Paola Valentini
La prima edizione del Salone del risparmio aperta da Carlo Trabattoni, nuovo presidente di Assogestioni, che si terrà a Milano da 10 al 12 maggio, sarà l’occasione per fare il punto dello stato dell’arte del settore in un momento di rilancio per l’industria italiana del risparmio gestito, ma di rallentamento della ripresa economica a causa della guerra in Ucraina e dal lockdown che sta bloccando la Cina. Il Fondo monetario internazionale ha appena rivisto al ribasso le previsioni di crescita economica globale e, in maniera più marcata, dell’Italia (si veda grafico). Per quest’anno ora si attende un aumento nella Penisola del 2,3%, dopo il rimbalzo del 6,6% del 2021 seguito al crollo del 9% del 2020, causato dalle misure restrittive anti Covid. Si tratta di un taglio di 1,5 punti rispetto alle previsioni effettuate dal Fondo lo scorso gennaio. Per l’economia globale ora l’istituzione di Washington prevede un +3,6% nel 2022 dal +4,4% delle stime di gennaio. Per l’eurozona, secondo le cifre aggiornate nel World Economic Outlook, l’Fmi fissa un +2,8% quest’anno, con una riduzione di 1,1 punti.
Ma, nonostante un inizio d’anno difficile per i mercati, stretti tra guerra e rialzo dei tassi che hanno inflitto perdite pesanti ad azioni e bond, la raccolta netta di fondi e gestioni dei primi due mesi mostra è rimasta sempre positiva, proseguendo la dinamica di crescita del 2021: gli ultimi dati Assogestioni di febbraio rilevano 10 miliardi di euro, dopo i 93 miliardi dello scorso anno che era stato il migliore dal 2017. E anche i primi dati di marzo pubblicati dalle sgr quotate confermano per tutte una buona tenuta dei flussi. Anima ad esempio ha realizzato nel primo trimestre una raccolta di 738 milioni, rispetto a un rosso per 300 milioni dello stesso periodo 2021. Dal canto suo Banca Generali ha registrato a marzo una raccolta netta di 480 milioni, in linea con febbraio, portando il totale da inizio anno a 1,46 miliardi (1,66 miliardi nel primo trimestre 2021). Banca Mediolanum ha chiuso marzo con 900 milioni, simili ai 911 milioni di febbraio, un dato che porta il bilancio a 2,37 miliardi da inizio anno, +9% dai 2,18 miliardi dello stesso periodo 2021. Fineco ha avuto nel trimestre flussi netti per 1,21 miliardi, in aumento dagli 1,15 miliardi dei primi tre mesi 2021.
«L’industria attraversa una fase che combina maturità e straordinarie opportunità. Maturità, alla luce dei positivi risultati conseguiti negli anni più recenti, grazie all’impegno virtuoso di istituzioni, associazioni ed operatori del settore. Questa si dovrà ora declinare in una fase di rinnovata responsabilità, consapevoli del ruolo che possiamo ricoprire nella fase di ripresa che, questi mesi ce lo confermano, sarà caratterizzata da momenti di incertezza e volatilità, ma che beneficia di solidi driver: gli investimenti strategici previsti nell’ambito del Next Generation Ue, l’elevato risparmio privato, la vitalità e rilevanza strategica del nostro Paese, confermata dai nuovi operatori che decidono di investire», afferma Trabattoni, ceo di Generali Asset & Wealth Management, nella sua prima intervista da presidente di Assogestioni. Una sfida che vede i risparmiatori italiani ancora una volta in prima linea dopo la crisi del Covid di due anni fa. La paura provocata dall’emergenza sanitaria e le limitazioni alla circolazione avevano causato un drastico aumento della liquidità parcheggiata sui depositi bancari che hanno raggiunto il picco a fine 2021 (1.859 miliardi secondo i dati Abi), ma nei primi mesi del 2022 si registra un rallentamento della crescita. I tassi di variazione dei depositi restano positivi ma a un ritmo decrescente nei principali paesi europei; in Italia, a febbraio 2022 pari a +3,8% la variazione annua dei depositi delle imprese è stata pari a +4,4% rispetto al +27% dello stesso mese 2021. L’attuale situazione di crisi ha già avuto un impatto rilevante sulle previsioni macro per il Paese, che a loro volta hanno ripercussioni sui volumi di risparmio degli italiani. «L’aumento repentino dell’inflazione che si sta dimostrando persistente anche a causa dello scoppio della guerra ha provocato una riduzione della quota del reddito che si può risparmiare perché una fetta maggiore deve essere allocata a consumi non comprimibili, come alimentari e bollette. Già prima della crisi in Ucraina e dell’aumento dei prezzi ci si attendeva un certo calo dell’enorme stock di liquidità che era stato accumulato durante la pandemia, ma ora il nuovo scenario accelererà la riduzione della propensione al risparmio», spiega Lea Zicchino, senior partner di Prometeia che ha appena pubblicato il nuovo rapporto sul risparmio degli italiani Wealth Insights, elaborato con Ipsos.
