Buone notizie per chi è prossimo al pensionamento. La «speranza di vita», per la seconda volta consecutiva, non allontana il momento d’incrociare le braccia: è risultata negativa per il Covid e, quindi, non modifica il requisito anagrafico per il diritto a una pensione fissato al prossimo anno (dal 1° gennaio 2023). Dopo cinque anni di continuo allontanamento dell’età di pensione per un totale di 11 mesi (2 mesi dal 2013, 4 mesi dal 2016 e altri 2 mesi dal 2019), prosegue la tregua portando a sei gli anni, dal 2019 fino al 2024, durante i quali resterà stabile a 67 anni l’età per la pensione di vecchiaia. La novità va a favore soprattutto di quanti hanno spento o spegneranno le 67 candeline in questo lungo periodo di sei anni: non sono costretti a lavorare «qualche mese in più», come si aspettavano di dover fare stando alle simulazioni effettuate negli anni passati (che valutavano, invece, un effetto positivo, della speranza di vita). Ma quando si matura il diritto alla pensione? Con quali requisiti? Ci sono scorciatoie per anticiparla? A chi spettano? Ecco è a queste e ad altre domande sul tema sempre caldo delle pensioni che intende rispondere questo inserto.
I REGIMI DI PENSIONAMENTO
Fino a qualche anno fa, non c’erano calcoli stratosferici (e incomprensibili) per determinare il diritto (quando è possibile pensionarsi) e la misura della pensione (cioè l’importo): questa era semplicemente una quota della retribuzione. Oggi, invece, a voler sintetizzare, diritto e misura della pensione sono soggetti a vari indici finanziario-attuariali, tra cui i principali sono due:
•la «speranza di vita» = indice cui è affidato il compito di adeguare l’età di pensionamento;
•i «coefficienti di trasformazione» = aggiornati periodicamente, che determinano l’importo della pensione contributiva.
A monte di ciò operano tre «regimi» (o «sistemi») pensionistici con specifici «requisiti» per il diritto e «criteri» di calcolo della pensione. Dopo la riforma Fornero, i lavoratori sono un po’ più uguali, perché la riforma ha esteso a tutti il «sistema contributivo» stabilendo, di principio, che con questa regola di calcolo vanno determinate le quote di pensione relative ai contributi pagati a partire dal 1° gennaio 2012. Per alcuni non è stata una novità perché già appartenenti a tale sistema; si tratta, in particolare:
•di quanti hanno cominciato a lavorare dal 1° gennaio 1996 ai quali già si applicava/applica la sola regola contributiva di calcolo della pensione;
•di quanti, pur avendo cominciato a lavorare prima del 1° dicembre 1996, al 31 dicembre 1995 avevano maturato meno di 18 anni di contributi, per cui erano/sono destinatari della regola “mista” di calcolo della pensione, ossia “retributiva” per l’anzianità maturata sino al 31 dicembre 1995 e “contributiva” per i periodi successivi.
Per altri, invece, la riforma Fornero è stata una rivoluzione perché ha comportato un cambio di criterio assoluto; si tratta, in particolare:
•di quanti potevano contare su almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 e che, per questo motivo, continuavano a essere destinatari della sola regola “retributiva” di calcolo della pensione: dal 1° gennaio 2012 anche a loro, con riferimento ai contributi versati dalla stessa data (1° gennaio 2012), la pensione viene calcolata con la regola contributiva.
Riassumendo, allora, dal 1° gennaio 2012 la situazione per le tre diverse categorie di soggetti prima indicate è la seguente:
•nessuna novità per quanti hanno cominciato a lavorare e pagare contributi per la pensione dal 1° gennaio 1996: a loro già si applicava e continua ad applicarsi solamente la regola contributiva di calcolo della pensione;
•nessuna novità neppure per quanti hanno cominciato a lavorare prima del 1° dicembre 1996 ma che al 31 dicembre 1995 avevano meno di 18 anni di contributi versati: erano e continuano a essere destinatari della regola “mista” di calcolo della pensione, ossia con la regola “retributiva” per le anzianità maturate fino al 31 dicembre 1995 e con quella “contributiva” per i periodi di attività successivi al 1° gennaio 1996;
•novità assoluta, invece, per quanti hanno cominciato a lavorare prima del 1° dicembre 1996 e al 31 dicembre 1995 potevano contare su almeno 18 anni di contributi i quali, per questo motivo, continuavano a essere destinatari della sola regola “retributiva” di calcolo della pensione. Loro, infatti, sono divenuti destinatari del regime “misto” con applicazione della regola “retributiva” per le anzianità maturate fino al 31 dicembre 2011 e di quella “contributiva” per le anzianità maturate a decorrere dal 1° gennaio 2012.
La regola retributiva
Secondo tale regola, la pensione è rapportata alla media delle retribuzioni (o dei redditi nel caso di lavoratori autonomi) degli ultimi anni lavorativi. La regola funzione sulla base di tre elementi:
1.l’anzianità contributiva, data dal totale degli anni di contributi versati e accreditati fino a un massimo di 40 anni che il lavoratore può far valere al momento del pensionamento, siano essi obbligatori, volontari, figurativi, riscattati o ricongiunti;
2.la retribuzione/reddito pensionabile, pari alla media delle retribuzioni o redditi percepiti negli ultimi anni di attività lavorativa, opportunamente rivalutate sulla base degli indici Istat fissati ogni anno;
3.l’aliquota di rendimento, pari al 2% per ogni annuo di retribuzione/reddito percepiti fino al limite di 46.630 euro annui per le pensioni aventi decorrenza nell’anno 2018 (il valore è aggiornato ogni anno) per poi decrescere per fasce di importo superiore.
