La rendita ai superstiti costituisce una prestazione previdenziale che spetta iure proprio e non iure successionis.

Il diritto non appartiene al patrimonio del defunto perché nasce alla morte dell’assicurato; i titolari sono previsti dalla legge e l’indennità non si confonde con il patrimonio del defunto.

Di conseguenza si prescinde dalla circostanza che per l’infortunio sul lavoro o per la malattia professionale sia stata già costituita la rendita, ed essa compete nonostante che la rendita sia stata liquidata in capitale all’infortunato e da questa investita.

Non è vincolata dal preesistente accertamento amministrativo dell’esistenza di postumi invalidanti, trattandosi di un diritto autonomo che prescinde del tutto dalla titolarità della rendita.

Pertanto, il diritto alla rendita ai superstiti non è condizionato nemmeno dal fatto che l’aggravamento della malattia che ha cagionato la morte della persona sia avvenuto entro i termini previsti per l’istituto della revisione della rendita erogata al de cuius.

Tale ultimo istituto è diretto invece all’adeguamento della rendita goduta in vita dal lavoratore; e non si confonde con la rendita ai superstiti la quale, come già detto, prescinde dalla circostanza che per quello stesso evento fosse già stata costituita o meno la rendita in favore del lavoratore deceduto e pertanto prescinde pure dal fatto che la stessa rendita fosse stata adeguata o meno in relazione all’aggravamento che ha cagionato la morte.

Nella rendita ai superstiti l’evento protetto dalla tutela previdenziale è perciò la morte del lavoratore che secondo una presunzione legislativa crea una situazione di bisogno per i familiari del defunto, i quali sono i soggetti protetti e i titolari del diritto.

Cassazione civile sez. VI, sentenza del 26/11/2019 n. 30879

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