di Anna Messia
Niente dichiarazioni pungenti rilasciate ai giornalisti a margine dell’assembela Generali che oggi si terrà da Trieste via web. Ma il vice presidente vicario Francesco Gaetano Caltagirone ha trovato comunque il modo di fare molto rumore anche senza parlare, decidendo, con un atto tanto simbolico quanto clamoroso, di non depositare il suo 5% di azioni in vista dell’assise chiamata ad approvare il bilancio 2020 della compagnia triestina. L’imprenditore ha già di fatto dato il suo via libera ai conti del gruppo, in quanto membro del consiglio di amministrazione, ma la sua scelta di non partecipare all’assemblea è l’ennesima riprova di una frattura in atto già da mesi tra gli azionisti, con un segnale chiaro inviato alla compagnia guidata dal ceo Philippe Donnet ma anche e forse soprattutto a Mediobanca (si veda MF-Milano Finanza del 17 aprile). Un malcontento che ha trovato spesso le posizioni di Caltagirone allinenate a quelle di Leonardo Del Vecchio, che di Generali detiene poco meno del 5% e che è arrivato al 13,2% di Mediobanca, con quest’ultima che a cascata controlla il 13% del Leone. La prima spaccatura c’è stata a metà dello scorso anno, con l’operazione che ha portato Generali a rilevare il 24,4% di Cattolica. Una scelta che non è stata per nulla gradita ai due imprenditori, come raccontato da questo giornale, e il contrasto si è palesato di nuovo nelle scorse settimane. Il consiglio di amministrazione si è trovato diviso sull’operazione di crescita di Generali in Malesia, dove in ballo ci sono gli asset messi sul mercato da Axa, con una parte del cda (in quota Caltagirone e del Vecchio) che si è astenuto o ha votato contro e l’imprenditore romano che ha chiesto di spuntare un prezzo più basso. In questi mesi Donnet ha dovuto poi rinunciare a due manager di fiducia, che lui stesso aveva chiamato a Trieste per dare attuazione al piano industriale, il general manager Frederic de Courtois e il capo delle gestioni Tim Ryan, passati nel giro di pochi mesi ai diretti concorrenti (il primo in Axa e il secondo in Natixis). La sensazione è che lo scontro tra i soci riguardi soprattutto la governance della compagnia, con Caltagirone e Del Vecchio che visti i ripetuti acquisti di azioni messe in atto negli ultimi tempi, vorrebbero oggi contare di più nelle decisioni strategiche della compagnia rispetto a Mediobanca. A guardare i risultati raggiunti in questi anni da Donnet, le soddisfazioni agli azionisti non sono comunque mancate: dal 2017 a oggi la compagnia ha pagato 7 miliardi di euro di cedole e se il 2021 andrà come previsto arriveranno altri 1,6 miliardi. Ma bisognerà anche tentare di ricucire lo strappo prima di aprile 2022 quando l’intero consiglio di amministrazione, Donnet compreso, arriverà a scadenza. Senza una tregua rischiano di essere 12 mesi di fuoco. (riproduzione riservata)
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