Prima della pandemia da Coronavirus, le grandi aziende avevano sottratto quote di mercato a quelle più piccole, soprattutto nel settore tecnologico, dove le piattaforme digitali favoriscono gli operatori già presenti e i pionieri. In effetti, diversi indicatori mostrano che le economie avanzate hanno visto diminuire il livello di competizione negli ultimi due decenni, in particolare negli USA.
La storia suggerisce che il rallentamento economico accentuerà le divisioni esistenti tra le aziende. Nelle ultime tre recessioni, i prezzi delle azioni delle imprese americane (in dieci settori) del quartile superiore sono aumentati in media del 6%, mentre quelli del quartile inferiore sono diminuiti del 44%.
Una divergenza di performance simile è evidente nelle prime fasi della crisi da COVID-19. Secondo un recente studio, i titoli delle 100 aziende più resilienti negli Stati Uniti e in Europa – definite da buffer di cassa relativamente ampi, bassa leva finanziaria e bassi interessi sul debito – sono diminuiti di circa il 17% tra metà febbraio e metà marzo, a fronte di un calo del 33% delle 100 aziende più deboli.
“Alcune società verranno acquisite e alcuni player più deboli non sopravvivranno e dichiareranno fallimento”, afferma Giles Parkinson, Global Equities fund manager di Aviva Investors. “In parte, questo è ciò che accade durante le recessioni, in quanto danno il colpo di grazia mettendo fine alle sofferenze di aziende decotte”.
A causa delle misure di contenimento adottate oggi, le aziende che subiscono i danni peggiori sono quelle dei settori viaggi, tempo libero e retail, in quanto gli aerei non volano, le frontiere e i negozi chiusi. Negli ultimi anni le imprese più deboli all’interno di questi settori sono state sostenute dai bassi tassi d’interesse e dall’accesso facile al capitale.
Altrove le condizioni del lockdown sembrano favorire i giganti del tech, già oggi tra le società più redditizie al mondo. Sempre più persone fanno acquisti online, sostenendo l’e-commerce di Amazon, mentre l’aumento del gaming online andrà a beneficio della sua divisione Twitch, il player dominante nel mercato dell’e-sport. Allo stesso modo, Apple e Netflix stanno beneficiando di una maggiore domanda di servizi di streaming. Anche le aziende delle telecomunicazioni, quelle che forniscono infrastrutture per i dati e tecnologie per il lavoro a distanza dovrebbero trarre beneficio in questo contesto, in quanto le persone sono passate dalle scrivanie degli uffici ai tavoli delle cucine.
Vincitori e vinti
In The Myth of Capitalism: Monopolies and the death of competition, scritto insieme a Jonathan Tepper, Denise Hearn ha documentato la crescente concentrazione nei vari settori dell’economia statunitense e ritiene che il COVID-19 probabilmente accelererà questi trend.
“Le aziende che si trovano nelle fasce di mercato non ancora occupate dal potenziale monopolista sono molto preoccupate che la crisi fornisca a questi ultimi un vantaggio competitivo. Imprese come Amazon stanno assumendo 100.000 lavoratori, mentre quasi il 10% della forza lavoro americana ha richiesto sussidi di disoccupazione”. La crisi potrebbe portare ad un’ulteriore concentrazione anche in altri settori.
I dati indicano che negli ultimi due decenni i mercati statunitensi hanno visto accentuarsi il livello di concentrazione. Il numero di società quotate si è dimezzato tra il 1997 e il 2013 e il numero di nuove “matricole” è diminuito. I profitti sono sempre più concentrati tra le aziende leader rimanenti: il 10% delle società quotate genera l’80% dei profitti totali a livello globale, secondo McKinsey.
Sono state fornite varie spiegazioni in merito a queste tendenze. Una è data dai cambiamenti in atto nell’economia. Le aziende tecnologiche sono cresciute rapidamente grazie all’effetto network, creando piattaforme digitali che migliorano quanto più le persone le utilizzano, facendo di fatto venir meno la concorrenza. Mentre altri settori integrano le tecnologie digitali, l’effetto network si sta diffondendo in tutte le economie. Le aziende più piccole non riescono a tenere il passo e tendono a tagliare gli investimenti in nuove idee e processi, restando così ancora più indietro. Le grandi aziende inoltre stanno usando sempre più la loro influenza politica per sbaragliare la concorrenza e le normative aziendali esistenti, così da rafforzare il loro vantaggio competitivo.
