Tutte le vie per andare in pensione prima
di a cura di Daniele Cirioli
Cinque vie per anticipare la pensione. Il dl n. 4/2019, convertito dalla legge n. 26/2019, ha introdotto e prorogato cinque possibilità di pre-pensionamento a favore dei lavoratori e delle lavoratrici: quota 100, l’assoluta novità; opzione donna e ape sociale (la prima un rinnovo, la seconda una proroga di misure già precedentemente vigenti); la cristallizzazione dei requisiti della pensione anticipata e di quelli a favore dei lavoratori precoci, mediante la temporanea disapplicazione della speranza di vita. Le misure, tutte praticamente operative, in questi primi mesi hanno suscitato alcuni dubbi applicativi, come testimonia lo stesso Inps nel pubblicare un messaggio con domande/risposte ai casi più problematici (n. 1551/2019). Chi sta fruendo dell’Ape, sociale o volontaria, ad esempio, può invocare quota 100 per mettersi in pensione? In altre parole: il fatto di stare fruendo della prestazione agevolata a carico dello stato (Ape sociale) o del prestito sulla pensione (Ape volontaria) è di ostacolo all’accesso alla pensione vera e propria, maturando quota 100 con un’età di almeno 62 anni assieme ad (almeno) 38 anni di contributi? Oppure: il professionista già in pensione della propria cassa può fruire di quota 100 per ottenere una seconda pensione dall’Inps? A queste e altre perplessità ha dato risposta l’Inps, chiarendo molti aspetti operativi delle nuove misure. Anticipando che l’Inps ha risposto positivamente a tutte le precedenti domande, vediamo in questo inserto la disciplina attualmente vigente sulle cinque nuove vie per mettersi in pensione prima.
QUOTA 100.
È l’assoluta novità della riforma ed è una misura introdotta in via sperimentale, limitatamente cioè al triennio 2019/2021. Consente di andare in pensione anticipata maturando, appunto, «quota 100» con la somma di età (non inferiore ai 62 anni) e contributi (almeno 38 anni). Proprio in quanto sperimentale, quota 100 sarà spendibile entro il 31 dicembre 2021, termine entro cui occorre maturare sia l’età e sia i contributi per garantirsi il diritto al pensionamento anticipato. In tale ipotesi non importa che entro la stessa data venga anche esercitato il diritto (cioè sia fatta la domanda di pensionamento): una volta conseguito il diritto entro il dicembre 2021, la domanda di pensionamento potrà essere formulata anche successivamente.
I soggetti beneficiari.
Possono avvalersi di quota 100 praticamente tutti i lavoratori, dipendenti e autonomi, inclusi i parasubordinati (co.co.co., professionisti senza cassa e altri lavoratori iscritti alla gestione separata dell’Inps), sia del settore privato che pubblico. Per espressa previsione, invece, sono esclusi: il personale militare delle Forze armante; il personale delle Forze di polizia e polizia penitenziaria; il personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; e il personale della Guardia di finanza.
Utilizzabile il cumulo contributivo.
Ai fini del conseguimento del diritto alla pensione con quota 100, chi risulti iscritto a due o più gestioni previdenziali dell’Inps (sono, pertanto, escluse le casse di previdenza dei professionisti con Ordini), può cumulare gli anni di contribuzione che abbia maturato presso le singole gestioni previdenziali, purché relativi a periodi non coincidenti. La facoltà è concessa in base alle regole del c.d. «cumulo contributivo», operativo dall’anno 2013 e da ultimo riformato dalla legge Bilancio 2017. Il «cumulo contributivo», pertanto, servirà a maturare i 38 anni di contribuzione minima che occorrono, assieme a un’età non inferiore a 62 anni, «sommando» i vari periodi contributivi accantonati presso le diverse gestioni Inps.
Ritornano le finestre.
Con quota 100 sono tornate le «finestre». La decorrenza della pensione, infatti, è stabilita alle seguenti decorrenze:
dal 1° aprile per i lavoratori del settore privato, che hanno maturato quota 100 entro il 31 dicembre 2018;
dopo una finestra di tre mesi dalla maturazione dei requisiti, per i lavoratori del settore privato che matureranno quota 100 dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2021;
dal 1° agosto per i dipendenti pubblici che hanno maturato quota 100 entro il 29 gennaio 2019 (data d’entrata in vigore del dl n. 4/2019);
dopo una finestra di sei mesi dalla maturazione dei requisiti, per i dipendenti pubblici che matureranno quota 100 nel periodo dal 30 gennaio 2019 al 31 dicembre 2021).
I dipendenti pubblici devono formulare domanda di collocamento a riposo con preavviso di sei mesi. Infine, per i lavoratori del comparto scuola (dirigenti scolastici, docenti e personale tecnico, amministrativo e ausiliare) e del comparto AFAM (Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica: raggruppa tutte le istituzioni il cui scopo è la formazione nei settori dell’arte della musica, della danza e del teatro. Comprende le Accademie di belle arti, le Accademie nazionali di arte drammatica e danza, gli Istituti superiori per le industrie artistiche, c.d. ISIA, i conservatori di musica e gli Istituti superiori di studi musicali) valgono le ordinarie regole di pensionamento (art. 59, comma 9, legge n. 449/1997): a tali soggetti, cioè, ai fini dell’accesso al pensionamento, la cessazione dal servizio e la decorrenza della pensione hanno effetto dalla data d’inizio dell’anno scolastico o accademico dell’anno in cui vengono maturati i requisiti. In sede di prima attuazione, il dl n. 4/2019 ha stabilito che tali soggetti potevano fare domande entro il 28 febbraio 2019 per andare in pensione dall’anno scolastico 2019/2020 (è lo stesso termine già previsto per i dirigenti scolastici che maturano quest’anno i requisiti per andare in pensione; per l’altro personale, invece, si tratta della riapertura dei termini, poiché già scaduti il 12 dicembre 2018).
I quesiti e le risposte dell’Inps.
