Al primo posto della classifica dei manager più pagati di Piazza Affari nel 2017 c’è l’ex ad di Tim, Cattaneo, con 26 milioni grazie alla maxi liquidazione di 25 Seguono Marchionne (Fca e Cnh) con 13,9 milioni e Bettonte (Erg) con 9,1 milioni
di Paola Valentini
Grazie alla maxi liquidazione da 25 milioni di euro per le cariche di amministratore delegato e direttore generale di Tim , Flavio Cattaneo balza al primo posto nella classifica dei top manager più pagati di Piazza Affari nel 2017 con un compenso totale di 26 milioni. L’accordo per l’uscita era stato raggiunto dal cda del gruppo lo scorso luglio che aveva ratiificato quanto precisato dalle clausole del contratto. Del resto l’incompatibilità tra il top manager e il socio di riferimento Vivendi aveva reso impossibile il proseguimento della collaborazione e contribuito a mettere il titolo sotto pressione (-14%% nel 2017 anche se va detto che l’addio del manager risale a luglio). I 25 milioni comprendono 22,9 milioni lordi «a titolo di transazione riferiti ai compensi dovuti sulla base del suo contratto con la società» e 2,1 milioni «a titolo di corrispettivo di un patto di non concorrenza della durata di un anno».
Con questa buonuscita Cattaneo supera Sergio Marchionne, la cui busta paga negli ultimi anni è sempre stata la più corposa del listino italiano. Per le cariche di presidente di Cnh e amministratore delegato di Fca il manager italo-canadese ha ottenuto lo scorso anno un compenso totale di quasi 14 milioni, 1,8 milioni in più rispetto al 2016 (mentre per il ruolo di presidente e ceo della Ferrari non ha compensi fissi). Da Fca sono arrivati 9,6 milioni (di cui 3,5 milioni rappresentano la remunerazione fissa mentre 6,1 milioni è il compenso variabile legato ai risultati raggiunti), cui si aggiungono 4,29 milioni di euro da Cnh . Ma le entrate di Marchionne per quanto riguarda Fca non si sono fermate alla remunerazione. Il bilancio del Lingotto spiega infatti che nel corso del 2017 Marchionne ha maturato il diritto a ricevere sulla base del piano di incentivi firmato nel 2014 con l’azienda 2.795.500 azioni gratuite per i risultati conseguiti nel triennio 2014-2016 che sulla base della quotazione del titolo Fca al 13 marzo scorso (10,3 ad azione), quando è maturato il diritto (vesting date), avevano un controvalore di circa 28,9 milioni. Marchionne non ha monetizzato completamente queste azioni cedendo soltanto 1 milione di titoli il 27 ottobre (quando l’azione del Lingotto era salita a 14,7 euro) per pagare le tasse. Mentre i titoli restanti sono rimasti nel portafoglio del manager. In questo quadro, illustra il rendiconto della casa italo-statunitense, Marchionne ha ora 16,41 milioni di titoli del Lingotto, vale a dire l’1,07% del capitale. Il compenso percepito da Fca nel 2017 si somma a tutti gli altri emolumenti che il manager venuto dal Canada ha accumulato da quando nel 2003 è entrato al Lingotto come membro del consiglio di amministrazione prima di diventare amministratore delegato dell’allora Fiat nel giugno 2004. In questo quadro è interessante notare, che, secondo quanto calcolato dall’ufficio studi di MF-Milano Finanza, il manager ha incassato dalla sola casa automobilistica oltre 90,5 milioni in questi 15 anni sommando per ogni esercizio la remunerazione fissa, i bonus per i risultati raggiunti e i proventi per le stock option esercitate quando questo è successo (in particolare nei bilanci 2012 e 2014). Bisogna inoltre notare che a questa cifra vanno poi sommate 4.472.800 stock option che, stando a quanto riferisce il bilancio, il manager deteneva almeno sino al 31 dicembre 2017. Infine, va ricordato che Marchionne non ha ovviamente soltanto i 16,41 milioni di titoli del Lingotto citati in precedenza. Restando all’interno della galassia Agnelli, detiene anche 11,86 milioni di azioni Cnh e 1,46 milioni di Ferrari , per un controvalore che ai corsi attuali supera i 570 milioni. Una cifra che impallidisce a confronto con l’offerta che l’assemblea della casa automobilistica Tesla ha di recente approvato per trattenere l’ad e co-fondatore Elon Musk: stock option decennali che valgono 2,6 miliardi di dollari.