Dal report emerge in primo luogo che si riesce ad accumulare di meno, per effetto del rallentamento dei redditi a fronte di inflazione in aumento: la propensione al risparmio delle famiglie, risalita in tempi di pandemia al 12%, è adesso vista al 9% per quest’anno e il prossimo e all’8% nel 2024. Rispetto alle previsioni che aveva Prometeia a novembre, questo significa circa 30 miliardi in meno di flussi investiti al 2024. Se nel 2021 gli investimenti delle famiglie nei vari strumenti finanziari avevano toccato i 120 miliardi, per il 2022 si attende una contrazione a poco più di 60 miliardi. Il risparmio quindi diventa una risorsa più scarsa con la conseguenza che potrebbe aumentare la concorrenza tra gli operatori per intercettare i flussi. Sullo stock di risparmio non impatta soltanto l’effetto di una minore formazione del risparmio. Bisogna infatti anche considerare che l’andamento dei mercati sottrarrà, per mancata valorizzazione di portafoglio, stima Prometeia, altri 15 miliardi alla crescita della ricchezza gestita e intermediata nel prossimo triennio dopo che nel 2020 il rally delle azioni e dei bond l’aveva fatta lievitare di circa 90 miliardi. L’effetto composito della minore capacità di accumulazione e di mercati finanziari in affanno porta a una riduzione della ricchezza finanziaria degli italiani che si attesterà nel 2024, prevede Prometeia, poco sopra i 3.900 miliardi, circa 50 in meno di quanto stimato a novembre, ma comunque in crescita, grazie al rimbalzo previsto per il biennio 2023-24. In questo quadro i dati rivelano che le famiglie italiane stanno reagendo in modo diverso rispetto alla precedente crisi di due anni fa del Covid perché il calo del risparmio non si accompagna a boom della liquidità. «Quando è scoppiata la pandemia i mercati finanziari hanno registrato cali molto repentini e i risparmiatori hanno reagito spostando buona parte degli investimenti in liquidità. In questa fase invece le famiglie capiscono che parcheggiare i risparmi significa mettere in conto una perdita del valore del loro patrimonio. Quindi nonostante abbiano meno risparmio tendono a non scappare dall’investimento: si nota una maggiore razionalità, addirittura il 30% di chi ha risposto all’ultima survey di Wealth Insights ritiene che questo sia il momento giusto per aumentare l’esposizione ai mercati sfruttando i ribassi», racconta Zicchino. Nella crisi del Covid la pensava così soltanto il 20%: alla domanda rivolta da Ipsos alle famiglie sull’atteggiamento migliore da tenere in questa fase di turbolenza dei mercati finanziari, il 60% ha risposto che bisogna restare fermi sulle proprie posizioni, contro il 64% del 2020, per ben il 30%, come si diceva, è il momento giusto per investire dal 20% della prima ondata della pandemia e di contro c’è un netto calo della quota di investitori che propende per riscattare e tenere i soldi liquidi: era il 17%, oggi la pensa così il 10%.