Molti i quesiti formulati all’Inps. Un primo quesito chiede di sapere se sia possibile conseguire la pensione da parte di soggetti già titolari di una pensione a carico di forme di previdenza (ad esempio: casse professionali; Enasarco ecc.) diverse dalle gestioni di previdenza dell’Inps. L’istituto di previdenza risponde positivamente: la titolarità di una pensione a carico di casse di previdenza diverse da quelle gestite dall’Inps non osta al conseguimento della pensione con quota 100. Il caso, ad esempio, può essere quello del professionista (avvocato, ingegnere) insegnante: per questa attività, i cui contributi sono versati all’Inps (ex Inpdap), il professionista può avvalersi di quota 100 al fine di pensionarsi, anche se già percepisce la pensione in conseguenza della professione dalla relativa cassa previdenziale. Viceversa, aggiunge l’Inps nel quesito, quando una persona è già titolare di una pensione a carico di gestioni dell’Inps non può avvalersi di quota 100.
Un secondo quesito chiede di sapere se c’è possibilità di accesso alla pensione quota 100 per i soggetti che hanno svolto attività lavorativa con qualifica diversa da quella di militare delle Forze armate, di personale delle Forze di polizia e di polizia penitenziaria, di personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e di personale della Guardia di finanza. Per tutte le citate qualifiche, si ricorda, la disciplina (il dl n. 4/2019) prevede la non applicabilità della misura di quota 100. Il quesito, inoltre, chiede di sapere se per tali soggetti sia possibile utilizzare la contribuzione versata in seguito allo svolgimento dell’attività lavorativa con una di quelle qualifiche (militare Forze armate; personale Forze di polizia e polizia penitenziaria; personale operativo del Corpo nazionale vigili del fuoco e personale della Guardia di finanza). L’Inps risponde distinguendo due ipotesi:
la prima relativa a soggetti che hanno svolto «l’ultima» attività lavorativa con una delle qualifiche escluse dal diritto di quota 100 (personale militare delle Forze armate ecc.) per i quali conferma il divieto: non possono accedere alla pensione quota 100;
la seconda relativa a soggetti che hanno svolto «l’ultima» attività lavorativa con una qualifica diversa da quelle escluse; a questi soggetti riconosce il diritto alla pensione quota 100 ammettendo anche la possibilità di utilizzare i contributi relativi al servizio svolto con le qualifiche escluse, ovviamente qualora questa contribuzione non abbia già dato luogo alla liquidazione di altra pensione.
Un terzo quesito riguarda i titolari di pensione tabellare o di pensione di guerra. In entrambi i casi si tratta di soggetti che hanno avuto il riconoscimento e la liquidazione di una pensione in conseguenza (e in proporzione alla gravità) di una menomazione della capacità di lavoro subita durante il servizio obbligatorio (di leva o di guerra) a favore dello stato. Si chiede se per tali soggetti sia possibile conseguire la pensione quota 100 anche con il ricorso al cumulo dei periodi contributivi. L’Inps risponde affermativamente.
Quarto quesito chiede di sapere se il titolare dell’indennità «Ape sociale» ha diritto di accedere alla pensione quota 100. L’Ape sociale, si ricorda, aveva chiuso i battenti il 31 dicembre 2018, ma il dl n. 4/2019 l’ha prorogata per tutto l’anno 2019. Essa dà possibilità di mettersi a riposo prima del tempo, in attesa di maturare l’età per la pensione di vecchiaia (67 anni nel 2019 e 2020), a chi ha almeno 63 anni d’età e versa in una situazione di disagio economico; per tutto il periodo di «attesa» della pensione vera e propria, viene erogato un sussidio mensile (cioè l’Ape) il cui importo massimo è di 1.500 euro lordi (a carico dello stato). Tra le condizioni richieste: l’aver cessato l’attività lavorativa; non essere titolare di pensione diretta; trovarsi in una delle «particolari» situazioni previste dalla legge (essere disoccupati; o invalidi; svolgere attività gravose ecc.); far valere un minimo di 30 anni di contributi (36 anni per chi svolge attività gravose); maturare una pensione di vecchiaia d’importo non inferiore a 1,4 volte l’importo della pensione minima dell’Inps (poco più di 718 euro mensili nel 2019). Il quesito formulato all’Inps, dunque, deriva dal «dubbio» se chi fruisce di Ape possa avvalersi di quota 100, posto che l’Ape è «incompatibile» con una pensione diretta. La risposta dell’Inps chiarisce che, nelle ipotesi in cui il soggetto beneficiario di Ape sociale divenga titolare di una pensione diretta, l’indennità Ape viene revocata dalla data di decorrenza della pensione. Ciò vuol dire, che il titolare di Ape sociale può conseguire la pensione quota 100, ma dalla decorrenza effettiva della pensione ottenuta con quota 100 dovrà dire addio all’Ape non potendola più percepire.
Il quinto quesito è praticamente la fotocopia del quarto quesito (e così anche la risposta), con la sola differenza che riguarda l’Ape volontaria (anziché l’Ape sociale). Si ricorda che l’Ape volontaria, similmente all’Ape sociale, consente di mettersi in pensione anzitempo, in attesa di maturare i requisiti per la pensione vera e propria. A differenza dell’Ape sociale (che è a carico dello Stato), l’Ape volontaria è un «prestito» sulla futura pensione, ricevuto sotto forma d’indennità (Ape) durante il periodo di attesa della pensione, per cui è a totale carico del lavoratore che dovrà rimborsarlo una volta pensionatosi (la rata di rimborso è trattenuta sulla pensione).
Il sesto quesito chiede di sapere se è possibile accedere alla pensione con quota 100 nel caso in cui, precedentemente alla prima decorrenza utile della pensione, l’interessato ha maturato il diritto ad altra pensione. L’Inps risponde affermativamente: si può conseguire la pensione quota 100 anche se, precedentemente alla prima decorrenza della pensione, si è maturato il diritto (attenzione; si tratta di «diritto» non esercitato) ad altra pensione.
