di Roberta Castellarin e Paola Valentini
L’economia italiana si presenta all’appuntamento con la festa dei 70 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale indebolita da una crisi che ha portato in pochi anni a una contrazione del pil del 10%, paragonata da molti a quella vissuta negli anni 30 negli Stati Uniti e in Europa. Oggi si vedono però i primi segnali di recupero, merito anche di una congiuntura particolarmente favorevole tra bassi tassi d’interesse, basso costo del petrolio e debolezza dell’euro.
Segnali che fanno pensare a una crescita del pil superiore alle attese e che hanno reso Piazza Affari regina dei listini da inizio anno, come dimostrano anche i risultati dei fondi azionari specializzati (tabella in pagina) e delle gestioni patrimoniali (vedere inchiesta a pagina 33). Dopo questo rally delle azioni, il nuovo passaggio potrebbe riguardare anche strumenti più direttamente legati all’economia reale. Anche perché Piazza Affari ha dovuto fare da sempre i conti con un numero ridotto di azioni quotate e un forte peso sull’indice del settore bancario. D’altronde nemmeno il boom economico del primo dopoguerra ha portato a uno sviluppo consistente della borsa. Uno studio condotto da Consob in occasione dei 150 anni dall’Unità d’Italia ricorda infatti che «negli anni della ricostruzione e del miracolo economico la borsa italiana non riuscì a fare un vero salto di qualità: a partire dal secondo dopoguerra (e fino a metà degli anni 80) il numero di società quotate rimase sostanzialmente invariato; il flusso di entrate e uscite dalla borsa creò un certo rinnovamento nel listino ma, complessivamente, i settori industriali rappresentati nel listino rimasero quelli più tradizionali e meno innovativi rispetto al panorama delle principali imprese non quotate».
L’economia italiana resta un’economia fortemente bancocentrica, che ora paga proprio il prezzo della riduzione dei debiti che il mondo bancario è costretto a fare. Nonostante la ricchezza finanziaria non manchi, manca il ponte tra questa è l’economia reale. Prova ne è anche la ridotta esposizione alle azioni di Piazza Affari dei portafogli dei fondi pensione italiani, che oggi possono però muoversi con maggiore libertà grazie al nuovo decreto sugli investimenti varato dal governo Renzi, che sostituisce la vecchia norma 703 del 1996, figlia di un’epoca lontana anni luce dall’attuale. D’altra parte gli investitori istituzionali, come i fondi pensione, sono sempre più alla ricerca di fonti di rendimento che i titoli di Stato, storicamente protagonisti del loro portafoglio, non sono più in grado di dare.
Ma qualcosa inizia a muoversi con i mini-bond, nati a seguito del decreto sviluppo del 2012 che incentiva le pmi a finanziarsi sul mercato emettendo debito con un regime fiscale e legale favorevole.
Queste emissioni obbligazionarie, destinate agli istituzionali, vedono nascere i primi fondi ad hoc. Come Progetto Minibond Italia di Zenit Sgr, che con un investimento di 2,2 milioni di euro ha appena sottoscritto il primo minibond in Italia garantito dal Fondo Centrale di Garanzia, quello di Essepi Ingegneria. «Il nostro fondo Progetto Minibond Italia nasce con l’obiettivo di consentire e agevolare l’incontro tra gli investitori ed eccellenze imprenditoriali italiane. Offriamo agli investitori opportunità di diversificazione del loro portafoglio e alle aziende la possibilità allargare le fonti di finanziamento dei progetti di espansione», afferma Marco Rosati, ad di Zenit Sgr.
Un’altra società attiva su questo fronte è Anthilia Capital Partners, che con Banca Akros ha lanciato Anthilia Bond Impresa Territorio (Anthilia Bit), il fondo per le pmi italiane che investe in mini bond nato a fine 2013. Tra l’altro il Bit, grazie all’impegno di un pool di banche territoriali, è il primo nel suo genere che può già contare su una disponibilità effettiva iniziale di 100 milioni di euro. Se i mini bond sono dedicati agli investitori istituzionali, i risparmiatori privati che vogliono avere un’esposizione alle pmi quotate a Piazza Affari, dove le eccellenze non mancano, possono farlo attraverso i fondi azionari Italia. E anche in questa asset class iniziano a fare capolino novità importanti come il nuovo fondo di Arca sgr, battezzato Arca Economia Reale Equity Italia dedicato proprio al retail (si veda box a pag 15). Anima ha invece lanciato recentemente un azionario che investe sulle azioni delle pmi italiane, Anima Iniziativa Italia Pmi, destinato però agli istituzionali.
