CON LA FINE DELLE MORATORIE IL TERMINE DEI 90 GIORNI RISCHIA DI CREARE DISTORSIONI. FRONTE COMUNE DI ASSIFACT E IMPRESE ALL’EBA
di Anna Messia
La richiesta è quella di rimettere mano alla nuova definizione di default, partita nel 2021, che rischia di colpire ingiustamente le società di factoring e anche le banche che le controllano. Una questione che Fausto Galmarini, già presidente di Assifact, l’associazione italiana del settore ed eletto ad aprile anche presidente dell’Euf, la federazione Eu per il factoring e la finanza commerciale, è pronto a portare presto davanti all’Eba, l’Autorità bancaria europea, oltre che davanti alla Commissione e al Parlamento Europeo. Il fatto è che la nuova definizione di default, che scatta dopo 90 giorni di mancato pagamento, non si adatta per nulla al settore del factoring dove i tempi per il pagamento delle fatture è in media ben superiore ai tre mesi, anche se la controparte è perfettamente solvente, specie quando si tratta della Pubblica amministrazione.
«Un sistema distorsivo. La regola dei 90 giorni è stata applicata in tutti i paesi europei ma i mercati sono tra loro molto diversi. In Spagna, Portogallo, Italia o Francia i tempi sono mediamente più lunghi e non in tutti i Paesi della Eu la vigilanza locale interviene nel settore. In Italia le nostre società sono pienamente vigilate da Banca d’Italia, mentre in Germania, per esempio, la vigilanza sugli operatori del factoring è soft», spiega Galmarini. Il settore del factoring, intanto, continua a crescere con un turnover che nel 2021 è stato di oltre 250 miliardi, in crescita del 10,01% e il trend è proseguito a gennaio (+13,5%) e a febbraio (+15,6%) raggiungendo una quota complessiva di turnover di 35,71 miliardi.
«Nonostante le incertezze legate alla guerra in Ucraina, nei confronti della quale le società di factoring hanno un’esposizione diretta trascurabile, le previsioni, anche considerando gli effetti indiretti, sono di chiudere l’anno con volumi in crescita del 6,84%», aggiunge il presidente, sottolineando il fatto che il rischio di insolvenze nel factoring sia molto più basso rispetto al settore tradizionale, con una media degli ultimi cinque anni pari a 2,47% contro il 5,20% delle banche. «Numeri che sostanziano la nostra richiesta di modificare le norme sul default», dice ancora Galmarini. Perché se nel 2021 gli effetti sono stati limitati, grazie alle moratorie sui debiti introdotte dal governo e ai finanziamenti a medio termine assistiti dalla garanzia statale per contrastare gli effetti della pandemia, ora per il sistema potrebbero esserci pesanti effetti negativi, con richieste di accantonamenti di capitale consistenti. «Il problema riguarda anche le banche che controllano società di factoring (per l’effetto «contagio») che sarebbero costrette a considerare in default clienti finanziariamente sani, che non onorassero le fatture entro i 90 giorni», aggiunge Galmarini che, dalla sua, sottolinea, ha anche il sostegno delle imprese e di Confindustria, pronte a fare fronte comune davanti all’Eba, ma anche al legislatore europeo per ritoccare le norme ed evitare un blackout del comparto con riflessi sull’economia reale, in particolare sulle pmi.
Intanto il consiglio di Assifact ha appena approvato la modifica al codice etico dell’associazione per indicare esplicitamente tra i suoi valori anche quelli dello sviluppo sostenibile e, per rispondere ai bisogni del mercato, ha pure avviato un’indagine, in collaborazione con Kpmg, per comprendere il punto di vista delle imprese e le eventuali esigenze inespresse. Si tratta, più in particolare, di un questionario per raccogliere dati, informazioni e percezioni su tempi di pagamento, andamenti del capitale circolante e strategie di gestione, ricorso al factoring, ma anche le criticità legate alla pandemia o i rapporti con la Pa. E ci saranno due mesi di tempo a disposizione per rispondere su una piattaforma online, con i risultati dell’indagine che saranno presentati a giugno, in occasione dell’Assemblea di Assifact. (riproduzione riservata)
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