Settimo quesito chiede di sapere quale sia la decorrenza della pensione con quota 100 per i soggetti che, precedentemente alla data di presentazione della relativa domanda, abbiano cessato l’attività di lavoro ovvero abbiano risolto il rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione. L’Inps risponde spiegando, in via di principio, che, in casi come questi (casi in cui, cioè, il soggetto abbia cessato l’attività di lavoro prima di fare la domanda quota 100), al fine d’individuare la decorrenza della pensione, va fatto riferimento alla qualifica da ultimo rivestita, distinguendo se si tratta di lavoratore dipendente delle pubbliche amministrazioni; di lavoratore dipendente da soggetti diversi da pubbliche amministrazioni; oppure di lavoratore autonomo. Con specifico riferimento al quesito, che fa riferimento a un soggetto che ha risolto l’ultimo rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, l’Inps spiega che tale soggetto mantiene lo status di «lavoratore dipendente delle pubbliche amministrazioni», per cui il diritto alla prima decorrenza utile della pensione si consegue:
se i requisiti sono stati maturati entro il 29 gennaio 2019 (che è la data di entrata in vigore del dl n. 4/2019), dal 1° agosto 2019;
se i requisiti si perfezionano dopo il 29 gennaio 2019 (cioè dal 30 gennaio 2019 in avanti), decorsi sei mesi dalla maturazione dei requisiti e comunque non prima del 1° agosto 2019.
L’ottavo quesito è simile al precedente, con la differenza che riguarda i lavoratori da ultimo dipendenti di datori di lavoro non ricompresi nel novero delle pubbliche amministrazioni. In tal caso, spiega l’Inps, il regime delle decorrenze della pensione con quota 100 prevede una differenziazione in relazione alla natura giuridica dell’ultimo datore di lavoro e alla gestione pensionistica a carico della quale è liquidata la pensione, al fine di capire se la decorrenza della pensione è mensile o inframensile.
Con riferimento ai soggetti da ultimo dipendenti da datori di lavoro diversi dalle pubbliche amministrazioni, in particolare, la decorrenza della pensione è fissata:
al 1° aprile 2019 se i requisiti risultano maturati entro il 31 dicembre 2018;
decorsi tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti, se sono maturati successivamente al 31 dicembre 2018.
La decorrenza della pensione, invece, sarà:
inframensile (cioè dal giorno seguente alla maturazione dei requisiti, compresa cessazione del rapporto di lavoro), se liquidata a carico di una gestione esclusiva (Inpdap per i pubblici dipendenti);
mensile (cioè dal primo giorno del mese successivo a quello di maturazione dei requisiti), se liquidata a carico di una gestione diversa da quella esclusiva;
mensile (cioè dal primo giorno del mese successivo a quello di maturazione dei requisiti), se liquidata avvalendosi del cumulo dei periodi contributivi.
Con il nono quesito si chiede di sapere se è possibile applicare le disposizioni agevolative, in materia di maggiorazione dell’anzianità contributiva e di rivalutazione dei periodi di lavoro, ai fini della maturazione del requisito contributivo per quota 100. Si tratta, in particolare, di alcune ipotesi per le quali è riconosciuta una maggiorazione dei contributi (ad esempio, non vedenti; invalidi in misura superiore al 74%; rivalutazione dei periodi di lavoro svolto con esposizione all’amianto ecc.). L’Inps risponde affermativamente.
Il decimo quesito chiede di sapere come è valutata l’anzianità contributiva ai fini della maturazione del requisito contributivo di 38 anni richiesto quota 100 nel caso di pensione calcolata con il sistema contributivo. Questa la risposta dell’Inps:
non concorrono le anzianità contributive derivanti dai versamenti volontari di contributi;
i contributi accreditati per periodi di lavoro precedenti al raggiungimento di 18 anni d’età sono moltiplicati per 1,5 (cioè sono maggiorati dal 50%);
sono utili i contributi figurativi, compresi quelli accreditati per i periodi di malattia e di disoccupazione (periodi di percezione dell’indennità di Naspi, Aspi, mini-Aspi ecc.).
Attenzione alle esclusioni.
Il dl n. 4/2019 esclude che quota 100 possa essere utilizzata nell’ambito di altre due misure di accompagnamento alla pensione: isopensione e assegni dei Fondi di solidarietà bilaterali (in tal caso, in verità, sostituisce questa possibilità con una nuova). Vediamo.
Esodo aziendale
La prima ipotesi di esclusione, detta «isopensione» o «esodo aziendale», è una facoltà offerta alle aziende di prepensionamento dei dipendenti più vicini alla pensione (quelli che maturano i relativi requisiti entro sette anni) introdotta dalla riforma Fornero del lavoro (legge n. 92/2012). La misura è praticabile nelle ipotesi di esubero di personale (in tabella i tre casi) e, in cambio del licenziamento dei dipendenti in esubero, il datore di lavoro si accolla il costo di mantenimento (retribuzioni e contributi) dei lavoratori fino al giorno della pensione. È facile intuire che si tratta di un’opportunità il cui costo è molto alto: oltre alla spesa della «pre-pensione», infatti, sul datore di lavoro grava anche l’onere di rifondere all’Inps gli oneri necessari a coprire con la contribuzione figurativa tutto il periodo di anticipo del riposo (cioè del pre-pensionamento che può durare anche sette anni). La misura si applica ai datori di lavoro che impieghino mediamente più di 15 dipendenti. Ai fini pratici nei casi di eccedenza di personale, i datori di lavoro e i sindacati dei lavoratori maggiormente rappresentativi a livello aziendale possano stipulare un accordo (aziendale) finalizzato a incentivare l’esodo dei lavoratori più prossimi alla pensione, ossia quelli che raggiungono il diritto alla pensione, di vecchiaia o anticipata, nei sette anni successivi alla data di cessazione del rapporto di lavoro. Con questo accordo, il datore di lavoro s’impegna a corrispondere all’Inps la provvista finanziaria necessaria per l’erogazione ai lavoratori «esodati» di una prestazione d’importo pari alla pensione cui avrebbero diritto (i medesimi lavoratori) al momento della risoluzione del rapporto di lavoro e per l’accredito della contribuzione fino al raggiungimento dei requisiti minimi per la pensione. I lavoratori interessati sono coloro che, in un arco di tempo di sette anni, maturano il diritto a conseguire la pensione, tenendo conto degli incrementi alla speranza di vita. Tornando a quota 100, il divieto imposto dal dl n. 4/2019 vuol significare che l’esodo aziendale non può essere utilizzato con riferimento a quota 100, cioè valutando l’anticipo dei sette anni (ai fini del licenziamento dei lavoratori in esubero) con riferimento ai 62 anni e 38 anni di contributi.