Gli spazi di crescita nei portafogli degli italiani non mancano certo, dal momento che le famiglie tendono ancora a tenere una grossa fetta del patrimonio investita in liquidità, anche se non rende. In base alle previsioni del rapporto Yellow di Prometeia, a gennaio di quest’anno la crescita dei depositi bancari e postali delle famiglie è accelerata al 3,6% rispetto al 3,2% di dicembre 2014. Un dato che era già emerso dall’ultima Indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani condotta da Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo . La ricerca rivelava che solo un terzo degli intervistati detiene meno del 10% della propri ricchezza finanziaria sotto forma di liquidità sul conto corrente. Per i restanti due terzi, la liquidità sul conto corrente rappresenta oltre il 10% della ricchezza finanziaria totale. Per quasi un intervistato su cinque questa rappresenta il 100% della ricchezza finanziaria. Questo anche in una fase in cui tenere i soldi fermi sul conti non rende nulla e ha, anzi, ha un costo opportunità.
Certo oggi la ricerca di rendimento non è un’impresa facile, visto che i titoli di Stato offrono una remunerazione risicata, e nonostante l’aumento degli spread registrato nelle ultime settimane il Btp decennale ha un rendimento dell’1,5%. Non stupisce quindi come Prometeia registri che «nel mese di dicembre scorso è proseguita la riduzione dei titoli di Stato detenuti dalle famiglie, correlata alla minore appetibilità dello strumento in termini di rendimento a scadenza. Su base annua la flessione si è portata al -16% a dicembre 2014». La ricerca di maggiori rendimenti ha spinto gli investitori a guardare ai prodotti del risparmio gestito, la cui raccolta netta è ulteriormente cresciuta del 2015. In questo contesto gli sportelli bancari si sono confermati il canale più attivo nel collocamento di fondi comuni e gestioni patrimoniali. Prometeia sottolinea che le società di gestione di matrice bancaria, anche grazie al lancio di nuovi prodotti, hanno raccolto 4,3 miliardi di euro in fondi comuni e quasi 1,2 miliardi di euro in gestioni patrimoniali retail.
D’altra parte anche in un periodo di forte crisi la ricchezza finanziaria delle famiglie è salita oltre i 4 mila miliardi (dati a fine settembre 2014) rispetto ai 3.700 miliardi di fine 2012.
Per quanto riguarda il confronto con quanto avviene all’estero, Prometeia sottolinea che «pur emergendo un quadro di significativo miglioramento, nel confronto internazionale sui livelli di ricchezza emerge un quadro di maggiore debolezza dell’Italia rispetto ai principali Paesi europei che monitoriamo e agli Usa». Le ricchezze finanziarie delle famiglie italiane, sia lorde sia al netto delle passività finanziarie, non hanno ancora recuperato in termini reali i livelli del 2007 e «il nostro Paese è sfavorito anche rispetto alla Spagna dove le famiglie, maggiormente indebitate, hanno ridotto in misura importante le passività conseguendo in tal modo una crescita delle attività finanziarie nette in linea con quelle di Francia e Germania», si legge nel report.
Dal punto di vista della composizione dei portafogli qualche segnale di cambiamento inizia a vedersi. Nel risparmio gestito cresce il peso dei fondi flessibili, che danno carta bianca al gestore nella diversificazione tra bond e azioni. C’è anche una maggiore consapevolezza della necessità di un risparmio volto a creare un tesoretto a lungo termine, destinato per supplire a un welfare pubblico che sarà in futuro sempre più ridimensionato. Dal punto di vista dei flussi, infatti, Prometeia rileva che l’Italia è il Paese con maggiori flussi indirizzati verso investimenti previdenziali e assicurativi dopo il Regno Unito, grazie agli importanti investimenti in polizze assicurative di tipo tradizionale collocate dagli sportelli bancari e al crescente attivismo delle reti di promotori sul fronte delle unit linked. Queste polizze presentano ancora vantaggi in termini di tassazione e imposte di successione, che le rendono particolarmente appetibili per la clientela del private banking.
