di Bianca Pascotto

Ennesimo episodio di comportamento fraudolento di un “collaboratore” assicurativo ed ennesima condanna al risarcimento danni a carico della compagnia assicurativa, ritenuta responsabile ex art. 2049 del codice civile per omessa vigilanza e controllo della condotta di un suo promotore

IL FATTO

Mevio consegna a Tizio la somma di € 31.500 in contanti per l’adeguamento delle sue coperture ed investimenti assicurativi per poi scoprire che nulla era stato investito e nulla era stato versato alla compagnia.

Cita in giudizio avanti il Tribunale di Verona Alleanza Toro spa e Tizio chiedendo la condanna alla restituzione della somma versata.

Il Tribunale rigetta la domanda attorea non essendoci prova dell’avvenuto versamento e parimenti viene rigettato dalla Corte d’Appello di Venezia il promosso appello.

La Corte diversamente dal Tribunale non ravvisa sussistere alcun rapporto tra il sedicente collaboratore e la compagnia e l’incauto affidamento che Mevio aveva riposto Tizio quale collaboratore di Alleanza Toro, non era sorretto da buona fede alla luce delle circostanze con cui si sono svolti i fatti (pagamento in contanti, assenza di quietanza, modalità di sottoscrizione degli investimenti con modalità diverse rispetto alle precedenti…).

La vicenda approda avanti la Corte di Cassazione con quattro motivi di ricorso.

LA SOLUZIONE

Solo una, ma sufficiente, è la doglianza accolta dal Supremo Collegio che, con articolata pronuncia, coglie l’occasione per precisare e delineare i requisiti per l’applicabilità della responsabilità ex art. 2049 c.c. a carico del preponente, sia esso una banca o una compagnia assicuratrice.

Nel caso di specie il “promotore” non era legato da alcun rapporto formale con la compagnia, ma aveva assunto l’incarico di “segnalatore” e aveva il potere di incassare somme dai clienti fino ad un massimo di € 1500.

Partendo da detta considerazione fattuale ed in ragione del concorde orientamento giurisprudenziale sul punto, la Cassazione ricorda che la responsabilità del preponente per i danni causati a terzi dalla condotta illecita di un proprio promotore ex art. 2049 c.c. si configura quando:

1) sussista un rapporto anche di mero fatto, occasionale e ausiliare tra il preposto ed il collaboratore in forza del quale quest’ultimo esercita una attività a favore del preponente, agendo così per suo conto e attribuendo un vantaggio a quest’ultimo;

2) sussista un rapporto di “occasionalità necessaria” tra la condotta illecita dell’agente e l’incarico affidatogli, in modo che l’illecito possa configurarsi quale conseguenza ancorché anomala, ma comunque prevedibile e resa possibile dall’attività attribuita al promotore.

Verificatesi dette due condizioni allora scatta la responsabilità del preponente perché il danno è “…agevolato o reso possibile dalle incombenze demandategli, su cui la preponente aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza” e sotto il profilo causale “…la scelta legislativa di far carico al preponente degli effetti delle attività compiute dai preposti, in quanto egli possa raffigurarsi ex ante quali questi possano essere e possa prevenirli o tenerli in adeguata considerazione nell’organizzazione della propria attività quali componenti potenzialmente pregiudizievoli…”.

La condizione soggettiva (buona o mala fede) del terzo danneggiato in ipotesi di tal fatta non rileva particolarmente giacché ove l’incauto affidamento sia determinato da un comportamento colposo del terzo detta condizione sarà causa di una eventuale riduzione del risarcimento ma non giungerà ad elidere la responsabilità del danneggiante salvo che “gli fosse chiaramente percepibile che la condotta del preposto si poneva in assenza o al di fuori del rapporto con l’intermediario ovvero fosse consapevolmente coinvolto nell’elusione della disciplina legale posta in essere dal promotore finanziario o ancora quando avesse prestato acquiescenza all’irregolare condotta del preposto…”.

De tutto diversamente, invece, si deve ragionare se non esiste alcun rapporto di committenza neppure di fatto, trovando in tal caso applicazione l’art. 2043 c.c..

E qui la buona fede del terzo danneggiato gioca un ruolo fondamentale perché la sua assenza – ergo la colpa del terzo – determina l’esclusione della responsabilità del preponente.

Esposte queste debite premesse il Supremo Collegio statuisce che il giudice d’appello ha errato completamente nell’interpretazione dell’art. 2049 c.c..

Dagli atti è emerso che tra Alleanza Toro spa e Tizio esisteva un rapporto, peraltro mai negato dalla compagnia, che lo legittimava a trattare con i clienti e ad incassare del denaro anche se in misura limita, “Il che è quanto basta, alla luce della richiamata giurisprudenza, a configurare la responsabilità oggettiva e indiretta della società ex art. 2049 cod. civ., la quale, giova ribadire, trova la sua ragion d’essere, per un verso, nel fatto che l’agire del promotore è uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali è ragionevole far corrispondere i rischi”.

L’avere il promotore/segnalatore incassato somme eccedenti il limite della conferitagli autorizzazione costituisce, infatti, condotta, bensì abusiva, ma pur sempre in continuità al potere conferitogli, tale per cui, da un lato, quest’ultimo rimane premessa causalmente efficiente di quella condotta e, d’altro, il suo abuso costituisce evenienza prevedibile e suscettibile di essere prevenuta attraverso opportuna attività di organizzazione e vigilanza.

Se chiari sono i contorni della responsabilità ex art. 2049 per il fatto illecito dei propri agenti, subagenti promotori o segnalatori che dir si voglia, assai poco chiaro e difficile è per la compagnia o per l’agente attuare sistemi di controllo e vigilanza laddove il rapporto di collaborazione sia minimale o addirittura non sia configurabile e vi sia una illecita spendita di falsa rappresentanza.

Corte di Cassazione sentenza del 26 febbraio 2021 n. 5414 in www.cortecassazione.it

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