Fondi di solidarietà
La seconda ipotesi di esclusione riguarda la procedura di esodo dei Fondi di solidarietà, che è simile a quella appena vista (isopensione). Ricordiamo, innanzitutto, che i fondi di solidarietà bilaterali sono un’invenzione della riforma Fornero del lavoro (la legge n. 92/2012), anche se poi, successivamente, la riforma Jobs act (dlgs n. 148/2015) ne ha riscritto la disciplina. La loro istituzione è obbligatoria in tutti i settori non coperti dalla normativa in materia di cassa integrazione salariale. Attualmente, sono operanti 10 fondi (si veda tabella). Ne sono previsti tre tipi:
a) «Fondi di solidarietà bilaterali», obbligatori per i settori non rientranti nel campo della cassa integrazione e le imprese che occupano in media più di cinque dipendenti;
1. «Fondi di solidarietà alternativi», un modello rivolto solamente al settore dell’artigianato e alle imprese di somministrazione;
b) «Fondo d’integrazione salariale»: accoglie le imprese con più di 5 dipendenti operanti nei settori per i quali non risulta costituito uno specifico «fondo di solidarietà».
I Fondi assicurano:
a) l’erogazione di prestazioni a sostegno del reddito in costanza di rapporto di lavoro (cioè prestazioni in tutto e per tutto simili alla cassa integrazione salariale;
b) prestazioni integrative, in termini di importi oppure di durata rispetto alle prestazioni pubbliche, in caso di cessazione dal rapporto di lavoro ovvero prestazioni integrative, in termini di importo, in relazione alle integrazioni salariali;
c) assegni straordinari per il sostegno al reddito, riconosciuti nel quadro dei processi di agevolazione all’esodo, a lavoratori che raggiungano i requisiti previsti per la pensione di vecchiaia o anticipata nei successivi cinque anni;
d) contributi al finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, anche in concorso con gli appositi fondi nazionali o dell’Unione europea.
Tornando a quota 100, il divieto imposto dal dl n. 4/2019 vuol dire che la possibilità di fruire di un Fondo di solidarietà, quale scorciatoia per la pensione per i lavoratori che maturano i requisiti per la pensione nei successivi cinque anni, non può essere utilizzato con riferimento a quota 100, cioè valutando l’anticipo dei cinque anni rispetto a 62 anni d’età e 38 anni di contributi. Questa possibilità, in effetti, è sostituita da una nuova: l’erogazione di un assegno straordinario di accompagnamento a quota 100.
Come anticipare (ulteriormente) il pensionamento.
Con la circolare n. 10/2019 l’Inps ha illustrato le possibili combinazioni tra i nuovi (e ridotti) requisiti per la «pensione anticipata» e «quota 100», con le due richiamate misure già vigenti:
«l’assegno straordinario» dei fondi di solidarietà, che interessa le aziende con più di cinque dipendenti;
«l’isopensione Fornero» che si applica alle aziende con più di 15 dipendenti, con esuberi aziendali.
La prima misura è ridisciplinata dal dl n. 4/2019, come accennato, per essere uno strumento di accompagnamento dei lavoratori che maturano «quota 100» limitatamente al triennio di validità 2019/2021. Riguardo alla seconda, invece, il dl n. 4/2019 ha stabilito che non può applicarsi ai fini di «quota 100», per cui resta valida per le altre vie di pensionamento tra cui la «pensione anticipata». Vediamo.
Assegno straordinario e quota 100.
L’azienda che promette di assumere fa anticipare quota 100 ai dipendenti che intende lasciare a casa. Può mettere a riposo, infatti, i lavoratori con almeno 59 anni d’età e 35 di contributi al 31 dicembre 2018, riconoscendogli un assegno straordinario erogato dai fondi di solidarietà fino alla maturazione di quota 100 (entro il 31 dicembre 2021). Due le condizioni: un accordo che fissi il numero di lavoratori da assumere in sostituzione dei pre-pensionati e il pagamento di tutti gli oneri (assegni dovuti ai lavoratori più i relativi contributi).
Isopensione e pensione anticipata.
È un incentivo all’esodo dei lavoratori più anziani, di coloro cioè che maturano i requisiti per la pensione (vecchiaia o anticipata) entro sette anni (questo secondo la disciplina vigente fino al 31 dicembre 2020; dal 1° gennaio 2021 il limite scenderà a quattro anni). L’isopensione, dunque, permette di mettere a riposo i lavoratori che, entro sette anni, maturano i nuovi requisiti per la pensione anticipata fissati dal dl n. 4/2019 (o anche i requisiti per la pensione di vecchiaia che, però, non sono cambiati). La praticabilità di tale soluzione è subordinata all’impegno del datore di lavoro di accollarsi tutti gli oneri relativi al pagamento di retribuzione e contribuzione dei lavoratori pre-pensionati.
Quota 100 e divieto di cumulo del lavoro.
L’art. 14, comma 3, del dl n. 4/2019 prevede l’incumulabilità della pensione «quota 100» con i redditi di lavoro dipendente o autonomo, a eccezione di quelli di lavoro autonomo occasionale nel limite di 5.000 euro lordi annui. L’incumulabilità si applica per il periodo intercorrente tra la data di decorrenza della pensione «quota 100» e la data di maturazione dell’età della pensione di vecchiaia, quindi fino a 67 anni ovvero quella che sarà la maggiore età in caso d’incremento per la speranza di vita. In caso di superamento del limite di 5.000 euro, la pensione è sospesa per tutto l’anno di produzione del reddito. Se il superamento c’è nell’anno di maturazione del requisito d’età per la pensione di vecchiaia, la sospensione opera fino alla maturazione di tale requisito (non per tutto l’anno).
Nell’illustrare la novità, l’Inps (circolare n. 11/2019) ha precisato che il «lavoratore autonomo occasionale», ai sensi dell’art. 2222 del codice civile, è colui il quale si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o servizio, con lavoro prevalentemente proprio, senza vincolo di subordinazione e senza coordinamento del committente; e che l’esercizio dell’attività deve essere del tutto occasionale, senza i requisiti dell’abitualità e professionalità. Si tratta, dunque, dei rapporti di lavoro che normalmente vengono gestiti con semplici notule di addebito e con applicazione della ritenuta d’acconto Irpef del 20%, senza contributo Inps, gestione separata, fino a 5 mila euro annui.