Ciò vuol dire che se la retribuzione pensionabile non supera tale limite (46.630 euro), con 35 anni di anzianità contributiva la pensione è pari al 70 per cento della retribuzione, mentre con 40 anni di anzianità contributiva è pari all’80 per cento. Se la retribuzione supera il limite di 46.630 euro, l’importo della pensione risulterà composto di due quote:
1)quota A = determinata sulla base dell’anzianità contributiva maturata al 31 dicembre 1992 e sulla media delle retribuzioni degli ultimi 5 anni (260 settimane) di contribuzione immediatamente precedenti la data di pensionamento per i lavoratori dipendenti, e dei 10 anni (520 settimane) di contribuzione immediatamente precedenti la data di pensionamento per i lavoratori autonomi;
2)quota B = determinata sulla base dell’anzianità contributiva maturata dal 1° gennaio 1993 e fino al 31 dicembre 2011 (dopo vale la regola contributiva!) alla data di decorrenza della pensione e sulla media delle retribuzioni/redditi degli ultimi 10 anni per i lavoratori dipendenti e degli ultimi 15 anni per gli autonomi.
A ciascuna quota si applicano aliquote di rendimento diverse e determinate in base alle classi di retribuzione (come indicato in tabella).
La regola contributiva
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La regola contributiva funziona come un libretto di risparmio: il lavoratore accantona ogni anno parte dei propri guadagni sotto forma di contributi (nello specifico: se è un dipendente accantona, con il concorso dell’azienda, il 33% del suo stipendio; se è lavoratore autonomo accantona il 25% circa del proprio reddito; se è collaboratore accantona il 33% del proprio compenso); poi, all’atto del pensionamento, al montante contributivo che si è via via costruito in tutta la vita lavorativa (quale somma di tutti i contributi versati anno dopo anno) viene applicato un coefficiente, cd di trasformazione, che ha la funzione (appunto) di convertire quel montante contributivo in pensione annua.
LA PENSIONE DI VECCHIAIA
Per avere accesso alla pensione di vecchiaia occorre aver maturato una certa età («requisito anagrafico») e avere il possesso di un minimo di anni di contributi («requisito contributivo»). Il secondo requisito (contributivo) cambia a seconda che il lavoratore sia o meno in possesso di un certo ammontare di anni di contributi al 31 dicembre 1995, data che rappresenta lo spartiacque tra pensioni in regime «retributivo» e pensioni in regime «contributivo».
Lavoratori con contributi al 31 dicembre 1995
Sono i lavoratori appartenenti al sistema «retributivo» o a quello «misto». Possono conseguire la pensione di vecchiaia, ferma restando il possesso di almeno 20 anni di contributi, con età di:
•67 anni per tutti, lavoratori e lavoratrici, dipendenti e autonome, pubblici e privati.
Ai fini del raggiungimento del requisito contributivo (20 anni) è valutabile la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore del lavoratore.
Lavoratori senza contributi al 31 dicembre 1995
Sono i lavoratori appartenenti al sistema «contributivo», cioè che hanno cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 e che, pertanto, a tale data, non risultano avere alcuna anzianità contributiva. Hanno due vie per maturare il diritto alla pensione di vecchiaia.
A)Prima via:
almeno 20 anni di contribuzione e un’età pari a:
•67 anni per tutti, lavoratori e lavoratrici, dipendenti e autonome, pubblici e privati;
a condizione che l’importo della pensione risulti essere non inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale (c.d. “importo soglia”).
Ai fini del raggiungimento dell’anzianità contributiva (20 anni) si tiene conto di tutta la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata al lavoratore. Inoltre, sono riconosciuti i seguenti periodi di accredito figurativo:
•per assenza dal lavoro per periodi di educazione e assistenza dei figli fino al sesto anno di età in ragione di 170 giorni per ciascun figlio;
•per assenza dal lavoro per assistenza a figli dal sesto anno di età, al coniuge e al genitore purché conviventi (art. 3 della legge n. 104/1992), per la durata di 25 giorni complessivi l’anno, nel limite massimo complessivo di 24 mesi.
B)Seconda via:
all’età di 71 anni e in presenza di almeno 5 anni di contributi “effettivi”, a prescindere dall’importo della pensione. Attenzione; ai fini del requisito di 5 anni di contributi è utile solo la contribuzione effettivamente versata (obbligatoria, volontaria, da riscatto) con esclusione di quella accreditata figurativamente a qualsiasi titolo (maternità, malattia, ecc.).
La decorrenza della pensione
Previa domanda, la pensione di vecchiaia decorre dal primo giorno del mese successivo a quello nel quale si compie l’età di pensione ovvero, nel caso in cui a tale data non risultino soddisfatti i requisiti dell’anzianità contributiva, dal primo giorno del mese successivo a quello in cui i predetti requisiti sono raggiunti. Non è mai possibile avere la decorrenza retroattiva; pertanto, se la domanda di pensione è fatta tempo dopo la maturazione dei requisiti, la sua decorrenza avverrà dal primo giorno del mese successivo a quello della domanda.
Occorre lasciare il lavoro…ma solo formalmente
Infine, per ottenere la pensione è richiesta la cessazione del rapporto di lavoro dipendente in corso, cosa che non è necessaria invece se l’attività svolta è di tipo autonomo (artigiano, etc.). Vale la pena evidenziare, a proposito, quanto è stato precisato dall’Inps e dal ministero del lavoro. I due enti hanno detto che la condizione della cessazione del lavoro dipendente, ai fini dell’erogazione della pensione di vecchiaia, riguarda “solo” lo specifico rapporto di lavoro che è in essere al momento della maturazione dei requisiti di età e di contribuzione. Pertanto, la pensione è conseguita anche nell’ipotesi in cui il lavoratore, una volta maturati l’età e gli anni minimi di contributi per avere la pensione, si sia dimesso dal lavoro e siano stati adempiuti gli adempimenti di rito relativi alla cessazione del rapporto di lavoro ove risultava occupato al momento della maturazione dei requisiti per la pensione (lettera dimissioni oppure atto di licenziamento, comunicazioni al collocamento, etc.), a nulla rilevando il fatto che anche nello stesso giorno si sia immediatamente reimpiegato, presso lo stesso o presso un altro datore di lavoro. In parole povere, una volta presentate le dimissioni e fatta domanda di pensione, ci si può benissimo rioccupare presso la stessa o un’altra azienda.
LA PENSIONE ANTICIPATA
Mentre per la pensione di vecchiaia, come visto in precedenza, occorre maturare due requisiti per avervi diritto (età e anni di anzianità contributiva), la pensione anticipata (l’ex pensione di anzianità) ha la particolarità di consentire l’accesso al riposo sulla base di un solo requisito: quello contributivo. In altre parole, non è necessario anche attendere un’età minima come è invece imprescindibile per la pensione di vecchiaia. Come già visto a proposito della pensione di vecchiaia, anche per l’esame dei requisiti per la pensione anticipata occorre distinguere le due situazioni: lavoratori con o senza contributi versati al 31 dicembre 1995.
