di Francesco Bertolino
La pandemia non sarà una riedizione della crisi finanziaria del 2008, quantomeno per le economie avanzate. Parola del Fondo Monetario Internazionale che ieri ha rivisto al rialzo le stime di crescita per il 2021 e per il 2022. Dopo una contrazione senza precedenti del 3,3% nel 2020, quest’anno l’economia mondiale crescerà del 6% anziché dello 0,5% previsto a gennaio, mentre l’anno prossimo l’incremento sarà del 4,4%. All’interno di questo quadro positivo si nascondono però traiettorie profondamente divergenti che rischiano di accrescere la diseguaglianza globale, cancellando anni di progressi da parte dei Paesi più poveri. Grazie alla grande capacità di indebitamento e all’ampia disponibilità di vaccini, avverte il Fmi, le economie avanzate hanno potuto contrastare l’impatto della crisi con la spesa pubblica e a breve riusciranno ad uscire dall’emergenza pandemica, recuperando rapidamente quanto perso nel 2020. Sull’onda dei monumentali piani di stimolo della Federal Reserve e della Casa Bianca, per esempio, il pil americano aumenterà del 6,4% nel 2021 e del 3,5% l’anno seguente. Dopo che la Cina vi è già riuscita nel 2020, gli Stati Uniti saranno così la prima grande economia occidentale a lasciarsi alle spalle la pandemia, superando già nel 2022 le stime di crescita elaborate prima del cigno nero sanitario.
Anche l’eurozona rimbalzerà, ma a un’altezza inferiore: nel 2021 la sua economia crescerà del 4,4% e nel 2022 del 3,6%. Il Fmi ha perciò alzato significativamente le stime anche per l’Italia il cui pil salirà del 4,2% quest’anno (+0,6%) e del 3,6% l’anno successivo. Viceversa, in mancanza di un sostegno sanitario e finanziario multilaterale, i Paesi meno avanzati rischiano di subire a lungo le conseguenze dello choc da Covid-19. Secondo l’Fmi, nel periodo 2020-24 il pil pro-capite nei Paesi a basso reddito sarà in media inferiore del 5,7% rispetto ai pronostici pre-pandemici, mentre il calo sarà del 4,7% nelle economie emergenti. Ciò rischia di eliminare anni di progressi nella riduzione della diseguaglianza globale, spingendo oltre il limite dell’estrema povertà 95 milioni di persone in più rispetto alle stime precedenti alla diffusione del coronavirus.
Neanche per i Paesi avanzati la crisi sarà del tutto innocua. Il Fmi suggerisce di mantenere politiche monetarie accomodanti e sostegni pubblici a imprese e famiglie almeno sinché le vaccinazioni non avranno posto fine all’emergenza sanitaria. Dopodiché le misure di supporto, incluse moratorie sui prestiti e cassa integrazione, dovranno essere gradualmente ritirate e sostituite con strumenti in grado di allineare imprese e lavoratori alla nuova realtà post-pandemica. I governi dovrebbero valutare la conversione dei prestiti a sostegno della liquidità in capitale di rischio per le aziende con prospettive di crescita. Dovrebbero inoltre finanziare programmi di riqualificazione della forza-lavoro. Per l’istituzione diretta da Kristalina Georgieva, infatti, la trasformazione digitale e la transizione verde accelerate dall’attuale crisi sono irreversibili e richiedono un adattamento delle produzioni e del capitale umano. Non si tratterà di un processo indolore. Con il venir meno delle misure eccezionali, avverte l’Fmi, le insolvenze potrebbero aumentare di molto, mettendo a rischio un posto di lavoro su 10 in molti Paesi. Senza contare che il ricollocamento di molti lavoratori causerà probabilmente una diminuzione dei loro salari, aumentando quindi la diseguaglianza di reddito anche nelle economie avanzate. Le previsioni scontano infine un elevato grado di incertezza legato non solo a possibili ritardi nelle vaccinazioni o all’emersione di nuove varianti resistenti agli antidoti, ma anche all’esiziale rischio finanziario rappresentato da un eventuale repentino rialzo dei tassi d’interesse negli Stati Uniti. (riproduzione riservata)
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