Oltre alla predetta deroga, l’incumulabilità di pensione «quota 100» con altri redditi dovrebbe non operare anche per le prestazioni occasionali, per tali intendendo quelle svolte entro certi limiti e, comunque, per un importo fino a 5 mila euro netti complessivi, gestite con il «Libretto Famiglia» (se l’utilizzatore non ha partita Iva) o con il «contratto di prestazione occasionale» (se l’utilizzatore ha partita Iva e occupa fino a cinque dipendenti a tempo indeterminato).
Di fatto, dunque, il pensionato quota 100 può lavorare e percepire compensi, cumulabili con la pensione, fino a 10 mila euro annui: cinque mila da lavoro autonomo occasionale (con la ritenuta d’acconto) e cinque mila dalle prestazioni occasionali (gli ex voucher).
L’Inps ha spiegato, inoltre, che i pensionati quota 100 devono dare immediata comunicazione dello svolgimento di qualsiasi attività lavorativa diversa da quella autonoma occasionale dalla quale derivi un reddito inferiore a 5 mila euro lordi annui; in tal caso, l’Inps procederà alla sospensione della pensione. Sessa comunicazione è dovuta anche in caso di lavoro autonomo occasionale da cui derivi, anche in via presuntiva, un reddito superiore a 5 mila euro lordi annui (limite di cumulabilità con la pensione quota 100).
OPZIONE DONNA.
Si tratta di una misura a esclusivo favore delle lavoratrici sia del settore pubblico sia di quello privato, titolari di rapporto di lavoro dipendente o autonomo, già operativa negli anni passati. La facoltà è esercitabile a una condizione: optare per il calcolo contributivo della pensione (di tutta la pensione). Il dl n. 4/2019 rinnova la misura a favore delle lavoratrici che entro il 31 dicembre 2018 hanno maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a 35 anni e un’età non inferiore a 58 anni se dipendenti e a 59 anni se autonome. Si applicano le vecchie finestre di 12 (dipendenti) e 18 (autonome) mesi.
Il regime opzione donna.
Il regime «opzione donna» è una misura che venne introdotta, in via sperimentale, dalla legge n. 243/2004 (c.d. riforma delle pensioni Maroni) e prevedeva che, fino al 31 dicembre 2015, le donne appartenenti al regime «misto» di calcolo della pensione potessero continuare a maturare il diritto all'(ex) pensione di anzianità, in presenza di almeno 35 anni di contributi e di un’età non inferiore a 57 anni, se lavoratrici dipendenti, ovvero 58 se lavoratrici autonome, all’unica condizione di optare per il calcolo della pensione («tutta» la pensione) con il criterio «contributivo». La facoltà interessava solamente le lavoratrici, pubbliche e private, occupate prima del 1° gennaio 1996 e che al 31 dicembre 1995 potevano far valere contributi inferiori a 18 anni (cosa che altrimenti avrebbe permesso di restare nel regime retributivo, almeno per le anzianità fino al 31 dicembre 2011). Queste lavoratrici che, in via di principio, avevano diritto alla pensione calcolata in parte con il sistema «retributivo» (per le anzianità fino al 31 dicembre 1995) e in parte con il sistema «contributivo» (per le anzianità dal 1° gennaio 1996), avevano dunque questa chance di andare in pensione prima: rinunciare alla quota di pensione «retributiva» e decidere di riceverla interamente calcolata con il sistema «contributivo».
La riapertura fino al 2018.
Dal 29 gennaio, il dl n. 4/2019 ha riabilitato l’opportunità alle lavoratrici in possesso di questi requisiti al 31 dicembre 2018:
se dipendenti, del settore privato o del settore pubblico = età non inferiore a 58 anni e 35 anni almeno di contributi;
se lavoratrici autonome = età non inferiore a 59 anni e almeno 35 anni di contributi.
È sufficiente maturare questi requisiti entro il 31 dicembre 2018, a prescindere poi dall’epoca di effettiva liquidazione della pensione (cosa che può avvenire anche successivamente a causa della «finestra»), per poter invocare l’opzione donna e mettersi in pensione. In caso di opzione, si riceve una pensione calcolata tutta con il sistema contributivo e messa in liquidazione non prima del decorso della «finestra», ordinariamente pari a 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le lavoratrici autonome, che praticamente significa ottenere la pensione:
dal 1° giorno del mese successivo a quello di maturazione dei requisiti cui aggiungere altri 12 mesi per effetto della finestra nel caso di lavoratrici dipendenti del settore privato. La decorrenza, in altre parole, è fissata al 1° giorno del 13° mese successivo a quello durante il quale si verifica la maturazione di entrambi i requisiti di età e contribuzione;
dal giorno successivo a quello di maturazione dei requisiti più 12 mesi di finestra, per le dipendenti pubbliche (ex Inpdap);
dal 1° giorno del mese successivo a quello di maturazione dei requisiti cui aggiungere altri 18 mesi per effetto della finestra nel caso di lavoratrici autonome. La decorrenza, in altre parole, è fissata al 1° giorno del 19° mese successivo a quello durante il quale si verifica la maturazione di entrambi i requisiti di età e contribuzione.
Alle dipendenti pubbliche bastano 34 anni, 11 mesi e 16 giorni di contributi.
Dopo la riforma Fornero, dal 1° gennaio 2012, il requisito dell’anzianità contributiva deve risultare maturato per intero per poter mettersi in pensione. Ad esempio, se occorrono 20 anni di contributi, vanno maturati tutti e 20 gli anni per intero, senza possibilità di arrotondare all’eventuale frazione di mese, cosa possibile in passato (l’arrotondamento era previsto all’art. 59, comma 1, lett. b, della legge n. 449/1997).
Il divieto di arrotondamenti opera dal 1° maggio 2015 per i dipendenti pubblici, i soli ai quali i contributi erano ancora calcolati in anni, mesi e giorni e, tra questi, nello specifico, agli iscritti al fondo speciale del personale dipendente dalle ferrovie dello stato e al fondo di poste. Pertanto, dal 1° maggio 2105, nel determinare l’anzianità di contribuzione necessaria al conseguimento del diritto alla pensione con i nuovi requisiti della riforma Fornero, non è possibile operare alcun arrotondamento, per eccesso o per difetto, alla frazione di mese dal momento che l’anzianità deve essere maturata per intero. L’arrotondamento, invece, continua a operare soltanto nelle seguenti predeterminate ipotesi:
a) regime sperimentale «opzione donna» (servono 35 anni, ma basta maturare 34 anni, 11 mesi e 16 giorni);
b) ex pensione di anzianità al 31 dicembre 2011 per la quale sono richiesti 40 anni di contributi (basta aver maturato 39 anni, 11 mesi e 16 giorni);
c) salvaguardati che raggiungono il diritto alla pensione con 40 anni di contributi a prescindere dall’età (bastano 39 anni, 11 mesi e 16 giorni);
d) pensioni d’inabilità (fatta eccezione di quella dell’art. 2, comma 12 della legge n. 335/1995).