Lavoratori con contributi al 31 dicembre 1995
Sono lavoratori del sistema «retributivo» o «misto». Conseguono la pensione anticipata con le seguenti anzianità contributive, valutando tutti i contributi a qualsiasi titolo versati oppure accreditati:
•uomini = 42 anni e 10 mesi;
•donne = 41 anni e 10 mesi.
Lavoratori senza contributi al 31 dicembre 1995 (lavoratori del sistema “contributivo”).
Sono i lavoratori appartenenti al sistema «contributivo». Hanno due vie per maturare il diritto alla pensione anticipata.
A)Prima via:
Conseguono il diritto con le seguenti anzianità contributive:
•uomini = 42 anni e 10 mesi;
•donne = 41 anni e 10 mesi;
che sono le stesse anzianità dei “vecchi lavoratori” (lavoratori con contributi versati entro il 31 dicembre 1995), ma con queste differenze:
•si valutano tutti i contributi a qualsiasi titolo versati o accreditati, eccetto quelli volontari;
•i contributi da lavoro versati prima dei 18 anni d’età sono moltiplicati per 1,5 (valgono una volta e mezzo).
B)Seconda via:
Conseguono il diritto alla pensione anticipata al compimento di 64 anni in presenza di almeno 20 anni di contributi “effettivi” (obbligatori, volontari, da riscatto, con esclusione di quelli accreditati figurativamente a qualsiasi titolo) e a condizione che l’importo mensile della prima rata di pensione non risulti inferiore a un importo soglia mensile, pari a 2,8 volte l’importo mensile dell’assegno sociale.
La decorrenza della pensione
Anche per la pensione anticipata, come per quella di vecchiaia, occorre la domanda da parte del lavoratore interessato. E come la pensione di vecchiaia decorre dal primo giorno del mese successivo a quello durante il quale il lavoratore ha maturato il requisito contributivo. Poiché, come detto, la liquidazione avviene sempre su richiesta dell’interessato, se la domanda viene presentata tempo dopo la maturazione del diritto, la pensione sarà erogata dal primo giorno del mese successivo a quello durante il quale è stata presentata la domanda.
Occorre lasciare il lavoro…ma solo formalmente.
Come per quella di vecchiaia, anche per avere la pensione anticipata è richiesta la cessazione del rapporto di lavoro dipendente in corso, mentre non è richiesta la cessazione dell’eventuale impegno in attività di tipo autonomo (artigiano, ecc.). Vale quanto detto riguardo alla pensione di vecchiaia, ossia che la condizione della cessazione del lavoro dipendente è un puro atto formale.
ECCEZIONI PER PENSIONE DI VECCHIAIA E PENSIONE ANTICIPATA
Pensione vecchiaia: due eccezioni (invalidi e non vedenti).
Ci sono due eccezioni ai requisiti per la pensione di vecchiaia, entrambe legate allo stato di salute dei lavoratori. La prima riduce il requisito d’età a 55 anni (uomini) e 50 (donne) nel caso di lavoratori non vedenti dalla nascita o da data anteriore all’inizio della contribuzione (cioè prima di cominciare a lavorare) o che possano far valere almeno 10 anni di contributi dopo l’insorgenza dello stato di cecità. Rientra nella categoria di “non vedenti” chi è colpito da cecità assoluta o ha residuo visivo non superiore a un decimo a entrambi gli occhi con eventuali correzioni. La seconda deroga riguarda gli invalidi. Nel caso di lavoratori con invalidità pari o superiore all’80%, i limiti di età scendono a 61 anni e 7 mesi per gli uomini e 56 anni per le donne.
Salvaguardia Fornero/1
La riforma delle pensioni del 2012, c.d. «Fornero» ha inasprito i requisiti di pensionamento, in particolare elevando quello anagrafico (l’età). Ogni riforma delle pensioni (e la Fornero non fa eccezioni) può avere effetto solo per il futuro, cioè per i lavoratori che, al momento dell’entrata in vigore della riforma, non abbiano già conseguito il diritto a una pensione (è la questione dei c.d. “diritti quesiti”, cioè “acquisiti”). La prima “salvaguardia Fornero” è proprio l’applicazione pratica di questo principio. La riforma Fornero è entrata in vigore il 1° gennaio 2012, per cui i lavoratori che entro il 31 dicembre 2011 hanno maturato i requisiti (età e contributi) previsti dalla normativa vigente alla stessa data, conseguono il diritto alla pensione di vecchiaia e/o di anzianità secondo la normativa previgente alla riforma Fornero (anche successivamente al 1° gennaio 2012). Ciò non toglie, tuttavia, che in caso di convenienza, questi lavoratori possano avvalersi dei nuovi requisiti.
Salvaguardia Fornero/2
Sono due le eccezioni rivolte esclusivamente ai lavoratori/trici dipendenti del settore privato.
La prima: pensione anticipata a 65 anni al contemporaneo ricorrere delle seguenti condizioni:
•almeno 35 anni di contributi al 31 dicembre 2012;
•maturazione entro il 31 dicembre 2012 dei requisiti per il diritto alla pensione fissati dalla tabella B allegata alla legge n. 243/2004 (è la legge della c.d. riforma Maroni delle pensioni).
La seconda, che interessa solo le “lavoratrici” (dipendenti del privato): pensione di vecchiaia a 65 anni al contemporaneo ricorrere delle seguenti condizioni:
•almeno 20 anni di contributi al 31 dicembre 2012;
•età non inferiore a 60 anni al 31 dicembre 2012.