Nella classifica elaborata da MF-Milano Finanza, sulla base delle relazioni di remunerazione 2017 pubblicate in vista delle prossime assemblee di bilancio, che mette in relazione i compensi con la redditività e la performance di borsa (si vedano le tabelle pubblicate in queste pagine), Marchionne è tallonato da Luca Bettonte, ad di Erg , che nel 2017 ha ricevuto 9,1 milioni (1,52 milioni nel 2016). L’importo comprende il bonus di 3,86 milioni legato al conseguimento degli obiettivi per il 2015-2017 e la remunerazione non ricorrente di 3,75 milioni riconosciuta a seguito del riassetto del gruppo portato a termine nel 2017 con l’uscita dal business oil e l’ingresso nel solare. Anche il vicepresidente esecutivo Alessandro Garrone ha avuto, per la trasformazione della società, un premio (1,29 milioni) che ha portato il suo compenso totale 2017 a 2,49 milioni (1,18 milioni nel 2016). Il titolo comunque lo scorso anno ha registrato una performance di oltre il 50%.
Al quarto posto, con 7,7 milioni, si piazza Marco Tronchetti Provera, amministratore e vicepresidente di Pirelli, assente nel 2016 perché la società è tornata in borsa nell’ottobre 2017. Di questa somma 1,092 milioni si riferiscono alla carica nella capogruppo e 6,67 milioni quale presidente e amministratore delegato della controllata Pirelli Tyre (4,67 milioni di bonus e 2 milioni di compensi fissi). Dall’ipo, avvenuta al prezzo di collocamento di 6,5 euro, il titolo lo scorso anno ha segnato un rialzo dell’8% arrivando a fine 2017 oltre quota 7 euro, lo stesso prezzo a cui viaggia oggi. Il gruppo della Bicocca ha chiuso il 2017 con ricavi in crescita del 7,6% a 5,35 miliardi e l’utile netto si è attestato 176,4 milioni, in aumento rispetto ai 135,1 milioni dell’anno precedente.
Diversa la logica che guida le remunerazioni del gruppo Tamburi Investment Partners (Tip), merchant bank specializzata in investimenti in pmi italiane creata e presieduta da Giovanni Tamburi , che è anche amministratore delegato. Tip ha pensato fin da subito di legare quasi per intero la retribuzione dei manager al successo dell’iniziativa prevedendo quindi una componente variabile (calcolata sulla base di una formula prestabilita) e una fissa, peraltro «molto inferiore alle medie e alle consuetudini del settore», spiega il gruppo nella relazione sulla remunerazione 2018. Tamburi in totale nel 2017 ha percepito 6,31 milioni, di cui 550 mila euro fissi. Il restante compenso variabile è pari al 7% dei ricavi consolidati di advisory e al 6,25% dell’utile lordo consolidato. Stessa logica per le remunerazioni del consigliere esecutivo e direttore generale Claudio Berretti e della vicepresidente e amministratore delegato, Alessandra Gritti. Entrambi hanno avuto 3,8 milioni, di cui un fisso di 360 mila euro e una quota variabile di 3,46 milioni (il 4,25% dei ricavi di advisory e il 3,75% dell’utile lordo consolidato). Del resto i numeri sono eloquenti: nel 2017 la società ha registrato un utile netto di 71,7 milioni, il 39% in più rispetto al 2015; e il titolo ha guadagnato il 54% nel 2017. Naturale, quindi, che a fronte di risultati reddituali di alto livello e di performance di borsa altrettanto pregevoli per gli azionisti, anche i guadagni dei manager crescano di conseguenza.
Chi è chiamato a dimostrare tutte le sue capacità di rilanciare Cattolica è l’ex direttore generale delle Generali , Alberto Minali, chiamato dalla compagnia assicurativa per gestire la nuova fase del nuovo percorso di crescita del gruppo, con accanto un nuovo azionista importante di riferimento, il miliardario americano Warren Buffet che lo scorso autunno ha acquistato una quota del 9%. Il manager veronese ha lasciato il gruppo triestino a fine gennaio 2017 e per un mese ha ottenuto 92 mila euro cui si aggiungono più di 2,11 milioni quale severance, 2,15 milioni come indennità di preavviso, più 500 mila euro per patto di non concorrenza (per sei mesi nei confronti dei principali competitor e per quattro mesi verso gli altri), oltre a un bonus short term incentive di un milione. Il tutto fa quindi 5,87 milioni. Poi Minali dal primo giugno è diventato ad di Cattolica e per i sette mesi del 2017 ha ricevuto poco più di un 1 milione. Sommando i compensi delle Generali a quelli di Cattolica nel 2017 la sua remunerazione supera i 6,8 milioni.