I quesiti e le risposte dell’Inps.
Due i quesiti formulati all’Inps a proposito della misura di «opzione donna». Con il primo viene chiesto se sono utili a maturare il requisito contributivo per avvalersi di opzione donna i contributi figurativi accreditati per periodi di malattia e disoccupazione (Naspi, Aspi ecc.). L’Inps risponde negativamente, spiegando che ai fini del perfezionamento del requisito di 35 anni sono utili i contributi obbligatori (quelli cioè versati durante l’attività di lavoro); i contributi da riscatto e/o da ricongiunzione; i contributi volontari; i contributi figurativi con esclusione di quelli accreditati per malattia e per la disoccupazione. Ciò, aggiunge l’Inps, in considerazione del fatto che per tali lavoratrici l’applicazione del sistema contributivo è limitata alle sole regole di calcolo.
Il secondo quesito chiede di sapere se è possibile, per le lavoratrici che hanno maturato il diritto a un’altra pensione in base ai requisiti tempo per tempo vigenti, conseguire la pensione optando per il sistema di calcolo contributivo avvalendosi di opzione donna. L’Inps risponde affermativamente: le lavoratrici che hanno maturato il diritto ad altro trattamento pensionistico, in base ai requisiti tempo per tempo vigenti, possono conseguire la pensione, al ricorrere dei previsti requisiti, optando per il sistema di calcolo contributivo ai sensi dell’art. 15 del dl n. 4/2019.
PENSIONE ANTICIPATA
La novità è la cristallizzazione del requisito contributivo unico di pensionamento, per gli anni dal 2019 al 2026. La speranza di vita tornerà ad aggiornare il requisito dall’anno 2027. Durante questo periodo le donne potranno andare in pensione con 41 anni e 10 mesi di contributi e gli uomini con 42 anni e 10 mesi. In entrambi i casi, si applica una finestra di tre mesi prima dell’accesso al riposo. Il che vuol dire, in sostanza, che «in pensione» ci si va con 42 anni e 1 mese le donne e con 43 anni e 1 mese gli uomini.
A differenza della pensione di vecchiaia (e anche di quota 100, come visto prima), per la quale occorre maturare due requisiti per avervi diritto (età e anni di contributi), la pensione anticipata (l’ex pensione di anzianità) ha la particolarità di consentire l’accesso al riposo sulla base di un solo requisito: quello contributivo. Il requisito è identico per tutti i lavoratori, ma alcune differenze riguardano la valutazione dei periodi contributivi per i lavoratori che hanno contributi versati al 31 dicembre 1995 (lavoratori che appartengono al regime «retributivo» o «misto» di calcolo della pensione) e lavoratori che hanno iniziato a lavorare e a versare anche i contributi dal 1° gennaio 2016 (lavoratori che appartengono al regime «contributivo»), come indicato in tabella.
I quesiti e le risposte dell’Inps.
Due i quesiti anche in questo caso. Con il primo si chiedono due chiarimenti:
se è possibile utilizzare, ai fini della maturazione del requisito, i contributi eventualmente versati o accreditati durante il periodo di apertura della c.d. finestra;
se è possibile intraprendere, durante il periodo di apertura della c.d. finestra, un nuovo rapporto di lavoro dipendente.
L’Inps risponde affermativamente. Ai fini della liquidazione della pensione anticipata, infatti, spiega che è utile tutta la contribuzione versata e/o accreditata precedentemente alla data di decorrenza della pensione. Inoltre, che lo svolgimento di attività lavorativa durante il periodo di apertura della c.d. finestra non osta alla liquidazione della pensione, ovviamente previa la cessazione del rapporto di lavoro dipendente.
Il secondo quesito chiede di sapere se la finestra trimestrale per la decorrenza della pensione anticipata si applica nel caso di ricorso al cumulo dei contributi. L’Inps spiega che la pensione anticipata in cumulo si consegue, a domanda del soggetto interessato e previa cessazione del rapporto di lavoro dipendente:
dal 1° aprile 2019, per i soggetti che hanno perfezionato, dal 1° al 29 gennaio 2019, il requisito contributivo di 42 anni e 10 mesi, per gli uomini, e di 41 anni e 10 mesi, per le donne;
decorsi tre mesi dal perfezionamento dei requisiti contributivi, nel periodo compreso tra il 30 gennaio 2019 e il 31 dicembre 2026.
LAVORATORI PRECOCI
Sono chiamati «precoci» i lavoratori che sono in possesso di almeno 12 mesi di contributi per periodi di lavoro effettivo prestato prima dei 19 anni d’età. Qualora versino in determinate situazioni (disoccupato, invalido, impegnato in attività usuranti o gravose oppure beneficiario di permessi della legge n. 104/1992 ecc.), i precoci possono accedere alla pensione anticipata con soli 41 anni di contributi. A loro favore, il dl n. 4/2019 abroga gli incrementi della speranza di vita del 1° gennaio 2019 (cinque mesi) e del 1° gennaio 2021; per cui il requisito unico contributivo rimane fissato a 41 anni; in cambio, però, rende loro applicabile la finestra di tre mesi per l’accesso alla pensione. Il prepensionamento precoci è un’opportunità operativa da 1° maggio 2017, introdotta dalla legge Bilancio 2017. La novità, come detto, non interessa tutti i lavoratori precoci, ma solo alcune categorie; in particolare, possono fruirne solo i lavoratori che sono precoci e, contemporaneamente, appartengono a una delle categorie espressamente individuate dalla legge di Bilancio del 2017 (sono le categorie indicate in tabella che vanno dai soggetti disoccupati a quelli che hanno svolto lavori usuranti e faticosi. Eccetto quest’ultima categoria, si tratta praticamente delle stesse categorie di lavoratori beneficiari dell’Ape sociale).
I quesiti e le risposte dell’Inps.