«Gli anni della crisi hanno confermato come il risparmio sia nel Dna degli italiani. Su questa innata propensione che spiega anche l’elevato stock di ricchezza finanziaria delle famiglie italiane, tra i più grandi al mondo, si è innestato un netto cambiamento nell’approccio alla gestione del patrimonio», afferma Alessandro Foti, amministratore delegato e direttore generale di FinecoBank , «per questo vediamo un importante aumento della domanda per una consulenza specializzata, con una forte attenzione verso la diversificazione e il bilanciamento dei portafogli verso forme di investimento più evolute. Una richiesta, quest’ultima, dovuta al fatto che gli italiani sono stati tradizionalmente abituati a investire i propri risparmi in titoli di Stato o conti di deposito, che nell’attuale contesto di mercato registrano rendimenti minimi».
E proprio il mondo del risparmio gestito, che ha ripreso smalto in questi due anni, potrebbe rappresentare un tramite tra i risparmi delle famiglie e l’economia reale. L’obiettivo, ha ricordato più volte il presidente di Assogestioni, Giordano Lombardo, deve essere quello di «portare in maniera ordinata e trasparente porzioni di risparmio verso l’economia reale». Da qui la necessità di introdurre strumenti volti a incentivare un risparmio a lungo termine, senza dimenticare il tema della previdenza: Lombardo auspica in questo senso una «piena portabilità dei fondi pensione e una revisione del trattamento fiscale che allinei l’Italia agli altri Paesi europei».
Il momento, peraltro, potrebbe essere quello giusto tanto che Morgan Stanley ha dedicato un report all’Italia e alle sue banche intitolandolo Now or Never, ovvero ora o mai più. Secondo gli analisti, infatti, il Paese ha oggi una grande opportunità di guarire dal malessere della bassa crescita che lo ha caratterizzato per anni. Gli esperti partono dal contesto ciclico, oggi particolarmente favorevole proprio all’Italia. «Il Paese oggi può contare su tre fattori positivi: la debolezza dell’euro, il Quantitative easing della Bce e il basso costo dell’energia. Se a questo si associa una politica fiscale più favorevole alla crescita e una ripresa dell’attività economica, dal Paese potranno arrivare sorprese positive», si legge nel report. Mentre le esportazioni si confermano forti, una ripresa dei consumi domestici potrebbe derivare da un recupero della fiducia, dicono gli analisti. Alcuni nodi restano però da risolvere dal punto di vista delle riforme strutturali. Gli esperti ricordano infatti che, pur essendo più ottimisti del consensus sulle prospettive dell’Italia nel medio termine, la malattia della bassa crescita non è ancora stata del tutto curata. Ma qualcosa ha iniziato a cambiare con quella che Morgan Stanley definisce Renzinomics, e un ritorno alla crescita del Paese potrebbe facilitare l’implementazione di ulteriori misure.
D’altra parte chi in questi ultimi anni avesse dato fiducia alle azioni di Piazza Affari avrebbe ottenuto rendimenti di tutto rispetto (si veda tabella in pagina). In base ai dati Morningstar sulle performance cumulate da aprile 2005 il fondo vincitore sull’orizzonte dei dieci anni è il Fidelity Italia di Fidelity Worldwide Investment con un rendimento di quasi il 73%. Il fondo è gestito oggi da Alberto Chiandetti. «Le stime di consenso sulla crescita economica sono state riviste al rialzo e ciò è dovuto a diversi fattori fra cui l’indebolimento dell’euro, che favorisce le esportazioni europee ed italiane. Inoltre si è recentemente riscontrata una crescita della fiducia delle imprese e delle famiglie», spiega Chiandetti, Secondo il gestore, alle valutazioni attuali è possibile identificare opportunità di investimento molto interessanti come nel settore farmaceutico, poco ciclico e all’interno del quale sono presenti società solide. «Inoltre alcuni titoli bancari potrebbero in futuro risultare particolarmente favoriti dalla ripresa del ciclo economico», afferma Chiandetti, «in questo caso prediligo banche con un livello di capitale elevato, anche se più correttamente valutate. Infine vi sono storie di ristrutturazione il cui potenziale a mio avviso non è stato ancora pienamente compreso dal mercato». Secondo il gestore, il Qe e la conseguente crescita del Pil influenzeranno positivamente gli utili delle aziende italiane. «Lo scenario che si va delineando, pur non trattandosi di un contesto di crescita elevata, potrà supportare le prospettive delle realtà più interessanti presenti a Piazza Affari», conclude il gestore di Fidelity.
