di Luciano Mondellini
Mai come adesso la galassia di società facenti capo alla famiglia Agnelli/Elkann è in fermento. Iniziando dalla holdingExor sino a scendere alle controllate Fca e Cnh Industrial in campo industriale oppure Rcs nel settore editoriale (si veda articolo in pagina 25) sono poche le imprese controllate dall holding torinese non affette dalla febbre dell’m&a che sembra avere contagiato la dinastia Agnelli/Elkann in questo periodo.
La holding Exor in settimana ha messo sul piatto 6,4 miliardi di dollari (6 miliardi di euro circa) per acquistare il 100% di PartnerRe, colosso statunitense da 6 miliardi di dollari di ricavi che rappresenta la sesta società assicurativa nel mondo nei danni.
L’offerta di John Elkann è in attesa di risposta da parte del cda di PartnerRe che ha però in essere un’intesa di fusione con il fondo Usa, Axis Capital Holdings. Tuttavia il fatto che l’offerta di Exor, che ha valutato PartnerRe 130 dollari ogni titolo, comporti un premio del 16% rispetto al valore implicito dell’intesa con Axis fa ben sperare il Lingotto, tanto che Elkann si è detto certo di concludere l’operazione, in questo corroborato dalla dichiarazione del fondo Franklin Mutual, il secondo maggior socio di PartnerRe con il 4,75%, che ha spiegato di essere insoddisfatto dell’accordo col fondo e di ritenere l’offerta di Exor decisamente migliorativa.
Exor ha tenuto a precisare non solo che l’operazione sarà realizzata totalmente in cash ma che dispone anche di tutte le risorse finanziarie necessarie.
Quindi l’operazione non richiederebbe alcun aumento di capitale da parte di Exor né l’approvazione dei suoi soci. Il conto infatti torna. Exor ha ora a disposizione un cuscinetto di circa 2 miliardi di euro di liquidità (oltre 2,1 miliardi di dollari). A questi vanno sommati i proventi di prestiti ponte e finanziamenti a medio termine investment grade garantiti da Citibank e da Morgan Stanley fino a un ammontare di 4,75 miliardi di dollari. Per un totale di 6,8 miliardi di dollari.
Ma attenzione, non bastasse l’acquisizione di PartnerRe, va notato che questo piano potrebbe essere modificato in corso d’opera da un’altra operazione m&a. Exor, infatti, ha annunciato in febbraio l’intenzione di cedere la quota (80,89%) nell’immobiliare newyorchese Cushman&Wakefield. Qualora la holding riuscisse a completare la cessione (il Wall Street Journal la valuta 2 miliardi di dollari), l’incasso sarebbe utilizzato per ripagare parte del debito attivato nell’operazione PartnerRe.
Oltre al significato finanziario, va però spiegato che in termini strategici l’investimento nella società di riassicurazione nordamericana ha una motivazione importante.
Nei piani di Exor, infatti, investire in una società di servizi finanziari come PartnerRe completa bene il pacchetto degli investimenti in portafoglio, in quanto offre una diversificazione negli asset che sono oggi prevalentemente in settori industriali ad alto impiego di capitale, come Fca e Cnh Industrial. Non a caso, nei giorni successivi l’offerta, Exor ha avuto il plauso dei broker che hanno promosso l’operazione.
Scendendo nella catena di controllo, anche la controllata più celebre, Fca, si trova al centro di un riassetto intricato che nel futuro prossimo potrebbe riservare più di una sorpresa. Di certo, sinora, c’è soltanto che in estate il Lingotto separerà dal perimetro Ferrari, di cui ora detiene il 90% (mentre l’altro 10% è di Piero Ferrari). Fcavenderà il 10% della quota con un’ipo a Wall Street e in un’altra borsa europea (probabilmente alla fine sarà scelta Milano), mentre il restante 80% sarà distribuito ai soci Fca pro quota. Ciò significa che Exor, che controlla la casa automobilistica con il 29% del capitale e il 44% dei diritti di voto per via della norma sul voto plurimo consentita dalla legge olandese, diventerà, come mostra il grafico in pagina, il nuovo maggior socio di Ferrari con circa il 24%.
Ma lo scorporo della scuderia modenese non rappresenta certo l’ultima operazione straordinaria in casa Fca. Come MF-Milano Finanza ha segnalato subito dopo l’annuncio della separazione della Ferrari di fine ottobre, lo spin-off è da leggere all’interno di uno scenario di consolidamento internazionale nel settore automobilistico che rappresenta una necessità per Fca. Non è un caso, infatti, che in questi ultimi mesi Marchionne abbia ripreso quel mantra che aveva contraddistinto il periodo precedente l’intesa con Chrysler nel 2009, quando ripeteva ossessivamente che Fiat parlava con tutti e che non escludeva nessuna intesa con altre case nel settore. Un mantra che ha ripetuto più volte anche nelle scorse settimane, non ultimo alla assemblea dei soci Fca tenutasi giovedì 18 in Olanda. Insomma, nessuno si sorprenderebbe se di qui a qualche mese Marchionne dovesse annunciare una nuova alleanza con qualche casa concorrente.