Un solo quesito è stato posto all’Inps e chiede chiarimenti sulla decorrenza della finestra di tre mesi. L’Inps spiega che decorre dalla data di perfezionamento del requisito contributivo (41 anni), ma che la decorrenza della pensione non potrà mai essere anteriore al perfezionamento degli altri requisiti e condizioni richiesti (ad esempio i tre mesi d’inoccupazione, richiesti ai soggetti disoccupati).
LE CATEGORIE DI «PRECOCI» CHE VANNO IN PENSIONE PRIMA
Soggetti disoccupati per licenziamento, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di licenziamento oggettivo (art. 7 della legge n. 604/1966) che hanno concluso di fruire di tutta l’indennità di disoccupazione (Naspi) da almeno tre mesi
Soggetti che assistano, al momento della richiesta da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave (ex art. 3 della legge n. 104/1992)
Soggetti con riduzione della capacità lavorativa, accertata dalle competenti commissioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, non inferiore al 74%
Soggetti lavoratori dipendenti all’interno delle professioni gravose che svolgono da almeno sei anni in via continuativa. Queste le professioni gravose:
Operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici
Conduttori di gru, di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni
Conciatori di pelli e di pellicce
Conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante
Conduttori di mezzi pesanti e camion
Professioni sanitarie infermieristiche e ostetriche ospedaliere, lavoro organizzato in turni
Addetti all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza
Professori di scuola pre-primaria
Facchini, addetti allo spostamento merci e assimilati
Personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia
Operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti
(Si tratta dello stesso elenco di professioni gravose valido ai fini dell’Ape sociale)
Lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti (di cui all’art. 2 del dm 19 maggio 1999) svolte per almeno sette anni negli ultimi dieci di attività lavorativa ovvero ad almeno la metà della vita lavorativa complessiva: «lavori in galleria, cava o miniera»: mansioni svolte in sotterraneo con carattere di prevalenza e continuità; «lavori nelle cave»: mansioni svolte dagli addetti alle cave di materiale di pietra e ornamentale; «lavori nelle gallerie»: mansioni svolte dagli addetti al fronte di avanzamento con carattere di prevalenza e continuità; «lavori in cassoni ad aria compressa»; «lavori svolti dai palombari»; «lavori ad alte temperature»: mansioni che espongono ad alte temperature, quando non sia possibile adottare misure di prevenzione, quali, a titolo esemplificativo, quelle degli addetti alle fonderie di 2ª fusione, non comandata a distanza, dei refrattaristi, degli addetti ad operazioni di colata manuale; «lavorazione del vetro cavo»: mansioni dei soffiatori nell’industria del vetro cavo eseguito a mano e a soffio; «lavori espletati in spazi ristretti», con carattere di prevalenza e continuità ed in particolare delle attività di costruzione, riparazione e manutenzione navale, le mansioni svolte continuativamente all’interno di spazi ristretti, quali intercapedini, pozzetti, doppi fondi, di bordo o di grandi blocchi strutture; «lavori di asportazione dell’amianto» mansioni svolte con carattere di prevalenza e continuità.
Lavoro notturno, definito e ripartito nelle seguenti categorie di lavoratori:
– lavoratori a turni che prestano la loro attività nel periodo notturno (intervallo tra la mezzanotte e le 5 del mattino) per almeno 6 ore per un numero minimo di giorni lavorativi all’anno non inferiore a 64;
– che prestano la loro attività per almeno tre ore nell’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino per periodi di lavoro di durata pari all’intero anno lavorativo;
svolte per almeno sette anni negli ultimi dieci di attività lavorativa ovvero ad almeno la metà della vita lavorativa complessiva
Lavoratori impegnati (almeno sette anni negli ultimi dieci di attività lavorativa o almeno la metà della vita lavorativa complessiva) all’interno di processi produttivi in serie, con ritmo determinato da misurazione di tempi di produzione con mansioni organizzate in sequenze di postazioni (c.d. lavori di linea e a catena), che svolgano attività caratterizzate dalla ripetizione costante dello stesso ciclo lavorativo su parti staccate di un prodotto finale, che si spostano a flusso continuo o a scatti con cadenze brevi determinate dall’organizzazione del lavoro o dalla tecnologia, con esclusione degli addetti a lavorazioni collaterali a linee di produzione, a manutenzione, rifornimento materiali, attività di regolazione o controllo computerizzato delle linee di produzione e al controllo di qualità, dipendenti da imprese per le quali operano le seguenti voci di tariffa Inail: 1462 = prodotti dolciari; additivi per bevande e altri alimenti; 2197 = lavorazione e trasformazione resine sintetiche e materiali polimerici termoplastici e termoindurenti ecc.; 6322 = macchine per cucire e macchine rimagliatrici per uso industriale e domestico; 6411 = costruzione autoveicoli e rimorchi; 6581 = apparecchi termici; 6582 = elettrodomestici; 6590 = altri strumenti e apparecchi; 8210 = confezione tessuti articoli per abbigliamento e accessori; 8230 = confezione calzature.
Conducenti di veicoli, di capienza complessiva non inferiore a 9 posti, adibiti a servizio pubblico di trasporto collettivo.
APE SOCIALE
Un anno ancora di Ape sociale. Aveva chiuso i battenti il 31 dicembre 2018, ma il dl n. 4/2019 la proroga per l’anno incorso 2019 a favore di chi compia, in quest’anno, 63 anni d’età. L’Ape sociale dà la possibilità di mettersi a riposo prima del tempo, in attesa di maturare l’età per la pensione di vecchiaia (67 anni nel 2019 e 2020), a chi ha almeno 63 anni di età e versa in situazione di disagio economico, mediante erogazione di un sussidio mensile il cui importo massimo è di 1.500 euro lordi (a carico dello stato). Queste le condizioni per il diritto:
aver cessato l’attività lavorativa;
non essere titolare di una pensione diretta;
trovarsi in una delle «particolari» situazioni tutelate indicate in tabella;
far valere un minimo di 30 anni di contributi (36 anni per chi svolge attività cd «gravose»);
maturare una pensione di vecchiaia d’importo non inferiore a 1,4 volte l’importo della pensione minima dell’Inps (poco più di 718 euro mensili nel 2019).
Le «situazioni» per il diritto.