Le due deroghe si applicano ai lavoratori e alle lavoratrici che, al 28 dicembre 2011 (entrata in vigore della legge n. 214/2011 di conversione con del dl 201/2011, con la riforma Fornero), hanno svolto attività di lavoro dipendente nel privato, a prescindere dalla gestione a carico della quale è liquidata la pensione (esempio: lavoratore che a quella data svolgeva attività di lavoro dipendente e poi ha svolto lavoro autonomo). Di conseguenza, le deroghe si applicano anche nelle ipotesi di:
•lavoratori che perfezionano i requisiti contributivi utilizzando i contributi accreditati nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, se al 28 dicembre 2011 abbiano svolto attività dipendente nel privato. In tal caso si fa riferimento ai requisiti della gestione degli autonomi se in essa si consegue il diritto a pensione (si veda tabella);
•lavoratori che al 28 dicembre 2011 hanno svolto attività di lavoro dipendente nel settore privato e, successivamente, hanno svolto attività autonoma o altra attività lavorativa;
•lavoratori il cui rapporto di lavoro dipendente nel privato risulti sospeso al 28 dicembre 2011 (ad esempio lavoratori collocati in cassa integrazione guadagni).
Le deroghe, invece, non si applicano mai ai dipendenti pubblici (iscritti all’ex Inpdap).
LA PENSIONE «QUOTA 102»
Per il triennio 2019/2021 i lavoratori iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (Ago) e alle forme esclusive e sostitutive dell’Inps, nonché alla gestione separata Inps, hanno avuto l’opportunità di pensionarsi perfezionando un’età di almeno 62 anni e l’anzianità contributiva di almeno 38 anni («62 + 38 = 100»). Dal 1° gennaio 2022, la quota è leggermente cresciuta ed è diventata 102: di almeno 64 anni e anzianità contributiva di almeno 38 anni (64 + 38 = 102).
La vecchia «quota 100» è spendibile entro il 31 dicembre 2021, termine entro cui, cioè, occorre maturare sia l’età e sia i contributi per garantirsi il diritto alla pensione anticipata. In tale ipotesi non importa che entro la stessa data venga anche esercitato il diritto (cioè sia fatta la domanda di pensionamento): una volta conseguito il diritto (si ripete: entro il 31 dicembre 2021), la relativa domanda di pensionamento può essere formulata anche successivamente. Le stesse regole valgono ora per «quota 102», che opera limitatamente all’anno 2022: entro il 31 dicembre 2022 occorre maturare sia l’età (almeno 64 anni) e sia i contributi (almeno 38 anni) per garantirsi il diritto alla pensione anticipata, ma la domanda di pensionamento potrà essere fatta anche successivamente al 31 dicembre 2022.
I soggetti beneficiari
Possono avvalersi del prepensionamento con «quota 102» praticamente tutti i lavoratori, dipendenti e autonomi, inclusi i parasubordinati (co.co.co., professionisti senza cassa e altri lavoratori iscritti alla gestione separata dell’Inps), sia del settore privato che pubblico. Per espressa previsione, invece, sono esclusi: il personale militare delle Forze armante; il personale delle Forze di polizia e polizia penitenziaria; il personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; e il personale della Guardia di Finanza.
Utilizzabile il cumulo contributivo
Ai fini del conseguimento del diritto alla pensione con «quota 102», chi risulti iscritto a due o più gestioni previdenziali dell’Inps (sono escluse le casse di previdenza dei professionisti), può cumulare gli anni di contribuzione che ha maturato presso le singole gestioni, purché relativi a periodi non coincidenti. La facoltà è concessa in base alle regole del c.d. «cumulo contributivo».
Le finestre
Con «quota 102» operano le «finestre»: la decorrenza della pensione, cioè, è ritardata rispetto al momento di maturazione del diritto. In particolare, sono previste le seguenti decorrenze:
•dopo una finestra di tre mesi dalla maturazione dei requisiti, per i lavoratori del settore privato;
•dopo una finestra di sei mesi dalla maturazione dei requisiti, per i dipendenti pubblici.
I dipendenti pubblici devono formulare domanda di collocamento a riposo con preavviso di sei mesi. Infine, per i lavoratori del comparto scuola (dirigenti scolastici, docenti e personale tecnico, amministrativo e ausiliare) e del comparto AFAM (Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica: raggruppa tutte le istituzioni il cui scopo è la formazione nei settori dell’arte della musica, della danza e del teatro. Comprende le Accademie di belle arti, le Accademie nazionali di arte drammatica e danza, gli Istituti superiori per le industrie artistiche, c.d. ISIA, i conservatori di musica e gli Istituti superiori di studi musicali) valgono le ordinarie regole di pensionamento (art. 59, comma 9, legge n. 449/1997): a tali soggetti, cioè, ai fini dell’accesso al pensionamento, la cessazione dal servizio e la decorrenza della pensione hanno effetto dalla data d’inizio dell’anno scolastico o accademico dell’anno in cui vengono maturati i requisiti.
LA PENSIONE DEI LAVORATORI USURANTI
È il prepensionamento offerto ai lavoratori che hanno svolto o ancora stanno svolgendo lavori e/o attività usuranti, cioè caratterizzate da mansioni faticose o pesanti. Dall’anno 2016 fino all’anno 2026 i requisiti agevolati sono quelli indicati in tabella. L’ultima riforma c’è stata con la legge Bilancio 2017 (art. 1, comma 206, legge n. 232/2016) e la disciplina ne è risultata arricchita di due novità:
1)abolizione delle “finestre”;
2)sospensione, per gli anni dal 2019 al 2025, degli aumenti dei requisiti per la pensione in conseguenza all’adeguamento alla c.d. speranza di vita.
Inoltre, per l’applicazione del regime speciale di prepensionamento, ha previsto che l’attività usurante/faticosa/notturna sia (stata) svolta:
•per almeno 7 anni, compreso l’anno di maturazione dei requisiti, negli ultimi 10 anni di lavoro; oppure
•per almeno la metà della vita lavorativa complessiva (su 36 anni di lavoro, ad esempio, per 18 anni almeno).
Ai fini del computo dei predetti periodi si tiene conto dello svolgimento “effettivo” dell’attività lavorativa con accredito di contributi obbligatori, includendo i periodi per i quali l’accredito contributivo obbligatorio risulti integrato da contributi figurativi ed escludendo, invece, i periodi totalmente coperti da contribuzione figurativa. Si tenga conto, inoltre, che non occorre che i periodi di svolgimento dell’attività usurante siano continuativi, né che nell’anno di perfezionamento dei requisiti pensionistici, o nell’ultimo anno di lavoro, l’interessato abbia svolto tale attività.
