GLI SCENARI SUL RITORNO AI LIVELLI PRE-CRISI SECONDO GLI ULTIMI REPORT DI EY E CRIF
Pagine a cura di Roxy Tomasicchio
Il 2022: è questa la data stimata per il ritorno ai livelli pre-crisi di fatturati e redditività delle imprese. E la strada per arrivare a questo risultato passa dalla trasformazione aziendale, anche attraverso cessioni, fusioni e acquisizioni, anche all’estero. Tenendo conto, tuttavia, che la crisi ha lasciato segni profondamente diversi da settore a settore.
A delineare il quadro sono due report, il Global capital confidence barometer (CCB23) di EY e l’Osservatorio Pulse di Crif, il cui comune denominatore è dato appunto dalla prospettiva di ripresa tra un anno.
L’EY Global Capital Confidence Barometer: investimenti e M&A per la ripartenza. Il 16% delle aziende italiane, a seguito della crisi, non ha subito danni sui ricavi e solo il 7% non ha registrato effetti sulla redditività. Ma a questo scenario cupo fa da contraltare una prospettiva rosea: il 91% delle imprese stima di tornare a livelli di fatturato pre-Covid nel 2022 e il 67% entro lo stesso anno conta di tornare ai livelli di redditività del 2019. In che modo? Secondo l’indicatore di EY, giunto alla 23ª edizione, le aziende stanno giocando in difesa, ma con un orizzonte temporale a breve termine e con un approccio conservativo. Il 14% degli italiani, contro il 22% di quelli a livello globale, è impegnato nell’analisi degli impatti a lungo termine sul proprio modello di business; il 12% (il 19% a livello globale), sta definendo le aree di investimento necessarie dal punto di vista delle tecnologie e solo l’8% in Italia contro il 16% a livello globale ha espresso la necessità di investire sulla formazione delle proprie risorse umane.
Obiettivo delle aziende italiane è il recupero in termini di efficienza operativa e redditività: più della metà (55%) è impegnato in programmi di trasformazione aziendale, per esempio attraverso riduzione dei costi operativi (32%); set up di modelli operativi maggiormente scalabili ed efficienti (21%); set up di modelli operativi maggiormente flessibili (19%); incremento dei ricavi (10%). Non solo. Per sostenere la ripresa dei ricavi, le imprese stanno esaminando il proprio portafoglio servizi e prodotti senza trascurare di cedere asset non core e non performanti. Il 35% degli imprenditori in Italia (49% a livello globale) dichiara di voler perseguire attività di M&A nei prossimi 12 mesi; oltre la metà (53%, contro il 34% a livello globale) ritiene di focalizzare l’attività di fusioni e acquisizioni per aumentare le proprie capacità operative, mentre solo il 26% degli intervistati in Italia, contro il 43% a livello globale, ha dichiarato di voler perseguire l’acquisizione di competitor per incrementare la quota di mercato.
Il contesto di pandemia globale ha costretto la maggioranza delle imprese italiane (il 71%) a modificare i piani di investimento previsti nei prossimi 12 mesi: oltre la metà (56%) ha posticipato gli investimenti pianificati, mentre più di un terzo (44%) ha interrotto del tutto il piano di sviluppo, in attesa di un orizzonte più chiaro.
In questo contesto, fusioni e acquisizioni, le cosiddette M&A, possono essere determinanti. «Una delle caratteristiche cardine del tessuto imprenditoriale italiano, ovvero essere costituito da pmi», commenta Marco Daviddi, Mediterranean leader per l’area Strategy and Transactions di EY, «se nel passato ha rappresentato una ricchezza e un’opportunità, sempre più, anche nel contesto della pandemia, rappresenta un limite. Favorire processi di aggregazione aziendale, su filiere settoriali e produttive, si conferma, quindi, necessità cruciale nel nostro Paese, non solo, in termini di sostenibilità e resilienza, ma anche, per agevolare i processi di innovazione e garantire sviluppo a lungo termine».