In questo quadro, però, c’è da fare una premessa per spiegare perché Fca si siederà al tavolo dell’m&a solo dopo avere concluso la separazione di Ferrari. È evidente, infatti, che il Lingotto avrà un valore inferiore una volta che il Cavallino sarà scorporato. Questa riduzione, quindi, spunterà in parte le armi in mano a Fca al tavolo delle negoziazioni.
Nello stesso modo, però, con lo scorporo di Ferrari la famiglia Agnelli/Elkann tratterà un’eventuale nuova intesa senza il rischio di dover condividere il gioiello Ferrari, che preventivamente è stato messo al sicuro in Exor ovvero nella cassaforte. Insomma, nella famiglia torinese è stata fatta una scelta ben precisa: pur di non perdere il controllo delle gemma Ferrari, la dinastia industriale accetterà un peso minore all’interno di una nuova fusione su scala globale. Non escludendo in questo senso neppure l’ipotesi di diventare azionista di minoranza in una società che abbia un respiro di natura intercontinentale.
In base a queste considerazioni sono tre le opzioni che si aprono per Fca . La prima prevede un’intesa con una casa nordamericana. Marchionne ha spiegato che non ci sarebbero ostacoli tecnici, di natura antitrust, in caso di accordo con Ford o General Motors. Nel contempo all’assemblea degli azionisti non ha voluto commentare le indiscrezioni secondo le quali ci sarebbero già stati incontri con il management di General Motors rifugiandosi nel solito ritornello: «Fca sta dialogando con tutti e su diversi argomenti non solo alleanze internazionali». In caso di intesa con una casa Usa, la ratio dell’accordo risiederebbe nell’abbattimento dei costi operativi che sinergie di scala veramente importanti permetterebbero di ottenere.
La seconda opzione prevede invece un accordo con un costruttore europeo ma con respiro intercontinentale. In questo caso Fca metterebbe sul piatto soprattutto la sua presenza nelle Americhe e negli Stati Uniti, oltre a un abbattimento dei costi operativi nel Vecchio continente. Un candidato ideale in questo senso sembra Volkswagen, che ha ambizioni di diventare il leader mondiale nel settore entro il 2018 ma che sta incontrando notevoli problemi negli Stati Uniti. Tanto che le difficoltà negli Usa rappresentano una delle critiche principali che il patron, Ferdinand Piech, ha mosso nei confronti del ceo, Martin Winterkorn, nella guerra di potere che sta squassando il colosso tedesco. Non si possono però nemmeno escludere intese con Psa, che dopo l’ingresso nel capitale dei cinesi di DongFeng e il conseguente rafforzamento in Oriente, ora potrebbe mettere le Americhe nel mirino. Sullo sfondo c’èBmw , guidati dalla famiglia Quandt da sempre in ottimi rapporti con la dinastia Agnelli/Elkann con la quale condivide numerose idee sul capitalismo di natura famigliare. Infine, non si può togliere dal novero delle opzioni nemmeno Daimler che, nonostante abbia fallito a suo tempo con Chrysler , ha nel presidente Dieter Zetsche uno dei manager più apprezzati da Marchionne nel settore.
La terza opzione, infine, riguarda una possibile intesa in Oriente, dove Fca ha tuttora notevoli problemi come ha ammesso lo stesso Marchionne nel corso dell’assemblea dei soci in Olanda. Suzuki è un’ipotesi da tempo considerata percorribile perché Fca si ingrandisca in Oriente, ma l’opinione degli osservatori è che se si dovesse arrivare a un’operazione con una casa non di grande stazza, l’alleanza che ne scaturirebbe non rappresenterebbe che una tappa intermedia in vista del grande passo successivo, ricadendo quindi con maggior voce in capitolo nelle trattative in una tra le due opzioni precedenti (proprio perché la fusione ha incrementato le dimensioni di Fca ).
Anche Cnh Industrial non è immune da questa febbre da m&a che sta contagiando la holding. Non più tardi di mercoledì 15, infatti, Sergio Marchionne, in qualità di presidente della società operante nei veicoli industriali, ha reso noto che Cnh Industrial sta osservando possibili opportunità di acquisizioni nel settore delle macchine agricole nell’ambito di un mercato che «sta toccando il fondo». «Diminuiremo gli investimenti in relazione al rallentamento del mercato agricolo ma è il momento giusto per svilupparci per vie esterne nel mercato», ha fatto sapere Marchionne.
Sul mercato non c’è nessuna preda del calibro di quella che Exor ha messa nel mirino. Ma il processo di scouting prosegue in un settore da tempo contraddistinto da un corsa a tre tra la statunitense Agco, la connazionale John Deere oltre Cnh Industrial (riproduzione riservata)