Cosa manca all’Italia per esprimere il primo o secondo operatore europeo nella gestione dei risparmio, e uno dei primi 10-15 mondiali?
La materia prima c’è: è il risparmio degli italiani. Che, seppur impiegato soprattutto nel mattone, è il vero asso pigliatutto che l’Italia può giocare per costruire un colosso europeo e quindi mondiale del risparmio.
Ben 4 mila miliardi di ricchezza finanziaria lorda e un tasso di risparmio in ripresa dopo anni di declino, rendono l’Italia il Paese ideale per chi gestisce bene denaro altrui (e purtroppo anche per chi lo gestisce male per incompetenza o disonestà). La diffusione dei dati previdenziali ai singoli cittadini (la famosa e misteriosa busta arancione) aumenterà ancora la domanda di risparmio gestito, proprio per i timori di dover affrontare una vecchiaia stentata.
Le competenze in fase di distribuzione dei prodotti di risparmio gestito sono di ottimo livello. La rete dei consulenti finanziari (bello tornare a definirli così) monomandatari e indipendenti è di assoluto valore. Una raccolta di 130-140 miliardi negli ultimi anni non si ottiene se non si superano dubbi e incertezze dei risparmiatori, i più anziani dei quali erano abituati ai Bot e Cct sottoscritti quasi in automatico presso le banche. Il successo di manifestazioni come Consulentia di Anasf dimostra l’attenzione e la voglia di mettersi in gioco dei consulenti italiani. Il volto aperto e sicuro di Tommaso Corcos (finalmente un presidente Assogestioni che sorride) rappresenta una generazione di professionisti di mezza età e una scuola di giovani formatisi alle migliori scuole finanziarie, che hanno avuto accesso ai migliori think tank internazionali e possono costruire fabbriche-prodotto e team di analisti ed economisti capaci di indicare le scelte giuste su qualsiasi mercato del mondo. Le norme primarie e secondarie sulla gestione e protezione del risparmio non sono più sfavorevoli alle società italiane, non perché sia migliorato il quadro giuridico italiano ma perché è peggiorato quello europeo (e peggiorerà ancora con la Mifid2, per i maggiori costi di compliance). E Panama non ha più il bel clima salubre di una volta. Detto questo, la tabella in pagina riporta che il maggiore gestore italiano, Generali (tenendo conto anche delle riserve tecniche della compagnia), gestisce 445 miliardi di euro, seguito da Intesa Sanpaolo con 350 miliardi, da Pioneer (Unicredit ) con 145 miliardi e da Poste italiane con 66 miliardi (dati 2015). Anima , Mediolanum , Azimut e le altre eccellenze della gestione e distribuzione sono tutte tra 70 e 35 miliardi.
A livello globale, BlackRock vanta 3.844 miliardi, Vanguard 2.577 miliardi e i primi otto colossi superano tutti la soglia dei mille miliardi di euro. Il primo europeo, il francese Amundi, ha quasi 900 miliardi. Il primo tedesco, Deutsche Bank AM , più di 700 (al netto di Pimco, 1.162 miliardi, che pur essendo americana fa capo ad Allianz ). Tutti i colossi esteri hanno presenze in Italia piuttosto robuste e vertici italiani di primo livello, ma tutti insieme non arrivano in Italia a 300 miliardi, per cui non si può neanche parlare di colonizzazione accentuata. Ma manca un autentico campione nazionale, che può essere frutto di fusioni o accorpamenti in grado di formare una eccellenza unica, che si ponga anche all’estero come aggregante. Anni fa ci si era stati vicini, con Antonio Fazio governatore di Banca d’Italia si erano poste le premesse per la nascita di un grande polo della gestione, partendo dalle realtà di Intesa Sanpaolo e Unicredit , allora guidate rispettivamente da Corrado Passera e Alessandro Profumo. Ma le disgrazie del governatore, unite a uno scarso feeling tra i due allora superbanchieri e soprattutto al prevalere dell’insano business dei tempi, l’originate and distribute, con cui il sistema bancario si limitava a distribuire cose altrui, vanificarono il tentativo. Rispetto ad allora, si è affacciato sulla scena un nuovo protagonista, Poste Italiane , che da società quotata può e deve legittimamente guardare anche al futuro nel settore della gestione del risparmio. Il primo passo è stato fatto con l’accordo con Anima nel campo della fabbrica prodotto. Per il resto, si vedrà.
I tempi sono maturi perché l’Italia esprima in campo finanziario/previdenziale un membro dell’1 trillion dollar club. Non è riuscito a farlo con le banche, Né con le assicurazioni. Sarebbe un peccato perdere la terza occasione. (riproduzione riservata)
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