di Anna Messia
Sono sei i principali paletti che dovranno essere rispettati dalle imprese per avere accesso ai prestiti bancari superiori a 25 mila euro garantiti da Sace e necessari a far fronte all’emergenza economica generata dal coronavirus. L’obiettivo è offrire liquidità alle imprese che hanno visto il business frenare a causa del lockdown, ma non a quelle che avevano già una situazione di precarietà finanziaria. Uno scenario che non sembra affatto gradito alle imprese, con Confindustria pronta a dare battaglia per modificare il decreto Liquidità e includere anche le società in turnaround, in modo da vanificare gli sforzi di rilancio, oltre che per prevedere un salvagente per i crediti unlikely to pay (utp). Nell’accordo siglato tra Abi e Sace per fissare le regole della garanzia e dei prestiti viene invece ricordato che, per il via libera all’operazione, la banca, al 29 febbraio scorso, deve avere classificato in bonis il cliente, il quale deve essere privo di esposizioni scadute e deteriorate, inadempienze probabili e sofferenze. Paletti cui si aggiungono altri tre vincoli fissati dalle banche: in particolare, si prevede che l’incidenza della perdita di esercizio rispetto al patrimonio netto sia inferiore al 50% e il rapporto tra l’ammontare dei debiti rispetto al patrimonio netto negli ultimi due anni deve essere inferiore a 7,5. Mentre il rapporto tra ebitda (o margine operativo lordo) e oneri finanziari degli ultimi due anni deve essere maggiore di 1. Le ultime due condizioni non valgono per le pmi. E vale la pena aggiungere un altro dettaglio. «Le banche potrebbero decidere autonomamente di alzare l’asticella dei requisiti richiesti alle imprese rispetto ai vincoli minimi fissati nell’accordo», spiega l’avvocato Marco Romanelli, partner dello studio Carbonetti che ha lavorato alla definizione degli accordi tra Sace ed enti creditizi. «L’istruttoria rimane prerogativa esclusiva delle banche e, se c’è il loro via libera, l’analisi demandata a Sace di regola è circoscritta alla verifica di completezza della delibera di fido, con esclusione di autonome analisi circa il merito creditizio dell’impresa finanziata». Non a caso, come spiegato ieri su MF-Milano Finanza, Sace si è riservata ispezioni ex-post a campione nelle sedi delle banche e delle imprese. «Il decreto ha dato a Sace un ruolo significativo nel sostegno al sistema economico ma le banche non sono state obbligate a fare credito alle imprese, anche perché gli istituti mantengono la responsabilità, anche penale, delle decisioni prese», aggiunge Romanelli. Non a caso Abi nei giorni scorsi ha chiesto uno scudo penale e ieri ha proposto la messa a punto di una griglia di requisiti selettivi delle imprese richiedenti per garantire sufficientemente la banca nella valutazione. «Quanto più si riuscirà a ridurre la necessità di valutazione da parte della banca e quanto più sarà puntualmente delineata la sua responsabilità, tanto maggiore potrà essere la velocità nel processo creditizio», ha detto Giovanni Sabatini, dg dell’Abi, suggerendo l’apertura di conti dedicati. (riproduzione riservata)
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