La domanda per il «diritto».
Per avere la pensione anticipata, il lavoratore deve prima ottenere il riconoscimento del diritto al beneficio da parte dell’Inps. A tal fine deve fare domanda alla sede territorialmente competente dell’Inps entro il 1° maggio dell’anno precedente quello durante il quale saranno maturati i requisiti (età, contributi, “quota”) per il diritto al prepensionamento. In particolare, entro il prossimo 1° maggio vanno presentate le domande dei lavoratori che matureranno i requisiti agevolati nel corso del prossimo anno 2023 (messaggio n. 1201/2022). In caso di accoglimento della domanda di riconoscimento del diritto, l’Inps comunicherà la prima data di decorrenza utile per la pensione; in caso contrario comunicherà il rigetto della domanda. Positiva o negativa che sia, la comunicazione è fatta dall’Inps entro il 30 ottobre e si base, oltre che sulla verifica dei requisiti di lavoro, anche sulla verifica delle disponibilità di fondi pubblici.
La domanda per la «pensione».
Per accedere alla pensione è necessario fare anche la domanda di pensione vera e propria, per il cui accoglimento è richiesta, inoltre, la sussistenza di altre condizioni di legge (per esempio, la cessazione del rapporto di lavoro dipendente).
OPZIONE DONNA
Dà possibilità d’incrociare le braccia alle lavoratrici, dei settori pubblico e privato, dipendenti o autonome, che entro il 31 dicembre 2022 compiono 58 anni d’età se dipendenti o 59 anni se autonome, in presenza di almeno 35 anni di contributi. In cambio, però, ricevono la pensione calcolata con il sistema contributivo dopo una “finestra” di attesa di 12/18 mesi.
Rispondendo negativamente alla domanda se sono utili, per maturare il requisito contributivo per opzione donna, anche i contributi figurativi per periodi di malattia e/o di disoccupazione (Naspi, Aspi, ecc..), l’Inps ha spiegato che, ai fini del perfezionamento del requisito di 35 anni, sono utili: i contributi obbligatori (quelli versati durante l’attività di lavoro); i contributi da riscatto e/o da ricongiunzione; i contributi volontari; i contributi figurativi con esclusione di quelli accreditati per malattia e per disoccupazione. Ciò, ha aggiunto l’Inps, in considerazione del fatto che per tali lavoratrici l’applicazione del sistema contributivo è limitata alle sole regole di calcolo.
È stato ancora chiesto all’Inps di sapere se è possibile, per le lavoratrici che hanno maturato il diritto a un’altra pensione in base ai requisiti tempo per tempo vigenti, conseguire la pensione optando per il sistema di calcolo contributivo avvalendosi di opzione donna. L’Inps ha risposto affermativamente: la lavoratrice che ha maturato il diritto ad altro trattamento pensionistico, in base ai requisiti tempo pro tempore vigenti, può conseguire la pensione, al ricorrere dei previsti requisiti, con l’opzione donna.
Alle dipendenti pubbliche bastano 34 anni, 11 mesi e 16 giorni di contributi
Dopo la riforma Fornero, dal 1° gennaio 2012, il requisito dell’anzianità contributiva deve risultare maturato per intero per poter mettersi in pensione. Ad esempio, se occorrono 20 anni di contributi, vanno maturati tutti e 20 gli anni per intero, senza possibilità di arrotondare all’eventuale frazione di mese, cosa possibile in passato (l’arrotondamento era previsto all’art. 59, comma 1, lett. b, della legge n. 449/1997).
Il divieto di arrotondamenti opera dal 1° maggio 2015 per i dipendenti pubblici, i soli ai quali i contributi erano ancora calcolati in anni, mesi e giorni e, tra questi, nello specifico, agli iscritti al fondo speciale del personale dipendente dalle ferrovie dello stato e al fondo di poste. Pertanto, dal 1° maggio 2105, nel determinare l’anzianità di contribuzione necessaria al conseguimento del diritto alla pensione con i nuovi requisiti della riforma Fornero, non è possibile operare alcun arrotondamento, per eccesso o per difetto, alla frazione di mese dal momento che l’anzianità deve essere maturata per intero. L’arrotondamento, invece, continua a operare soltanto nelle seguenti predeterminate ipotesi:
a)regime sperimentale “opzione donna” (servono 35 anni, ma basta maturare 34 anni, 11 mesi e 16 giorni);
b)ex pensione di anzianità al 31 dicembre 2011 per la quale sono richiesti 40 anni di contributi (basta aver maturato 39 anni, 11 mesi e 16 giorni);
c)salvaguardati che raggiungono il diritto alla pensione con 40 anni di contributi a prescindere dall’età (bastano 39 anni, 11 mesi e 16 giorni);
d)pensioni d’inabilità (eccetto per quella dell’art. 2, comma 12 della legge n. 335/1995).
APE SOCIALE
Si rivolge a chi compie, nel corso del corrente anno (e a chi li ha già compiuti anche negli anni passati), i 63 anni d’età, dando la possibilità di mettersi a riposo prima del tempo, in attesa di maturare l’età per la pensione di vecchiaia (67 anni), con il riconoscimento di un sussidio mensile il cui importo massimo può arrivare a 1.500 euro lordi (a carico dello stato).
L’Ape sociale dà la possibilità di mettersi a riposo prima del tempo, in attesa di maturare l’età per la pensione di vecchiaia (67 anni fino al 31 dicembre 2022), a chi ha almeno 63 anni di età e versa in situazione di disagio economico, mediante erogazione di un sussidio mensile il cui importo massimo è di 1.500 euro lordi (a carico dello stato). Queste le condizioni per il diritto:
a)aver cessato l’attività lavorativa;
b)non essere titolare di una pensione diretta;
c)trovarsi in una delle “particolari” situazioni tutelate indicate in tabella;
d)far valere un minimo di 30 anni di contributi (36 anni per chi svolge attività cd “gravose”);
e)maturare una pensione di vecchiaia d’importo non inferiore a 1,4 volte l’importo della pensione minima dell’Inps (circa 734 euro mensili).
