GLI AZIONISTI DI PIAZZA MEDA IN ORDINE SPARSO DOPO IL BLITZ DEL GRUPPO FRANCESE
di Luca Gualtieri
Sebbene il ceo Giuseppe Castagna e il presidente Massimo Tononi abbiano avuto un primo confronto a caldo venerdì 8, il blitz che ha portato il Crédit Agricole al 9,2% di Banco Bpm arriverà oggi al vaglio del cda. La riunione, già calendarizzata, non dovrebbe riservare particolari sorprese, sebbene al vertice del gruppo si confrontino punti di vista differenti. La nota diffusa giovedì 7 ha comunque sgombrato il terreno dal sospetto di precipitose levate di scudi. Alla prudenza sembrano orientati anche gli azionisti del gruppo di piazza Meda. «Abbiamo un primo socio che sembra venire con intenzioni buone, di far crescere la banca e hanno dimostrato apprezzamento», ha commentato Marcello Bertocchini, presidente della Fondazione Cr Lucca che, con il suo 1,25%, è tra gli stakeholder più rilevanti dell’istituto nonché uno dei membri dell’accordo parasociale creato nel dicembre del 2020. Un altro soggetto di quella compagine, la Crt di Torino (1,78%), ha preferito per ora non fare commenti sull’iniziativa dell’Agricole. Il silenzio mantenuto dall’ente guidato da Giovanni Quaglia può naturalmente essere giustificato da ragioni di convenienza istituzionale, ma qualcuno nella city milanese suggerisce che l’ipotesi di un’integrazione con Parigi lasci perplessi i torinesi. Non tanto perché l’iniziativa finirebbe per diluire le fondazioni quanto perché, da socio storico di Unicredit, Crt (oggi peraltro impegnata anche sul fronte Generali) potrebbe guardare con maggior favore un matrimonio con piazza Gae Aulenti in cui, non più tardi di nove mesi fa, caldeggiava la nascita di un patto di sindacato. Alla finestra rimane anche la Cariverona (0,5%). L’ente guidato da Alessandro Mazzucco ha ereditato la quota dal vecchio Banco Popolare e ha preferito sinora mantenere una posizione autonoma rispetto alle altre fondazioni, come dimostra la scelta di non aderire all’accordo promosso lo scorso anno che raccoglie anche le quote di Cr Lucca, la Cr Trento e Rovereto (0,028%), Cr Alessandria (0,50%), Fondazione Enpam (1,95%), Cr Carpi (0,101%), Manodori (0,0293%) e Inarcassa (0,54%). L’unico investitore istituzionale a esporsi è stato sinora il fondo Davide Leone & Partners: l’azionista ha fatto sapere a caldo di considerare sottovalutato il valore di Banco Bpm e crede che possa ancora esprimere buona parte del suo potenziale. I vertici dell’intermediario non sono sorpresi che Credit Agricole Italia concordi con questa visione e decida di investire nell’istituto italiano, anche tenendo conto delle opportunità che offre il mercato in questo momento. Credit Agricole – si ritiene al vertice di Davide Leone & Partners – non è solo un investitore ma anche un competitor per il Banco. Se oggi spetterà agli amministratori di piazza Meda fare un primo bilancio del blitz francese, qualcuno sul mercato sta già fiutando potenziali contromosse da parte di altri istituti. Chiedendosi per esempio perché, con una scelta piuttosto insolita, Unicredit abbia posticipato di una settimana la presentazione dei conti trimestrali. (riproduzione riservata)

Difficile un veto italiano col Trattato del Quirinale

di Marco Cecchini
«Bpm snodo inevitabile nel consolidamento del sistema bancario italiano». Il quotidiano Les Echos ha così titolato il commento sulla acquisizione del 9,2% di Bpm comunicata giovedì dal Credit Agricole, aggiungendo che l’operazione dovrebbe essere ben accolta dalle autorità italiane e dal mercato. Il giorno dopo il titolo del Banco è salito del 10% in borsa. La risposta delle autorità, che da anni perorano la necessità del consolidamento, è intuibile anche se non ufficiale né ufficiosa. I francesi non sono diventati i padroni dell’istituto milanese, nel cui Consiglio non hanno neppure chiesto di avere un rappresentante, ma certamente hanno creato i presupposti per un matrimonio scalzando altri numerosi pretendenti, a cominciare da Unicredit che è il vero perdente in questa partita. L’Agricole è già oggi il settimo gruppo bancario italiano grazie alle numerose acquisizioni messe a segno degli ultimi anni. Unendo le forze delle sue attività italiane con quelle di Bpm andrebbe a formare il secondo player creditizio dopo Banca Intesa. Quando Mario Draghi era governatore della Banca d’Italia e Daniele Franco capo del Servizio fiscale, nel solo primo anno di governatorato, quattro importanti istituti bancari si sono fusi andando a formare le due principali realtà italiane del credito: Intesa Sanpaolo e Unicredit Banca di Roma. Nel suo ruolo di banchiere centrale Draghi ha liberalizzato il sistema delle autorizzazioni per le operazioni di fusione e acquisizione in modo che fosse il mercato a scegliere. La sua impostazione non è cambiata quando era presidente della Bce. Sorprenderebbe che lo fosse ora. Qualcuno tuttavia solleva già il problema della italianità e della debordante presenza della finanza transalpina invitando le autorità a tenere gli occhi aperti. Ma la Francia non è la Cina. E se nei confronti dell’ingresso dei capitali cinesi in aziende nazionali il governo Draghi ha attivato più volte la golden share, un atteggiamento analogo o altre forme di «scoraggiamento» apparirebbero incomprensibili nei confronti di un gruppo francese, cioè di un Paese con cui intratteniamo rapporti storici. Tanto più ora che alla guida dei due Paesi siedono due ex banchieri europeisti e liberali come Emmanuel Macron e Mario Draghi, che hanno una comune visione politica ed economica dell’Unione. E hanno firmato lo scorso dicembre il Trattato del Quirinale. Non sono da trascurare inoltre le modalità con cui l’Agricole ha condotto a termine l’operazione, esercitando cioè quello che i giornali francesi hanno definito soft power. L’avvicinamento di Agricole a Bmp infatti non è di ieri. Gia nel 2020 i due istituti avevano firmato un «Accord de coinfidentialité». I due istituti si incrociano in Agos, il gruppo di credito al consumo, posseduto al 60% da Parigi e per il resto da Bpm. I francesi guardano già avanti a possibili collaborazioni nel campo della credit assurance e in altri settori. Il potere esercitato da Agricole è soft ma l’impatto dell’operazione sarà hard. L’onda d’urto potrebbe riportare Unicredit a riconsiderare la possibilità di un ingresso in Mps. Bper che nutriva l’ambizione di una acquisizione dovrà riconsiderare la sua collocazione. Intesa per ora sta a guardare. Il risiko è partito. (riproduzione riservata)
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