di Giulia Talone
Che le criptovalute non siano solo uno strumento per fare speculazione finanziaria era chiaro già da tempo: ne ha dato prova Elon Musk quando lo scorso marzo ha annunciato che Tesla accetta pagamenti in bitcoin e lo ha confermato anche Luca Fantacci, co-direttore dell’unità di ricerca Mints dell’università Bocconi in occasione del panel C’era una volta il bitcoin della terza edizione di MilanoCapitali 2021 di Class Editori.
«Le monete digitali devono agganciarsi all’economia reale. Negli scorsi anni il bitcoin è stato oggetto di attività frenetiche di compravendita che non hanno avuto un impatto sui mercati reali, ma la blockchain offre possibilità di sviluppo più tangibili di quanto si pensi», ha affermato. E infatti secondo Valeria Portale, direttrice dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger del Politecnico di Milano, «esistono molti esempi virtuosi di come le tecnologie cripto possano essere applicate ad ambiti diversi». Sono tanti i settori coinvolti, dall’alimentare alla logistica, dalle comunicazioni alla farmaceutica, dalla moda alla pubblica amministrazione «che sfrutta la trasparenza garantita dalla blockchain». Senza dimenticare, ovviamente, il credito. Infatti, se è vero che l’intuizione delle criptovalute era di disintermediare le transizioni bancarie, «in realtà la blockchain disintermedia la custodia dell’asset digitale, non i servizi finanziari costruiti attorno. Per gli operatori c’è ancora spazio», come ricordato da Marco Coda, cryptoasset specialist di Banca Sella.
La prova che le banche possono collaborare con la blockchain è che «sempre più istituti di credito decidono di diversificare la liquidità in bitcoin»: un esempio è dato da Goldman Sachs e Jp Morgan, che ad aprile hanno annunciato di voler offrire ai clienti la possibilità di investire nella criptovaluta creata da Satoshi Nakamoto. Anche gli istituti di credito italiani cominciano a muoversi in questa direzione: a guidarli ci pensa anche Abi attraverso il progetto Spunta Banca, che ha connesso 100 banche in un’unica blockchain in modo da favorire le transazioni tra istituti.
Ma se la blockchain può essere applicata a molti settori, è anche vero che il diritto «fa fatica a tenere il passo di una valuta che, per definizione, è nata per non essere regolata», come ha ribadito Luciano Quarta, avvocato e managing partner di Qrm&p. «Il fatto che le applicazioni di questa tecnologia siano molteplici ne rende molto più difficile la regolamentazione». L’Italia ha le carte in regola per colmare il gap digitale con il resto del mondo, ma non bisogna permettere che «senza un framework normativo si metta un freno alle aziende del Paese disposte a innovare, con il rischio che vadano a sperimentare all’estero», ha sostenuto Portale.
Il problema, secondo Coda, è che «le istituzioni sono restie ad affrontare l’argomento». La questione è delicata, perché da un lato è necessario un apparato normativo completo e uniforme, dall’altro nella realtà cripto persiste l’opposta tendenza «al decentramento organizzativo». Un chiaro esempio è dato dal tema del riciclaggio, facilitato dalla tecnologia diffusa e anonima della blockchain. A rallentare ulteriormente i progressi legislativi contribuisce la stigmatizzazione delle criptoattività: «A oggi è ancora radicata la convinzione che le monete digitali siano uno strumento per finanziare attività illegali», ha ricordato Quarta. Insomma, tra l’anonimato delle cripto e la necessità di termini legali netti sembra esserci una contraddizione in termini. Eppure l’esempio della Svizzera dimostra che è possibile risolvere almeno in parte questo conflitto: la Confederazione elvetica, infatti, «è molto avanti nelle definizioni legali. La classificazione svizzera dei token in base al loro utilizzo ne permette l’assimilazione a strumenti finanziari già regolamentati», ha spiegato Fantacci.
Alla luce dell’impreparazione delle istituzioni nel gestire la transazione cripto, non sorprende dunque lo scetticismo nei confronti delle monete digitali, che proprio mercoledì scorso sono finite nel mirino di Consob e Bankitalia per l’alta volatilità e la scarsa trasparenza. La soluzione, quindi, potrebbe essere quella di spostare il dibattito «cripto sì, cripto no» su nuovi fronti: uno tra tutti, come costruire un solido apparato legislativo in grado di regolare quello che sembra essere un cambiamento ormai irreversibile. (riproduzione riservata)
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