Attuazione del Codice appalti limitata a soli 23 provvedimenti su un totale di 62; norme a rischio di contenzioso Ue per violazione delle direttive. E’ questo il quadro che può delinearsi a due anni dall’approvazione del Codice dei contratti pubblici del 2016 (dlgs n. 50) che peraltro, a poche settimane dalla sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale, fu oggetto di un avviso di rettifica con 170 correzioni riguardanti 100 dei 220 complessivi.
Un codice «travagliato», quindi, anche per le ulteriori modifiche arrivate dopo sei mesi con la legge 11 dicembre 2016, n. 232 (stabilità 2017) e con il decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 (Mille proroghe), fino al decreto correttivo del 2017 (dlgs 56/2017) che ha toccato 131 articoli con circa 400 modifiche. Sul lato dell’attuazione, dei 62 provvedimenti previsti dal Codice (in capo a diversi soggetti, principalmente ministero delle infrastrutture e Autorità nazionale anticorruzione), ne sono stati approvati e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale 23.
Ma non c’è soltanto il problema della lentezza nell’attuazione del Codice, c’è anche quello in fieri del contenzioso europeo che potrebbe costringere nei prossimi mesi, a rimettere mano alla riforma voluta dal governo Renzi.
Diversi sono infatti gli organi di giustizia amministrativa italiani che in questi due anni hanno rimesso al vaglio della Corte di giustizia Ue alcune disposizioni del codice dei contratti pubblici.
Non si tratta, in realtà, di una particolare novità, perché il fenomeno si verifica ormai da quasi 25 anni, se si pensa che la legge Merloni (dalla prima 109/94 fino all’ultima «Merloni-quater» n. 166 del 2002, a sua volta corretta e modificata) finì più volte bocciata dai giudici europei. Fra i casi più rilevanti basti citare la sentenza del 7 ottobre 2004 (causa C-247/02) che dichiarò illegittima la disposizione (art. 21, comma 1 della legge 109) che imponeva alle amministrazioni aggiudicatrici, nelle procedure di gara aperte o ristrette, il ricorso al criterio del prezzo più basso, privandole della possibilità di prendere in considerazione la natura e le caratteristiche di ogni appalto e di scegliere per ciascuno di essi il criterio più idoneo a garantire la libera concorrenza e ad assicurare la selezione della migliore offerta.
Stessa sorte (bocciatura europea) toccò, su diverse materie, anche al Codice De Lise, a sua volte oggetti di tre decreti correttivi in meno di 10 anni: per tutte basti ricordare la sentenza (causa C-94/12) del 10 ottobre 2013 che bocciò i limiti all’avvalimento.
Nel caso del codice del 2016, già a due anni dalla sua approvazione, la Corte è stata chiamata ad esprimersi sulla conformità al diritto eurounitario di alcune norme anche molto delicate, quali, ad esempio, la disciplina sul subappalto (in particolare il limite del 30% del valore complessivo del contratto di cui all’art. 105, comma 2 del Codice), quella sulla legittimità dei c.d. «rito super accelerato» (art. 120, comma 2 bis c.p.a., come modificato dell’articolo 204, comma 2 bis del Codice) che impone all’operatore che partecipa a una procedura di gara di impugnare l’ammissione/mancata esclusione di un altro soggetto entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento con cui viene disposta l’ammissione/esclusione dei partecipanti.
Sempre rinviata a Bruxelles anche la disciplina in materia di cause di esclusione laddove si impone l’esclusione dalla gara in caso di omessa indicazione, nell’offerta economica, degli oneri della sicurezza (artt. 95, comma 10, e 83, comma 9 del Codice), così come la norma sull’ammissibilità di escludere il concorrente in talune fattispecie di «illecito professionale» anche in assenza di un provvedimento passato in giudicato.
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