Assemblea e migrazione completano l’integrazione della banca
Un processo durato nove mesi che ha interessato tutte le strutture, dalle filiali alle assicurazioni, dall’asset management fino agli immobili
i Luca Gualtieri
Ogni banchiere sa che, per quanto complesso, l’acquisto è solo il primo atto dell’integrazione di un istituto di credito. Lo sa bene soprattutto chi ha gestito le fusioni di Cariplo e Ambroveneto o di Comit e Intesa che, oltre 20 anni fa, avviarono la costruzione di Intesa Sanpaolo. Nel 2020 proprio quel gruppo ha conquistato Ubi Banca al termine di un’offerta pubblica come da tempo non si vedeva nel settore finanziario italiano. Se l’opas ha occupato poche settimane, l’integrazione della ex popolare lombarda ha invece richiesto nove mesi di lavoro al management di Intesa. Fino all’atto finale, rappresentato simbolicamente dall’assemblea che venerdì 9 ha approvato il bilancio 2020 di Ubi e dal passaggio informatico della rete Ubi nel gruppo guidato da Carlo Messina (operazione Baudelaire) che ha occupato il successivo fine settimana.
Giunge così a «compimento un percorso che porta all’ulteriore rafforzamento del ruolo di gruppo leader europeo e punto di forza dell’economia del nostro Paese», ha dichiarato Gaetano Miccichè, amministratore delegato di Ubi e tra i protagonisti dell’integrazione. Le tappe intermedie di questo processo però sono state numerose. In primo luogo Intesa ha dovuto assolvere agli impegni presi con l’Antitrust nell’ambito dell’offerta. La trattativa con l’authority guidata da Roberto Rustichelli si è dipanata attraverso la primavera scorsa e ha inizialmente presentato un certo grado di complessità, al punto da costringere Intesa e Ubi a rivedere il perimetro dell’operazione. L’operazione concordata con Modena prima del lancio dell’opas si è comunque conclusa nel febbraio scorso con la cessione dei 620 sportelli (486 filiali e 134 punti operativi) per 644 milioni. Se i rami d’azienda di proprietà di Ubi e di Ubiss sono già stati trasferiti, quello di proprietà di Ca’ de Sass passerà a Bper dal 21 giugno. Sempre all’inizio dell’anno inoltre sono stati ceduti alla Popolare Puglia e Basilicata altri 26 sportelli.
Per quanto riguarda le fabbriche prodotto, Intesa ha risolto diverse alleanze strette da Ubi per unificare le attività nella capogruppo. Sul fronte delle assicurazioni vita sono state anticipate le scadenze degli accordi con Cattolica e Aviva, mentre nel danni è stata chiusa un’operazione analoga con Bnp Paribas su Cargeas Assicurazioni per un valore di 390 milioni. Nell’asset management, invece, Ca’ de Sass ha raggiunto un accordo con il colosso americano Prudential per rilevare il 35% non ancora posseduto in Pramerica, la sgr di cui Ubi deteneva il 65%. La logica di evitare duplicazioni di strutture ha sotteso non solo i deal con terze parti ma anche quelli sulle fabbriche interamente possedute. Intesa ha infatti deciso la fusione nella capogruppo di Ubi Factor, Ubi Leasing, Ubi Academy e Ubi Sistemi e Servizi (la società specializzata nelle attività It del gruppo lombardo), mentre è rimasta societariamente autonoma Iw Bank, l’istituto specializzato nell’offerta di servizi finanziari e bancari online. Particolare attenzione è andata anche al comparto immobiliare. Se molti sede storiche sono state mantenute come quelle di Bergamo e di Brescia, su alcuni asset non è ancora stata presa una decisione. Sarebbe per esempio ancora oggetto di approfondimenti la destinazione del grattacielo che, nelle settimane immediatamente precedenti all’annuncio dell’opas, Ubi aveva scelto come quartier generale nel quartiere milanese di Porta Nuova. (riproduzione riservata)
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