Monopolio e monopsonio
Perché tutto ciò è importante? Le aziende leader tendono ad essere più redditizie, non solo perché hanno poca concorrenza, ma perché sono ben gestite, efficienti e innovative.
Ma il dominio di un’azienda può anche portare benefici sociali o economici: pochi sosterrebbero che il mondo sarebbe migliore senza l’iPhone di Apple oppure Office di Microsoft, soprattutto perché queste tecnologie permettono al mondo di rimanere connesso durante il lockdown. A differenza della Standard Oil all’inizio del XX secolo, queste aziende non sembrano utilizzare la loro posizione per imporre prezzi eccessivi ai clienti, cioè la considerazione chiave su cui si basa la moderna normativa antitrust.
Tuttavia, la mancanza di concorrenza può danneggiare i consumatori. Prendiamo le reti a banda larga. Negli Stati Uniti, il 75% dei clienti ha accesso ad un solo internet provider, mentre i rimanenti ne hanno di solito solo due tra cui poter scegliere. Il costo medio mensile della connessione è di 68 dollari, rispetto a meno di 40 dollari per una connessione equivalente nella maggior parte dell’Europa, dove ci sono più provider.
Un recente studio del Fondo Monetario Internazionale ha rilevato che negli ultimi due decenni il mark-up è aumentato in diversi settori. Questi aumenti di prezzo sono correlati alla crescente concentrazione del mercato, in quanto le grandi imprese già presenti sono responsabili della maggior parte dell’aumento nel periodo. La tendenza è evidente in tutte le economie avanzate e in diversi settori, anche se negli Stati Uniti è più marcata.
Tra le forze in gioco c’è il monopsonio, cioè il potere monopolistico di un acquirente in un dato mercato. In quanto attore dominante nell’editoria, Amazon può effettivamente fissare il prezzo dei libri, per esempio. Ma il monopsonio è anche un problema per il mercato del lavoro, poiché permette alle grandi aziende di fissare i salari e di limitare la circolazione della forza lavoro.
Implicazioni per gli investimenti
Per chi investe nelle grandi aziende, il loro predominio può non sembrare il problema più urgente: come ha detto Warren Buffett, un monopolio non regolamentato è per certi versi l’investimento ideale. Ma la concentrazione di quote di mercato in poche aziende potrebbe creare nuovi rischi.
Man mano che i settori si consolidano attorno a poche grandi aziende, i mercati diventano più vulnerabili agli shock esterni o meno “anti-fragile”, per usare il termine del teorico del rischio Nassim Nicholas Taleb. “Uno dei principi fondamentali degli investimenti è la diversificazione. Eppure gli investitori si sono compiaciuti della concentrazione avvenuta in vari settori, anzi l’hanno accolta con gioia, perché pensavano fosse un bene per i loro rendimenti”, spiega Hearn.
Nel lungo periodo, c’è il rischio di un contraccolpo politico nei confronti delle grandi aziende, soprattutto se si dovesse ritenere che queste abbiano consolidato il loro potere e incrementato i loro profitti in un periodo di difficoltà generale. Ciò potrebbe aumentare le tendenze a contenerle, come all’epoca dei muckrackers e dei robber barons.
Una nuova regolamentazione, simile allo Sherman Antitrust Act che ha posto un freno alla Standard Oil, potrebbe essere utilizzata per classificare le aziende tecnologiche come servizi di pubblica utilità, come i fornitori di acqua o di energia, e sottoporle a una regolamentazione più stringente. Tenendo a mente questi scenari, Parkinson afferma che è importante che gli investitori di lungo termine si concentrino sul valore che un’azienda fornisce ai consumatori e alla società in generale, non solo sui rendimenti che offre agli azionisti.
Un’analoga valutazione del valore si applica quando si considera la funzione e le responsabilità più ampie di un’azienda verso la società. Prima della pandemia da COVID-19, c’era un crescente consenso sulla necessità per le aziende nel fare qualcosa di più che rendere felici gli azionisti.
La pandemia dimostra chiaramente che le aziende sono resilienti solo quando il contesto in cui operano è sano, e la competitività del mercato è un indicatore della salute del contesto. Le aziende che attuano misure aggressive e anticoncorrenziali – ricorrendo alla loro posizione dominante per sfruttare consumatori e dipendenti – alla fine indeboliscono il sistema nel suo complesso. Un risultato che non è nell’interesse di nessuno.