrutture, pesano ancora troppo poco nei portafogli previdenziali per compensare i cali dei titoli quotati. E quindi hanno patito sia le linee azionare, sia le bilanciate sia soprattutto quelle obbligazionarie e le garantite dato che, mentre le borse da inizio marzo hanno recuperato in parte le perdite dei primi due mesi, i bond hanno continuato a perdere terreno. Anche tra i fondi pensione aperti la dinamica è simile a quella dei negoziali, come emerge dai dati del primo trimestre (tabella in pagina elaborata da Fida): sulla base di 318 linee sul mercato la media è stata negativa (-3,6%), anche se comunque a tre anni il risultato resta positivo (+7,6%). Stesso copione per i maggiori fondi pensione pre-esistenti (tabelle in pagina). Di fronte a questo risultati in calo i fondi pensione negoziali hanno attivato canali di comunicazione con gli iscritti come fecero due anni fa con il Covid e anche questa volta sottolineano la necessità di non prendere decisioni affrettate.
«Il passato ci insegna che anche scenari fortemente negativi vengono riassorbiti nel tempo. Fino a che le posizioni rimarranno investite nel fondo, queste potranno beneficiare dei successivi recuperi di valore, senza che le fluttuazioni dei mercati si traducano in perdite effettive. Il momento è difficile e molti lavoratori si trovano in situazioni complicate e non è sempre possibile rimandare le proprie decisioni. Esigenze importanti e non rinviabili, in qualche caso, portano a dover chiedere subito la prestazione di quanto disponibile, ma è sempre bene, soprattutto in questo momento, mantenere la calma e non prendere decisioni affrettate per non capitalizzare eventuali perdite», spiega Tonino Muscolo, il presidente di Prevaer, comparto negoziale per i dipendenti dalle aziende del trasporto aereo. Un messaggio simile arriva da Fondo Poste (dedicato ai lavoratori di Poste Italiane): «La politica di investimento diversificata per tipologia di strumenti, aree e settori e le capacità dei soggetti incaricati alla gestione hanno già dimostrato di essere in grado di superare le fasi ribassiste dei mercati riassorbendo ampiamente i cali temporanei del valore della quota come testimoniano i rendimenti degli ultimi cinque e dieci anni, orizzonti temporali di medio-lungo termine in relazione ai quali valutare le performance di un prodotto previdenziale».
La diminuzione del valore della quota, infatti, si concretizza in una perdita effettiva solo nel momento in cui viene liquidata la posizione (a seguito di una richiesta di anticipazione, di riscatto, di cambio di comparto o di trasferimento verso un altro fondo). Fopen (gruppo Enel), ricorda che il fondo, funzionando come un piano di accumulo, nei momenti di perdita di valore continua ad acquistare un maggior numero di quote a prezzi più bassi, che possono quindi beneficiare nel tempo di rendimenti percentuali più ampi. «In queste settimane, Fopen pur non potendo intervenire direttamente sulle scelte dei gestori incaricati, sta verificando le loro attività e già sta valutando soluzioni per ridurre i rischi della crisi e porre le basi per beneficiare del recupero dei prezzi una volta che questa venga superata. Fopen segnala anche che le attività a rischio di default (riconducibili ad emittenti coinvolti nella guerra in Ucraina o impattati dalle sanzioni) sono residuali e la loro perdita di valore non comporta impatti apprezzabili sul suo patrimonio. Intanto si segnala la mossa di Fon.Te., comparto dei dipendenti di aziende del terziario, che ha ampliato la platea ai liberi professionisti e agli autonomi del settore che a partire da questo mese possono aderire al fondo. (riproduzione riservata)
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