di Francesco Bochicchio
Uno dei due gruppi azionari ha ottenuto la maggioranza relativa di Generali con un’operazione di prestito titoli a proprio favore. Si tratta di un’operazione di conferimento in proprietà di titoli di credito di massa (obbligazioni, nel nostro caso azioni) con obbligo di restituzione alla scadenza. Per la precisione è un’operazione d’investimento finanziario a termine, come una normale di put/call, che però è l’unica a termine che può essere stipulata da privati investitori, visto che il prestito titoli è riservato a banche aderenti a meccanismi ad hoc. Giuridicamente è un mutuo di beni fungibili: in termini di funzione economico-sociale concreta, è un’operazione di speculazione finanziaria, arricchita del conferimento del diritto di voto a favore del beneficiario. Tale attribuzione è in linea con la struttura dei contratti in titoli di massa di natura azionaria, in cui il diritto di voto spetta a chi ha il possesso dei titoli stessi.
La messa in discussione della legalità del contratto e della sua efficacia in ordine al voto in assemblea nemmeno si pone: ciò vale anche a livello legislativo e regolamentare. Né si può arrivare a conclusione diversa sulla base di una presunta interpretazione sostanziale che veda l’operazione come strumento per acquisire il controllo in modo surrettizio, poiché in tal modo non si spiega quale norma imperativa si violerebbe o si eluderebbe. Ogni lettura sostanzialistica del Diritto è infatti consentita, ma solo per rendere effettivi gli istituti giuridici, non certo per alterarli. A riguardo, la frode alla legge è prevista in via generalizzata dal nostro ordinamento per far sì che la forma giuridica, pur imprescindibile, non consenta il sacrificio di principi generali sostanziali e fondamentali istituti. Al tempo stesso non può trasformare l’essenza degli istituti giuridici, fornendo loro un ruolo di natura regolatrice dal contenuto diverso da quello loro e addirittura ulteriore. In quest’ottica occorre ribadire che il prestito titoli è un’operazione d’investimento finanziario a termine e come tale deve attribuire «medio tempore» all’investitore le utilità e le facoltà inerenti ai titoli e strumenti finanziari in cui s’investe.Tra questi vi è il diritto di voto. Certamente, si potrebbe pattuire il diritto di voto come spettante all’altra parte, il che è consentito come visto dal codice civile per il diritto di pegno, ma sarebbe una scelta volontaria «ad hoc», atipica e quindi tale da costituire l’eccezione: in ogni caso non può essere imposta e rivelarsi coattiva. La situazione non cambia neppure se le operazioni di prestito titoli sono «finalizzate al solo voto in assemblea». Anche qui, non si possono cambiare le conclusioni di cui sopra con una lettura sostanzialistica, inammissibile nel momento in cui pretende di privare coattivamente il beneficiario dell’operazione di una facoltà essenziale consustanziale al proprio diritto sulle azioni. In conclusione, è bene che la nomina degli amministratori in assemblea sia effettuata in funzione dei rispettivi piani industriali, senza che scatti il condizionamento di tentativi giuridici di presentare come valutazioni di liceità proprie considerazioni di mera opportunità, elaborate sul piano non della lettura della norma ma di un vero e proprio travisamento della natura del singolo istituto giuridico. (riproduzione riservata)
*studio legale Bochicchio & Partners
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