Dello stesso parere Stefano Fabiani, gestore azionario Italia di Zenit Sgr: «Il mercato azionario italiano è uno dei migliori da inizio anno, con una performance superiore al 20%. Attualmente i multipli non sono particolarmente attraenti, trattando a circa 17 volte gli utili previsti nel 2015, un livello storicamente elevato. Pensiamo però che il nostro mercato resti un’interessante occasione di investimento, in quanto siamo di fronte a un momento di potenziale svolta per l’Italia grazie anche a una serie di importanti fattori esogeni. In questo scenario prendono maggiore consistenza le speranze di un percorso di ripresa della nostra economia e dell’eurozona in generale, con un potenziale di crescita sicuramente maggiore per il nostro Paese, fermo da quasi 10 anni», spiega il gestore di Zenit Sgr, nella cui gamma c’è il fondo azionario Italia Mc Pianeta Italia. Applicando questo ragionamento al mercato azionario italiano, «possiamo notare come l’utile per azione atteso a fine 2015 per il Ftse Mib, con una forte crescita rispetto al 2014, è in realtà inferiore di oltre il 50% rispetto ai livelli raggiunti del 2006-2007. Questo confronto rende tangibile l’upside di medio periodo. Ovviamente molte aziende difficilmente torneranno agli utili di picco, perché il mercato è mutato strutturalmente in diversi settori, ma altre si sono aggiunte e sono cresciute, portando un contributo che dieci anni fa non esisteva».
Muoversi è necessario anche per proteggere la ricchezza finanziaria da un fenomeno, definito dagli economisti repressione finanziaria, che durerà ancora per anni. La repressione finanziaria è un modo silenzioso per ridurre il debito pubblico. Può concretizzarsi con rendimenti reali negativi degli asset, con un aumento delle imposte oppure con entrambi. Di fatto gli Stati o le banche centrali promuovono una politica economica e monetaria che permetta di utilizzare la ricchezza privata per ridurre i debiti pubblici. Il tutto con una certezza: saranno i risparmiatori a pagare il conto, che sarà tanto più alto quanto più il Paese risulta indebitato. Non deve quindi stupire che il fenomeno sia così evidente in Italia, dove il debito è al 133% del pil. È difficile tenere il conto di tutti gli interventi che dall’inizio della crisi hanno puntato proprio sui risparmi. Oltre alle tasse sulla casa, che ormai rappresentano un prelievo annuo di 30 miliardi, è stata introdotta l’imposta di bollo sugli investimenti finanziari ed è stata più volte aumentata la tassazione sui capital gain, arrivata al 26%. Così, di manovra in manovra, la pressione fiscale sui risparmi è lievitata. Infine, nell’ultima legge di Stabilità sono stati messi nel mirino il Tfr e i fondi pensione, l’unica forma di risparmio che finora era rimasta indenne. Se resta in azienda, l’aliquota sulla rivalutazione del Tfr passa dall’11 al 17%; se va in un fondo pensione, il rendimento sarà tassato al 20% (quasi il doppio rispetto al precedente 11,5%); se va in busta paga, è soggetto alla tassazione ordinaria. Di fatto, qualunque scelta faccia il lavoratore, il risultato non cambia: la sua liquidazione è tassata molto più che in passato. Lo stesso discorso vale per fondi pensione e casse previdenziali, con i primi tassati al 20% sul rendimento maturato e i secondi al 26%. (riproduzione riservata)