Quindi, rispetto alle crisi precedenti, afferma Prometeia, quella in atto all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina potrebbe essere diversa. Sia perché non accompagnata, per ora, a una recessione, ma anche in virtù di famiglie italiane meno inclini a rivedere le scelte di portafoglio in fasi di turbolenze dei mercati. Una maggiore consapevolezza che si accompagna ad una sempre crescente quota di investitori (con patrimonio finanziario superiore ai 25 mila euro) che ritiene opportuno scegliere gli investimenti affidandosi a professionisti, visti appunto come stabilizzatori della fiducia in questo generale clima di incertezza: ora la quota è al 72% rispetto al 55% di due anni fa (si veda grafico). «Questa nuova propensione all’investimento si accompagna alla maggiore fiducia riposta nei consulenti o gestori di riferimento. L’industria quindi può svolgere un ruolo attivo nel supportare le famiglie. Ciò crea più competizione tra gli operatori», conclude Zicchino. Non a caso la raccolta di risparmi tiene come dimostrano i flussi delle sgr quotate. La difficoltà è piuttosto proporre offerte che siano in grado di coprire da un’inflazione in corsa verso la doppia cifra. (riproduzione riservata)
In Italia l’esposizione dei fondi alla Russia non raggiunge lo 0,3%
di Paola Valentini
Nelle ultime settimane, tutte le principali agenzie di rating hanno declassato il debito russo da investment grade a junk perché le massicce sanzioni occidentali hanno messo in discussione la capacità di Mosca di pagare il debito in valuta estera. A marzo, dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia ha pagato le cedole su due delle sue obbligazioni in dollari, offrendo sollievo ai mercati. «Tuttavia, non possiamo leggere questo segnale come una garanzia di quanto potrebbe accadere al resto delle obbligazioni russe in valuta estera (una quindicina, ndr), il cui valore ammonta a circa 40 miliardi di dollari», osserva Ben Robins, gestore per il debito dei mercati emergenti di T. Rowe Price. A inizio aprile Mosca ha versato in rubli, e non in dollari, le cedole da 650 milioni di dollari su due dei suoi eurobond con scadenza 2022 e 2042 perché Il Paese ha molti dei suoi fondi esteri bloccati. «Dall’invasione russa dell’Ucraina alla fine di febbraio, i governi occidentali hanno imposto severe sanzioni economiche al Paese, compreso il congelamento di circa la metà dei beni della Banca centrale. Questo ha effettivamente portato all’isolamento economico della Russia», prosegue Robins.
Per le obbligazioni, c’è un periodo di grazia di 30 giorni prima che possa essere dichiarato un default. «In vista dei pagamenti delle cedole e delle scadenze di altri titoli del debito estero russo nelle prossime settimane, prevediamo ulteriori sviluppi sull’argomento», aggiunge Robins. Per un investitore in fondi, afferma Prometeia, «il possibile default della Russia, in sé, non deve spaventare» perché i titoli sovrani di Mosca in scadenza in dollari non sono ingenti. Si tratta di 101 milioni di interessi a maggio, 394 milioni a giugno, poi 372 milioni a settembre più 424 milioni di capitale, 84 milioni di cedole a ottobre, 112 milioni a novembre e 450 milioni a dicembre. In Italia, calcola il report Wealth Insight di Prometeia-Ipsos, l’esposizione verso la Russia dei fondi comuni collocati nel Paese non raggiunge lo 0,3% (grafico in pagina): si va dallo 0,12% dei prodotti alternativi, allo 0,41% degli obbligazionari, allo 0,45% degli azionari, fino al marginale 0,04% degli strumenti bilanciati (mentre è nulla la presenza di asset russi nei fondi sulle commodity e nei monetari). Guardando al numero dei fondi, solo lo 0,22% (pari allo 0,05% del patrimonio gestito) è esposto per più del 50%, l’1,1% ha meno del 2,5% e la maggior parte, il 96,6%, afferma sempre Prometeia, non ha portafogli esposti alla Russia. E concentrando l’attenzione sui fondi azionari emergenti, anche in questo caso il peso degli asset russi è ridotto: l’1,96%. Morningstar ha calcolato che le azioni russe nei portafogli valgono circa 32,8 miliardi dei 12 mila miliardi di euro di patrimonio totale dei fondi a lungo termine presenti sul mercato europeo. In generale i fondi comuni specializzati sulla Russia sono prodotti di nicchia ed è improbabile che costituiscano una parte importante di un portafoglio diversificato. Più importante è invece, evidenzia Moody’s, l’impatto di una eventuale recessione globale sui rischi di credito. Secondo l’agenzia, in tutto il mondo circa il 25% delle quasi 4 mila società non finanziarie con rating subirà uno stress significativo. «Questo scenario intensificherebbe soprattutto i rischi di credito per i settori che dipendono dalla spesa dei consumatori e dalle catene di approvvigionamento globali, oltre che per le attività che continuano a lottare per riprendersi dalla pandemia. (riproduzione riservata)
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