Osservatorio Pulse di Crif: una resilienza per ciascun settore. Lo shock economico causato dalla pandemia è innegabile, ma il quadro congiunturale è caratterizzato da un’elevata eterogeneità degli effetti sia a livello settoriale, sia per singola impresa. L’ultimo aggiornamento del monitoraggio di Crif, azienda specializzata in informazioni creditizie, ha messo in luce come il crollo del fatturato delle imprese italiane registrato nel 2020 non verrà recuperato interamente nel 2021: se le stime di crescita sono del +7,5%, la perdita attesa è dell’11,1% nel 2020. Si dovrà attendere il 2022 (+2,7% vs 2019) per tornare ai livelli pre-crisi. Anche in termini di marginalità attesa, nel 2022 proseguirà il trend di ripresa iniziato nel 2021, riallineandosi con il livello pre-crisi anche se non totalmente. Tuttavia, sia sul fronte delle dinamiche di fatturato sia di marginalità operativa, diversi settori resteranno al di sotto dei livelli pre-crisi anche nel 2022, a testimonianza dell’orizzonte di medio termine necessario ai settori più colpiti per tornare sui livelli di operatività ordinaria, anche per effetto delle nuove abitudini dei consumatori (distanziamento sociale, smartworking, digitalizzazione). Infatti, i comparti più colpiti sotto l’aspetto di ricavi e margini operativi sono quelli correlati alla sfera del turismo (trasporto aereo, servizi di alloggio e agenzie di viaggio). In questi casi, anche nel 2022 il fatturato sarà inferiore di circa il 20% alla situazione pre-crisi. Non da meno il settore del commercio di autoveicoli (-4% di fatturato e -6,6% di marginalità nel 2022 vs 2019) e quello delle costruzioni, per quanto queste ultime, potendo beneficiare di misure di supporto specifiche introdotte dal Governo (es. superbonus) ci si attende possano riuscire, quantomeno in termini di fatturato, a riassorbire già nel 2022 gli impatti della pandemia (+2,3% rispetto al 2019).
Non ci sono solo effetti sul piano economico, ma in un’ottica di rischio creditizio vanno considerati attentamente gli impatti sotto il profilo finanziario: buona parte dei settori economici continuerà a mostrare flussi di cassa negativi come conseguenza della contrazione di fatturati e margini operativi e dell’allungamento del ciclo del capitale d’esercizio, solo parzialmente compensabili tramite la riduzione o il rinvio degli investimenti. Tale situazione, combinata alle importanti scadenze di debito finanziario a breve termine, per quanto in parte rinviate e rimodulate tramite il ricorso allo strumento delle moratorie e alle varie forme di credito supportato da garanzie statali, creerà per numerosi settori e aziende l’esigenza di reperire significativi importi di nuova finanza entro il 2021, sino a raggiungere per i settori più colpiti (turismo) e/o finanziariamente più esposti (agricoltura) percentuali di fabbisogno prossime al 50% del fatturato. Una quota rilevante di tale esigenza finanziaria passerà attraverso il sistema bancario, che nel prossimo biennio, a fianco dello Stato, avrà un ruolo chiave nel processo di rilancio e di supporto dell’economia italiana, soprattutto per quanto riguarda le piccole-medie imprese.
Fondamentale, secondo gli analisti Crif, focalizzare l’attenzione sulle caratteristiche delle singole realtà aziendali. Così come anche tra i cosiddetti «Top performer» (farmaceutica, consulenza, chimica e Ict, Media e Telco) c’è una quota di imprese a medio-bassa resilienza e capacità di ripartenza (imprese dei segmenti middle e bottom), allo stesso modo, all’interno di comparti più esposti agli effetti della crisi (turismo e i singoli micro-settori a esso collegati) si individuano comunque imprese solide e con elevate probabilità di superare la fase economica contingente e di assorbirne gli impatti (imprese dei segmenti top e upper).
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