Le “situazioni” per il diritto
Potenziali interessati all’Ape sociale sono tutti i lavoratori iscritti all’Inps, compresi quelli della gestione separata. Il diritto si matura alle predette condizioni da parte dei soggetti che si trovano in una delle seguenti situazioni:
a)anzianità contributiva di almeno 30 anni e versare in stato di disoccupazione per licenziamento, dimissioni per giusta causa o per risoluzione consensuale intervenuta nell’ambito della procedura di licenziamento economico e aver concluso la fruizione, da almeno tre mesi, dell’intera indennità di disoccupazione spettante (Naspi, Dis-Coll, etc.). Rientrano in questa categoria anche i lavoratori il cui stato di disoccupazione deriva dalla scadenza naturale di un contratto a termine, a patto che abbiano avuto, nei 36 mesi precedenti la cessazione del rapporto di lavoro, periodi di lavoro dipendente per una durata di almeno 18 mesi;
b)anzianità contributiva di almeno 30 anni e al momento della richiesta dell’Ape sociale assistere, da almeno sei mesi, il coniuge, la persona in unione civile o un parente di I grado, convivente, con handicap grave (ex legge n. 104/1992); ovvero i parenti di II grado (conviventi), qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto 70 anni d’età oppure siano anche loro affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti (divorziati, ecc.);
c)anzianità contributiva di almeno 30 anni ed essere riconosciuto invalido civile di grado almeno pari al 74%;
d)essere un lavoratore dipendente in possesso di anzianità contributiva di almeno 36 anni, che alla data della domanda di accesso all’Ape sociale svolge da almeno 7 anni negli ultimi 10, ovvero almeno 6 anni negli ultimi 7, in via continuativa, una o più delle previste attività gravose (si veda tabella).
Ai fini dell’individuazione delle patologie invalidanti, in presenza delle quali la domanda di verifica delle condizioni di accesso all’Ape sociale può essere presentata anche da parenti di 2° grado o affini entro il 2° grado, l’Inps ha spiegato che, in assenza di un’esplicita definizione di legge, si fa riferimento soltanto alle patologie a carattere permanente, vale a dire:
1)patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell’autonomia personale, ivi incluse le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche;
2)patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali;
3)patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario.
Sconto speciale alle mamme
Uno sconto speciale è previsto a favore delle lavoratrici donne e, in particolare, alle “madri”: hanno diritto allo sconto di 1 anno del requisito contributivo di accesso all’Ape per ogni figlio, fino a un massimo di 2 anni. Ai figli legittimi sono equiparati quelli naturali e gli adottivi. Pertanto, le madri con due figli possono accedere all’Ape con 28 anni di contributi (34 anni, se risultano addette a lavori gravosi), mentre quelle con un figlio con 29 anni di contributi (35 anni per i lavori gravosi).
Due le domande
Il procedimento di riconoscimento e attribuzione dell’Ape sociale prevede la presentazione di due distinte domande, con tempistiche differenti. Per prima cosa occorre il riconoscimento del diritto. Cosa fatta dall’Inps, a seguito di domanda da parte dell’interessato, comunicando:
il riconoscimento del diritto all’Ape con indicazione della prima decorrenza utile, ovvero con differimento della decorrenza (in caso d’insufficienza delle risorse finanziarie); rigetto della domanda, qualora non sussistano le condizioni per il diritto. A questo punto, se c’è diritto, il beneficiario può fare la seconda domanda, che è quella di liquidazione. Non c’è un termine; tuttavia, si tenga conto che l’Ape sociale verrà erogata a partire dal mese successivo a quello di presentazione della domanda.
LE PROFESSIONI GRAVOSE
Operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici
Conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni
Conciatori di pelli e di pellicce
Conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante
Conduttori di mezzi pesanti e camion
Personale delle professioni sanitarie infermieristiche e ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni
Addetti all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza
Insegnanti della scuola dell’infanzia e educatori degli asili nido
Facchini, addetti allo spostamento merci e assimilati .
Personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia
Operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti
Operai dell’agricoltura, della zootecnia e della pesca
Pescatori della pesca costiera, in acque interne, in alto mare, dipendenti o soci di coop
Lavoratori del settore siderurgico di prima e seconda fusione e lavoratori del vetro addetti a lavori ad alte temperature non compresi nel dlgs n. 67/2011
Marittimi imbarcati e personale viaggiante dei trasporti marini e in acque interne
CONTRATTO DI ESPANSIONE
Introdotto dal Decreto Crescita, in via sperimentale, si rivolge alle grandi imprese, quelle che hanno più di 1.000 lavoratori e, in cambio di formazione e di nuove assunzioni, autorizza il licenziamento dei dipendenti prossimi alla pensione con uno scivolo di cinque anni, nonché a ridurre l’orario di lavoro agli altri lavoratori, che sono ripagati in parte con la Cigs (cassa integrazione guadagni straordinaria). La legge di Bilancio del 2021 (legge n. 178/2020) ha ridotto a 500 il requisito dei lavoratori richiesto alle aziende per beneficiare del contratto di espansione limitatamente all’anno 2021 (e a 250, sempre solo per l’anno in corso 2021, nel caso in cui si preveda anche il riconoscimento di un’indennità di accompagnamento alla pensione). La legge di Bilancio 2022 ha ridotto a 50 il requisito dei lavoratori richiesto alle aziende per beneficiare del contratto di espansione per gli anni 2022 e 2023.
La dimensione aziendale
Per il calcolo del requisito occupazionale si fa riferimento ai lavoratori occupati in media nel semestre precedente avendo riguardo alla singola impresa, anche se articolata in più unità sul territorio nazionale, e non ai gruppi di imprese o raggruppamenti temporanei di imprese. Dal calcolo vanno esclusi i lavoratori somministrati, i tirocinanti e gli stagisti. Il lavoratore assente anche se non retribuito (per esempio gravidanza) è escluso dal computo solo nel caso in cui in sua sostituzione sia stato assunto un altro lavoratore, nel qual caso va computato quest’ultimo. Nel calcolo della media, infine, vanno ricompresi nel semestre anche i periodi di sosta attività e di sospensioni stagionali; per le aziende di nuova costituzione il requisito va determinato in relazione solo ai mesi di attività, se inferiori al semestre (in maniera analoga nelle ipotesi di trasferimento di azienda).