Potenziali interessati all’Ape sociale sono tutti i lavoratori iscritti all’Inps, compresi quelli della gestione separata. Il diritto si matura alle predette condizioni da parte dei soggetti che si trovano in una delle seguenti situazioni:
a) anzianità contributiva di almeno 30 anni e versare in stato di disoccupazione per licenziamento, dimissioni per giusta causa o per risoluzione consensuale intervenuta nell’ambito della procedura di licenziamento economico e aver concluso la fruizione, da almeno tre mesi, dell’intera indennità di disoccupazione spettante (Naspi, Dis-Coll ecc.). Rientrano in questa categoria anche i lavoratori il cui stato di disoccupazione deriva dalla scadenza naturale di un contratto a termine, a patto che abbiano avuto, nei 36 mesi precedenti la cessazione del rapporto di lavoro, periodi di lavoro dipendente per una durata di almeno 18 mesi;
b) anzianità contributiva di almeno 30 anni e al momento della richiesta dell’Ape sociale assistere, da almeno sei mesi, il coniuge, la persona in unione civile o un parente di I grado, convivente, con handicap grave (ex lege n. 104/1992); ovvero i parenti di II grado (conviventi), qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto 70 anni d’età oppure siano anche loro affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti (divorziati ecc.);
c) anzianità contributiva di almeno 30 anni ed essere riconosciuto invalido civile di grado almeno pari al 74%;
d) essere un lavoratore dipendente in possesso di anzianità contributiva di almeno 36 anni, che alla data della domanda di accesso all’Ape sociale svolge da almeno 7 anni negli ultimi 10, ovvero almeno 6 anni negli ultimi 7, in via continuativa, una o più delle previste attività gravose (si veda tabella).
Ai fini dell’individuazione delle patologie invalidanti, in presenza delle quali la domanda di verifica delle condizioni di accesso all’Ape sociale può essere presentata anche da parenti di 2° grado o affini entro il 2° grado, l’Inps ha spiegato che, in assenza di un’esplicita definizione di legge, si fa riferimento soltanto alle patologie a carattere permanente, vale a dire:
1) patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell’autonomia personale, ivi incluse le affezioni croniche di natura congenita, reumatica, neoplastica, infettiva, dismetabolica, post-traumatica, neurologica, neuromuscolare, psichiatrica, derivanti da dipendenze, a carattere evolutivo o soggette a riacutizzazioni periodiche;
2) patologie acute o croniche che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali;
3) patologie acute o croniche che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario.
Sconto speciale alle mamme.
Uno sconto speciale è previsto a favore delle lavoratrici donne e, in particolare, alle «madri»: hanno diritto allo sconto di un anno del requisito contributivo di accesso all’Ape per ogni figlio, fino a un massimo di due anni. Ai figli legittimi sono equiparati quelli naturali e gli adottivi. Pertanto, le madri con due figli possono accedere all’Ape con 28 anni di contributi (34 anni, se risultano addette a lavori gravosi), mentre quelle con un figlio con 29 anni di contributi (35 anni per i lavori gravosi).
Due le domande.
Il procedimento di riconoscimento e attribuzione dell’Ape sociale prevede la presentazione di due distinte domande, con tempistiche differenti. Per prima cosa occorre il riconoscimento del diritto. Cosa fatta dall’Inps, a seguito di domanda da parte dell’interessato, comunicando: il riconoscimento del diritto all’Ape con indicazione della prima decorrenza utile, ovvero con differimento della decorrenza (in caso d’insufficienza delle risorse finanziarie); rigetto della domanda, qualora non sussistano le condizioni per il diritto.
A questo punto, se c’è diritto, il beneficiario può fare la seconda domanda, che è quella di liquidazione. Non c’è un termine; tuttavia, si tenga conto che l’Ape sociale verrà erogata a partire dal mese successivo a quello di presentazione della domanda.
LE PROFESSIONI GRAVOSE
Operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici
Conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni
Conciatori di pelli e di pellicce
Conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante
Conduttori di mezzi pesanti e camion
Personale delle professioni sanitarie infermieristiche e ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni
Addetti all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza
Insegnanti della scuola dell’infanzia e educatori degli asili nido
Facchini, addetti allo spostamento merci e assimilati
Personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia
Operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti
ALTRE NOVITÀ
Niente pensione a condannati e latitanti.
L’art. 18-bis del dl n. 4/2019, recante «Sospensione della prestazione previdenziale a taluni soggetti condannati e a soggetti evasi o latitanti», dispone la sospensione del pagamento delle pensioni, di vecchiaia o anticipate, per alcuni soggetti condannati che si siano volontariamente sottratti all’esecuzione della pena detentiva, nonché per i soggetti evasi o latitanti:
condannati a pena detentiva, con sentenza passata in giudicato, per i seguenti reati: associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico (art. 270-bis del codice penale); attentato per finalità terroristiche o di eversione (art. 280 c.p.); sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (art. 289- bis c.p.); associazioni di tipo mafioso anche straniere (416-bis c.p.); scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter); strage (art. 422, c.p.). Si tratta degli stessi reati richiamati dall’art. 2, comma 58, della legge n. 92/2012 che prevede la sanzione accessoria della revoca dell’indennità di disoccupazione, dell’assegno sociale, della pensione sociale e della pensione per gli invalidi civili qualora il titolare sia stato condannato per uno dei reati richiamati;
cui sia stata irrogata, in via definitiva, una pena non inferiore a due anni di reclusione per ogni altro delitto.
I provvedimenti di sospensione del pagamento sono adottati, con effetto non retroattivo, dal giudice che dichiara lo stato di latitanza o dal giudice che emette l’ordine d’esecuzione al quale il condannato si sia volontariamente sottratto. La norma si applica anche alle dichiarazioni pronunciate e agli ordini di carcerazione emanati prima dell’entrata in vigore.
Stop quote sindacali.
L’art. 25-bis, recante «Trasparenza in materia di trattamenti pensionistici», introduce un principio generale, in base al quale tutti gli enti erogatori di pensioni devono fornire ai soggetti percettori (i pensionati) precisa e puntuale informazione circa eventuali trattenute relative alle quote associative sindacali. Un decreto ministeriale, da emanarsi entro 60 giorni, dovrà definirne le modalità di attuazione.
Fonte: