di Luisa Leone
Strada spianata per la voluntary. Dopo l’attesa approvazione dello schema di decreto sulla certezza del diritto, martedì scorso 21 aprile, anche l’emersione dei capitali ingrana la marcia giusta. Grazie alle novità contenute nel provvedimento, potranno finalmente muoversi anche i titolari dei patrimoni di dimensioni maggiori, che finora correvano il rischio che l’evasione autodenunciata attraverso la collaborazione volontaria potesse sconfinare nel campo penale e per questo far scattare il raddoppio dei termini di accertamento.
Un elemento che avrebbe reso decisamente meno sexy la regolarizzazione. Ora però, lo schema di decreto sulla certezza del diritto, che comunque dovrà essere approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri, precisa che la notizia di reato, strumentale e propedeutica all’applicazione del termine lungo di accertamento, deve essere inoltrata prima della scadenza del termine ordinario, ovvero entro cinque anni. Quanto basta per tenere i contribuenti interessati alla emersione lontani dalle grane. «Quando il provvedimento sarà definitivamente approvato, ci aspettiamo entro la fine di maggio, consentirà anche a chi ha patrimoni consistenti ridurre i costi di adesione», dice a MF-Milano Finanza Fabrizio Vedana, vice direttore generale di Unione Fiduciaria. Questo perché l’accertamento si fermerà al 2009-2010 e anche le sanzioni saranno riferite a cinque anni anziché a dieci anni «A questo punto si parte davvero. Finora avevamo diverse posizioni in stand by proprio in attesa che si chiarisse la questione del raddoppio dei termini, e si tratta dei patrimoni più importanti», aggiunge Stefano Loconte, fondatore e managing partner dello studio Loconte & Partners. Insomma lo scoglio più grosso sembra ormai superato anche se sembra comunque necessaria ancora qualche messa a punto. «Servono ancora dei chiarimenti su alcune questioni pratiche, ad esempio su come trattare le deleghe a operare sui conti», sottolinea l’avvocato Marco Graziani di Legance. Il punto è che anche per procure mai utilizzate si rischia di dover attivare delle domande ad hoc, «c’è poca chiarezza su questo punto, ma fare una domanda per ogni titolare di procura, talvolta a uffici territoriali diversi, diventerebbe un inutile appesantimento non solo per noi professionisti ma anche per l’Agenzia delle Entrate, peraltro a parità di imposte e sanzioni da pagare». Non solo, per i contribuenti che opteranno per il rimpatrio solo giuridico, e che quindi lasceranno fisicamente all’estero i propri patrimoni, c’è il problema della riservatezza legata al mandato fiduciario, qualora si scelga di avvalersi di questo strumento. «Per come è scritta la norma il contribuente sarà obbligato a compilare la dichiarazione 2014 con il quadro RW e quindi potrà contare sulla riservatezza tipica della fiduciaria solo dal momento in cui formalizzerà il mandato a quest’ultima per la gestione dei beni all’estero», punta l’indice Loconte. Vedana invece sottolinea l’importanza di sciogliere un altro nodo, quello dei waiver, ovvero l’autorizzazione che il cliente dovrà rilasciare alla propria banca estera, spesso svizzera, per consentire all’istituto di poter rispondere ad eventuali richieste d’informazioni da parte del fisco italiano. Peccato che «Con la firma dell’accordo tra Italia e Svizzera non è stato eliminato l’articolo del codice penale elvetico che impone alle banche di non collaborare in caso di richiesta di dati legati a verifiche fiscali su clienti». L’effetto è che i banchieri elvetici sono in difficoltà in relazione ai waiver e così si rischia che non rilascino affatto le informazioni o lo facciano in una forma diversa da quella necessaria per normativa italiana. La richiesta in questo caso è di poter saltare il passaggio qualora il cliente decida di affidarsi a un sostituto d’imposta come appunto la fiduciaria. Anche in questo caso non si tratta di questioni di poco conto visto che Vedana, per esempio, stima che non meno del 50% dei patrimoni rimarrà fisicamente all’estero mentre «quelli minori rientreranno perché i costi di mantenerli all’estero per importi tra i 100 mila e i 200 mila euro non sarebbero giustificati». Anche secondo Loconte il grosso dei beni resterà all’estero, «a patto che risolva l’effetto retroattivo della riservatezza». Mentre le richieste di emersioni per patrimoni occultati in Italia al fisco, nella cosiddetta voluntary domestica, «per ora sono residuali perché riguardano più che altro casi in cui gli attivi detenuti finora all’estero e non dichiarati al fisco si sono formati per illeciti commessi in Italia», aggiunge Loconte.
Infine, per i patrimoni di dimensioni minori, fino a 2 milioni di euro la questione cruciale è quella legata al metodo di calcolo forfettario dei rendimenti, consentita dalla legge. In questo caso si calcola un rendimento annuo generico del 5% su cui viene applicata un’imposta del 27%, più le sanzioni. «Ma non è detto che sia sempre la soluzione più conveniente per il cliente», sottolinea Graziani di Legance. Anzi «nove volte su dieci un calcolo analitico consente risparmi significativi, in alcuni casi anche di 100 mila euro». Una convenienza che però si assottiglia man mano che il tesoretto diventa meno ricco, anche perché i costi di un calcolo analitico sono superiori a quelli di un forfettario: «Quando si scende a valori sotto i 300 mila euro la differenza praticamente si annulla». Insomma il consiglio è di recarsi dal professionista con le idee ben chiare e chiedere sempre se ci sia davvero convenienza ad utilizzare la scorciatoia prevista dalla legge.
Tuttavia c’è da tenere in considerazione anche un altro aspetto «Chi fa oggi la voluntary dovrà comunque poi fare il calcolo analitico, necessario a pagare le imposte per gli anni successivi al 2013, l’ultimo coperto dall’opzione del forfait», conclude Graziani. (riproduzione riservata)