Il contratto di espansione
I contenuti obbligatori:
A.numero dei lavoratori da assumere con indicazione dei relativi profili professionali compatibili con i piani di reindustrializzazione o riorganizzazione (l’impresa deve esplicitamente indicare il numero dei lavoratori che programma di assumere, distinti per qualifica e profilo professionale, indicando anche la tipologia di contratto di lavoro offerto che deve essere a tempo indeterminato);
B.programmazione temporale delle assunzioni
C.indicazione della durata a tempo indeterminato dei contratti di lavoro, compreso il contratto di apprendistato professionalizzante (l’impresa deve esplicitamente indicare il numero dei lavoratori che programma di assumere, distinti per qualifica e profilo professionale, indicando anche la tipologia di contratto di lavoro offerto che deve essere a tempo indeterminato);
D.relativamente alle professionalità in organico, la riduzione complessiva media dell’orario di lavoro e il numero dei lavoratori interessati, nonché il numero dei lavoratori (se presenti) che possono accedere alla pensione
Il progetto di formazione e riqualificazione deve essere articolato in modo coerente con il rinnovamento di competenze richiesto dal processo aziendale e deve contenere:
A.misure idonee a garantire l’effettività della formazione e necessarie per fare conseguire al prestatore competenze tecniche conformi alla mansione a cui sarà adibito;
B.i contenuti formativi e le modalità attuative;
C.il numero complessivo dei lavoratori interessati;
D.il numero delle ore di formazione;
E.le competenze tecniche professionali iniziali e finali;
F.le previsioni del recupero occupazionale (almeno il 70% della forza lavoro esistente)
Lo scivolo pensionistico (il pre-pensionamento)
In sede di accordo governativo, le imprese possono raggiungere anche un accordo di mobilità che, corredato dall’esplicito consenso all’uscita anticipata dei lavoratori, consente al datore di lavoro di risolvere il rapporto di lavoro e riconoscere ai lavoratori un’indennità mensile, inclusa eventualmente il periodo di Naspi (di durata da 24 a 36 mesi, che si traducono in un cospicuo risparmio per le aziende) commisurata alla pensione lorda maturata dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro, come determinata dall’Inps.
Possono prestare il consenso all’uscita anticipata (al pre-pensionamento) i lavoratori che:
1.si trovino a non più di cinque anni dal conseguimento della pensione di vecchiaia;
2.abbiano maturato il requisito minimo contributivo;
3.si trovino a non più di cinque anni dal conseguimento della pensione anticipata.
I requisiti devono essere maturati entro il 31 dicembre 2023.
A conti fatti, possono avvalersi dell’opportunità di pre-pensionamento i dipendenti:
•con almeno 62 anni di età unitamente a non meno di 20 anni di contributi (pensione di vecchiaia);
•con almeno 37 anni e 10 mesi di contributi (se uomini) ovvero 36 anni e 10 mesi (se donne), a prescindere dall’età (pensione anticipata).
Qualora il primo diritto a pensione sia quello previsto per la pensione anticipata, il datore di lavoro è tenuto a versare anche i contributi previdenziali utili al conseguimento del diritto, con esclusione del periodo già coperto dalla contribuzione figurativa a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro.
ISOPENSIONE
L’isopensione resta in vigore per altri tre anni. La possibilità di andare in pensione sette anni prima con l’esodo Fornero (c.d. isopensione), già operativa per il triennio 2018/2020, infatti, è stata prorogata al 31 dicembre 2023 dalla legge di Bilancio del 2021. Durante questo periodo, le aziende possono prevedere piani di esubero di personale per il pre-pensionamento dei lavoratori in possesso dei requisiti per ottenere la pensione (vecchiaia o anticipata) entro i successivi sette anni (anziché quattro come previsto in precedenza fino al 31 dicembre 2017). Tre le condizioni:
•che l’anticipo sia massimo di sette anni;
•che sia frutto di accordo sindacale;
•che il datore di lavoro sia d’accordo a farsi carico del costo della “retribuzione-pensione” e relativi contributi per il periodo dell’anticipo della pensione.
TRE FATTISPECIE PER SVECCHIARE LE AZIENDE
Prima ipotesi: accordo sindacale aziendale
La prima ipotesi riguarda il caso in cui, in presenza di eccedenze di personale, il datore di lavoro stipuli un accordo aziendale con i sindacati più rappresentativi a livello aziendale (in genere, quindi, con la Rsa o Rsu). L’accordo è a formazione progressiva, nel senso che si compone di un primo accordo tra le parti che lo sottoscrivono, ossia datore di lavoro e sindacati, ma che si perfeziona con l’adesione del lavoratore, personale e successiva, per cui la cessazione del rapporto di lavoro avverrà per risoluzione consensuale (formula di risoluzione del contratto del lavoro per la quale, si evidenzia, non si paga il nuovo “ticket di licenziamento”)
Seconda ipotesi: accordo sindacale di mobilità
La seconda ipotesi è incardinata nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo, di cui alla legge n. 223/1991 (mobilità). L’accordo, in tal caso, anziché prevedere solo l’accesso alla mobilità, disciplinerà anche la nuova ipotesi di anticipo di “prepensionamento aziendale”, senza però diritto all’indennità di mobilità, evidentemente a favore solo dei lavoratori più prossimi alla maturazione dei requisiti di pensione. Per espressa previsione di legge, anche in questo caso il datore di lavoro non sarà tenuto a versare il ticket di licenziamento
Terza ipotesi: accordo per i dirigenti
L’ultima ipotesi è uguale alla prima con la differenza che interessa esclusivamente il personale con qualifica di dirigente. L’individuazione di una fattispecie ad hoc deriva dal fatto che in questo caso l’accordo deve essere stipulato dal sindacato “stipulante il Ccnl della categoria”, a prescindere dalla rappresentatività presso il datore di lavoro coinvolto. Anche in tal caso l’accordo è a formazione progressiva, perfezionandosi con l’adesione del dirigente
Esodo Fornero
La misura (c.d. isopensione) si rivolge alle aziende e ai lavoratori ai quali mancano al massimo sette anni per maturare il diritto a una pensione (vecchiaia o anticipata): possono incrociare le braccia prima intascando, in attesa di ricevere la pensione vera e propria, una rendita pari allo stesso importo (teorico) della pensione calcolata al momento dell’anticipo del pensionamento. La misura, introdotta a regime dalla riforma Fornero (legge n. 92/2012), mira a risolvere il problema degli esuberi aziendali: se c’è troppo personale, l’azienda può decidere di metterne a riposo una parte, quella più vicina alla pensione.
