Le somme corrisposte a titolo di trattamento di fine rapporto da un’azienda italiana devono essere sottoposte a tassazione in Italia, anche nel caso in cui il lavoratore percipiente abbia la residenza oltre confine e abbia, del pari, effettuato le proprie prestazioni lavorative all’estero. Sono le conclusioni che si leggono nella sentenza n. 90/05/2015 della Commissione tributaria provinciale di Bergamo. Il collegio veniva chiamato a decidere sulla fondatezza di un’istanza di rimborso, presentata da un contribuente in relazione alle ritenute fiscali operate dall’azienda all’atto dell’erogazione del Tfr. A parere del richiedente, la tassazione non doveva aver luogo, poiché egli aveva lavorato all’estero ove era, peraltro, residente. Il diniego tacito all’istanza (sulla quale l’Agenzia delle entrate aveva manifestato un silenzio rifiuto) è stato ritenuto legittimo dall’adita Ctp di Bergamo, che ha fatto applicazione delle disposizioni contenute nell’articolo 23 del dpr 917/1986 (Tuir). Per tali somme, infatti, rileva il fatto che l’azienda che le ha erogate fosse a tutti gli effetti un soggetto residenti nel territorio dello Stato (o comunque avente una stabile organizzazione nel territorio stesso). A nulla è valso, dunque, eccepire che il percipiente fosse un soggetto non residente e che costui avesse svolto la propria prestazione lavorativa all’estero. La commissione ha anche condannato il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’amministrazione finanziaria.
Benito Fuoco
La vertenza prendeva le mosse da una ritenuta fiscale (molto copiosa) operata da un società italiana, sul trattamento di fine rapporto corrisposto a un lavoratore, il quale aveva prestato la propria attività lavorativa all’estero ed era altresì residente oltre confine. Ritenendo di non dover subire alcuna decurtazione fiscale dallo stato italiano, il lavoratore presentava all’Agenzia delle entrate un’istanza di rimborso; decorsi 90 giorni senza risposta, sulla medesima si formava il silenzio rifiuto, oggetto dell’opposizione dinanzi alla Ctp di Bergamo.
Il ricorso è stato rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
La Commissione, pur constatando che il lavoratore avesse prestato la propria opera lavorativa in Taiwan, ove pure era residente, ha invocato l’applicazione dell’articolo 23 del dpr n. 917/86 (Tuir), che espressamente disciplina i casi di «applicazione dell’imposta ai non residenti». In base a tale norma, specificamente al comma 2, «si considerano prodotti nel territorio dello stato, se corrisposti dallo stato, da soggetti residenti nel territorio dello stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti:
a) le pensioni, gli assegni a esse assimilati e le indennità di fine rapporto». Alla luce di tale disciplina, la Commissione ha rilevato che: «Tanto si è verificato nella fattispecie, il ricorrente ha prestato all’estero attività lavorativa quale dirigente di una società con sede legale in Italia», e dunque l’erogazione è avvenuta da parte di un « soggetto residenti nel territorio dello stato». Trova pertanto applicazione il citato articolo 23, per cui, spiega la Commissione, «le indennità di fine rapporto si considerano prodotte nel territorio dello Stato se corrisposte da soggetti residenti nello Stato o da stabili organizzazioni italiane di soggetti non residenti». Da precisare che il regime di tassazione delle indennità di fine rapporto maturate all’estero è questione molto dibattuta, con ampie divergenze tra la dottrina prevalente e l’amministrazione finanziaria. La posizione di quest’ultima tende a ritenere in ogni caso imponibile in Italia tali somme maturate all’estero, ma corrisposte da datore di lavoro residente in Italia. Tuttavia, come confermato dalla risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 341 del 1° agosto 2008, tale impostazione può essere talvolta superata, avendo riguardo alle previsioni contenute nelle convenzioni contro le doppie imposizioni (ove esistenti con il paese estero in cui si è svolta la prestazione), prevedendo che la tassazione debba riservarsi esclusivamente nello stato di residenza del lavoratore, indipendentemente dalla residenza del datore di lavoro.