Una cifra che lo piazza subito dopo l’ax ad di Cattolica, Giovanni Battista Mazzucchelli, che a fine maggio ha lasciato l’incarico a Minali con una liquidazione di 6,2 milioni. Aggiungendo i compensi dei cinque mesi dell’anno (1,2 milioni), a Mazzucchelli sono andati 7,4 milioni nel 2017.
Anche la busta paga di Stefano Saccardi, ex ad di Campari , è lievitata fino a 7,6 milioni grazie a una buonuscita di 6,9 milioni. Stesso discorso per Matteo Del Fante che lo scorso anno ha lasciato la guida di Terna per diventare amministratore delegato delle Poste. L’ex ad e dg di Terna ha avuto 5,1 milioni di cui 4,7 milioni di indennità di fine carica. Non è ancora disponibile, invece, la remunerazione di Del Fante alle Poste e dunque il dato parziale.
Proprio a fronte dei compensi per la cessazione dalla carica la nuova politica di remunerazione approvata a fine ottobre dall’assemblea di Mediobanca ha messo dei paletti. In particolare non sono previste somme a favore degli amministratori in caso lascino per qualunque motivo il loro incarico. Per il personale legato alle società del gruppo Mediobanca da un contratto di lavoro (inclusi quindi i consiglieri di amministrazione dirigenti e l’intero perimetro del personale più rilevante) la severance è stabilita in un massimo di 24 mesi di remunerazione con tetto a cinque milioni di euro lordi. Non ci sono stati avvicendamenti ai vertici di Mediobanca lo scorso anno e l’ad Alberto Nagel ha ricevuto 3,2 milioni, dai 2,7 milioni dell’anno precedente (il gruppo chiude l’esercizio al 30 giugno), mentre è rimasta stabile la remunerazione del presidente Renato Pagliaro (2,25 milioni). Il gruppo di Piazzetta Cuccia ha visto l’utile del bilancio 2016-2017 registrare una crescita del 25% con il titolo salito del 22%. A Gian Luca Sichel (in cda fino al 30 giugno 2017) sono andati 999 mila euro di cui 899 mila euro come ad di CheBanca!, la controllata su cui il gruppo punta molto per le potenzialità di sviluppo nell’asset management e del business della raccolta di risparmio nel retail.
Restando sempre nel comparto del credito, la top ten non vede alcun banchiere tra i capi azienda più remunerati, segno evidente della situazione del settore che solo ora sta uscendo dalla profonda crisi degli ultimi anni, mentre la ristrutturazione e il rilancio di diversi istituti è ancora in corso. Il primo della classifica è Carlo Messina, ad e dg di Intesa Sanpaolo , con 4 milioni, il 10% in più rispetto ai 3,6 milioni del 2016. Il presidente di Intesa Sanpaolo , Gian Maria Gros-Pietro, ha invece percepito 906 mila euro, lo stesso importo dell’anno precedente. Nel 2017 l’azione della banca di Ca’ de Sass è salita del 14%, mentre l’utile netto ha raggiunto i 7,31 miliardi, compreso il contributo pubblico cash di 3,5 miliardi ottenuto per l’acquisizione delle due banche venete. Senza questo apporto, i profitti netti si sono attestati a 3,81 miliardi, in aumento del 23% rispetto ai 3,11 miliardi del 2016. A valere sul 2017 la società ha previsto la distribuzione di un monte cedole di 3,4 miliardi tutti cash, pari a 0,203 euro per ogni azione ordinaria e a 0,214 euro per quelle di risparmio. Il piano 2014-2017 si è concluso così, come previsto, con un’erogazione totale di 10 miliardi di euro in contanti.
Quanto a Unicredit nel 2017 l’ad, Jean Pierre Mustier, ha avuto 1,22 milioni, mentre il presidente Giuseppe Vita 952 mila euro. Vita, oltre che gli ex vicepresidenti Luca Cordero di Montezemolo (480,5 mila euro) e Fabrizio Palenzona (175,5 mila euro) e il vicepresidente Vincenzo Calandra Bonaura (288,2 mila euro), hanno seguito l’esempio di Mustier che a fine 2016, alla vigilia dell’assemblea dell’aumento di capitale da 13 miliardi, si era autoridotto del 40% la parte fissa della sua retribuzione con decorrenza primo gennaio 2017, rinunciando a qualunque buonuscita. Che invece ha percepito Marina Natale, ex head of strategy, business development & m&a, alla quale sono andati 717,133 mila euro per l’incarico ricoperto nei primi tre mesi del 2017 più 3,271 milioni come indennità di fine carica dato che la manager ha terminato il suo rapporto con Unicredit a fine marzo dello scorso anno. Mentre il direttore generale di Unicredit Gianni Franco Papa ha avuto 1,648 milioni. (riproduzione riservata)
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