di Francesco Bertolino
L’Esma accusa i gestori europei di penalizzare i piccoli risparmiatori rispetto ai grandi investitori. In uno studio pubblicato ieri la Consob comunitaria ha stimato che il retail nel 2019 ha pagato in media il 40% in più degli istituzionali, indipendentemente dalla categoria di fondo comune prescelto: azionario, obbligazionario o misto. La sproporzione è ingiustificata ed è scesa solo marginalmente nel corso degli ultimi anni, contrariamente agli auspici dell’autorità di borsa europea. L’elevata incidenza dei costi sugli investimenti è infatti anche deleteria rispetto all’obiettivo di coinvolgere il risparmio privato nel finanziamento della ripresa economica. Con un investimento di 10.000 euro in un portafoglio diversificato, calcola l’Esma, sulla carta un investitore retail avrebbe potuto ottenere dopo 10 anni 21.800 euro. In realtà a causa di commissioni di ingresso, uscita, gestione e performance il risparmiatore riesce a portare a casa soltanto 18.600 euro. Detto altrimenti, 3.200 euro se ne vanno in costi. Dalle analisi dell’Esma emerge peraltro che i costi di gestione sono particolarmente elevati in Italia e sono più alti per le gestioni attive che per quelle passive.
Secondo l’Esma, però, quest’ultima differenza non è compensata da performance superiori. Anzi, sottraendo i costi Etf e fondi indicizzati hanno ottenuto nell’anno di riferimento risultati migliori ai fondi attivi. Non può allora stupire che negli ultimi anni i flussi di investimento si siano indirizzati in prevalenza verso le gestioni passive, attraendo una quota crescente dei 4.500 miliardi investiti dai risparmiatori europei in fondi comuni. Né può sorprendere che, pur esponendosi a grandi rischi, di recente un buon numero di piccoli risparmiatori abbia deciso di mettersi in proprio improvvisandosi trader sulle piattaforme a zero commissioni. L’unica nota positiva nel rapporto Esma riguarda i fondi con strategie di investimento improntate a parametri di sostenibilità. «I fondi comuni azionari Esg hanno sovraperformato quelli non-Esg soprattutto per fattori settoriali», osserva lo studio. «In base alle evidenze i fondi Esg gestiti attivamente hanno costi inferiori a quelli non Esg», il che porta l’Esma a escludere l’esistenza di fenomeni di sistematico greenwashing nel settore. (riproduzione riservata)
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