Requisiti a maglie più larghe
Nel triennio 2021/2023, dunque, si continuerà a potere utilizzare l’isopensione e a mettersi a riposo sette anni prima. Le aziende avranno tempo fino al 31 dicembre 2023 per prevedere i piani di esubero di personale con il prepensionamento dei lavoratori in possesso dei requisiti per ottenere la pensione (vecchiaia o anticipata) entro i successivi sette anni, anziché quattro come previsto fino al 31 dicembre 2017 (e come tornerà a essere dal 1° gennaio 2024).
La media dei 15 dipendenti
La procedura di esodo si applica ai datori di lavoro, di qualunque settore di attività, che impieghino mediamente più di 15 dipendenti. Tale media va calcolata, così come previsto per gli altri istituti a sostegno del reddito (per esempio mobilità o cassa integrazione guadagni), prendendo a riferimento la forza aziendale del semestre precedente la data dell’accordo sindacale per gli esuberi. In tale calcolo dei dipendenti occupati vanno compresi i lavoratori di qualunque qualifica (lavoranti a domicilio e dirigenti inclusi), con esclusione di apprendisti e assunti con contratto d’inserimento e reinserimento lavorativo. Il lavoratore assente ancorché non retribuito (per esempio per gravidanza, o per servizio militare) è escluso dal computo dei dipendenti solo nel caso in cui in sua sostituzione sia stato assunto altro lavoratore; ovviamente in tal caso sarà computato il lavoratore sostituto.
I lavoratori interessati
I lavoratori interessati all’esodo volontario sono coloro che, in un arco di tempo di sette anni (84 mesi, quant’è la durata massima della prestazione a carico del datore di lavoro), maturano il diritto a conseguire una pensione, tenuto conto degli eventuali incrementi alla speranza di vita. L’Inps ha precisato che non può essere accolta la domanda di pensione anticipata nel caso in cui il lavoratore sia già titolare di pensione d’invalidità o di assegno ordinario d’invalidità (circolare n. 119/2013). Questi lavoratori, dunque, non possono accedere all’esodo volontario.
Oltre l’accordo serve una domanda
L’azienda che voglia avvalersi della nuova procedura di esodo volontario deve, prima di tutto, sottoscrivere un accordo aziendale con i sindacati. L’accordo individua lavoratori e condizioni dei licenziamenti con riconoscimento delle prestazioni per questa sorta di prepensionamento.
Stipulato l’accordo, la procedura non è tuttavia ancora operativa, perché l’ accordo acquisita la sua efficacia solo a seguito di specifica validazione da parte dell’Inps; e poi perché occorre che l’Inps accolga pure la domanda a tal fine presentata dal datore di lavoro. La validazione è il risultato di una specifica istruttoria eseguita dall’Inps circa la presenza dei requisiti in capo al datore di lavoro e ai lavoratori. La domanda, per essere regolare, va presentata dal datore di lavoro accompagnata da specifica fideiussione bancaria a garanzia della solvibilità in relazione agli obblighi di fornire la provvista finanziaria per tutta la durata dell’operazione di esodo (massimo quattro anni). Una volta che l’Inps ha accettato l’accordo (con la validazione) e la domanda, scatta per il datore di lavoro l’obbligo a versare mensilmente (all’Inps) la provvista finanziaria per pagare la prestazione e per la contribuzione figurativa correlata. In caso di mancato versamento della provvista mensile, l’Inps notifica un avviso di pagamento e, quando necessario, procede all’escussione della fideiussione.
La prestazione durante l’esodo
La prestazione durante il periodo di esodo è erogata ai lavoratori interessati, su richiesta del datore di lavoro, con decorrenza dal primo giorno del mese successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro. L’importo della prestazione è pari a quello della pensione spettante al lavoratore in base alle regole vigenti all’atto di risoluzione del rapporto di lavoro (ossia all’atto dell’esodo e di accesso alla stessa prestazione). La contribuzione figurativa, che il datore di lavoro si impegna a versare per lo stesso periodo di esodo sulla “prestazione”, evidentemente, peserà sulla misura della pensione (vera e propria) definitiva, al termine del periodo di esodo. Cioè quei contributi saranno valutati nel calcolo dell’importo della pensione definitivamente spettante al lavoratore. La prestazione non è reversibile in caso di decesso del beneficiario; nella triste evenienza, ai superstiti viene liquidata la pensione indiretta secondo le consuete norme, tenendo conto eventualmente anche dei contributi figurativi che sono stati intanto versati a favore del lavoratore durante il periodo di esodo.
Quanto pesa la contribuzione figurativa
La procedura prevede che, per i periodi di erogazione della prestazione a favore dei lavoratori esodati, sia versata, a totale carico del datore di lavoro, la contribuzione figurativa correlata a tale prestazione, utile sia per il diritto che per la misura della successiva pensione (a termine del periodo di esodo). L’Inps ha stabilito che la retribuzione media mensile su cui calcolare i contributi figurativi sia pari alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi due anni, comprensiva degli elementi continuativi e non continuativi e delle mensilità aggiuntive (in sostanza il valore della retribuzione imponibile esposta nel flusso UniEmens), divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33 (formula prefissato per legge). Sulla retribuzione imponibile media mensile così determinata, l’importo da versare a carico del datore di lavoro è pari al prodotto con l’aliquota di finanziamento vigente nel fondo previdenziale di appartenenza del lavoratore, tempo per tempo vigente (l’aliquota di finanziamento del Fondo pensioni lavoratori dipendenti attualmente vigente è pari al 33%). Il versamento va effettuato per il periodo compreso tra la cessazione del rapporto di lavoro e la maturazione dei requisiti minimi richiesti per il diritto a pensione, ossia per tutto il periodo di esodo volontario.
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