di Anna Messia
Far salire i rendimenti mantenendo sotto controllo il rischio. Come dire, trovare la formula magica che farebbe felice ogni investitore. Ma è proprio questa la sfida che nei prossimi mesi le compagnie di assicurazione saranno chiamate ad affrontare. Il conto alla rovescia per l’avvio delle nuove regole sui requisiti di capitale di Solvency II è partito.
Il 1° gennaio 2016 è vicino, considerato il profondo riassetto organizzativo che la nuova regolamentazione richiede alle imprese. Si tratterà di un cambiamento epocale, che tra l’altro si andrà ad aggiungere al già complicato scenario che le assicurazioni si trovano costrette affrontare nella fase attuale, caratterizzato da tassi d’interesse vicini allo zero che mettono in discussione i modelli distributivi utilizzati finora, in particolare nel comparto delle polizze Vita. Un segmento, quest’ultimo, che continua a registrare un boom di raccolta, visti gli oltre 90 miliardi di nuove produzione Vita ottenuta dalle assicurazioni italiane nel 2014. Finora l’abbassamento dei tassi ha permesso alle compagnie che hanno comprato titoli obbligazionari a spread elevati di ottenere buona redditività e di riconoscere ai clienti rendimenti attrattivi grazie all’aumento di valore dei bond. In uno scenario di bassi tassi persistenti questo effetto benefico è però destinato a scemare. Dove investire quindi i nuovi flussi per riuscire ancora a riconoscere agli assicurati rendimenti interessanti ed evitando alti rischi (e quindi salati accantonamenti di capitale alla luce di Solvency II)? «Il livello attuale e prospettico dei tassi richiede ai manager delle compagnie Vita italiane di iniziare a confrontarsi con lo stesso problema affrontato negli ultimi anni dai colleghi europei», osserva Christian Bongiovanni, partner di McKinsey. Il problema è dover giustificare costi e margini in un mercato con rendimenti futuri molto limitati. Per questo motivo, «senza un cambiamento della strategia di prodotto, di investimento e distributiva, il persistere dei bassi tassi, ovvero lo scenario “alla giapponese”, potrebbe portare i rendimenti a essere pari ai costi, con una progressiva perdita di attrattività dei prodotti tradizionali per i clienti», aggiunge il consulente.
Le contromosse delle compagnie sul fronte della politica di distribuzione delle polizze Vita potrebbero essere due. Da una parte frenare un po’ la raccolta (per rallentare i flussi d’ingresso di nuovi capitali da investire), dall’altra indirizzare i clienti verso prodotti diversi rispetto alle gestioni tradizionali, preferendo per esempio le unit linked. Si tratta di strategie che le compagnie hanno già cominciato a mettere in atto. Ma resta l’interrogativo su quali nuovi investimenti possano fruttare i rendimenti più interessanti. Finora i portafogli delle compagnie sono stati riempiti prevalentemente di titoli di Stato, come evidenziano le mosse di gruppi come Generali, Poste Vita o UnipolSai. Ma ora c’è bisogno di nuovi orizzonti. Qualcosa si sta già muovendo; per esempio, alcune compagnie (come Eurovita, Poste o Intesa Sanpaolo Vita) stanno guardando ai fondi per le pmi presenti nel portafoglio del Fondo Italiano d’Investimenti. E, mentre l’investimento in azioni appare piuttosto penalizzato dai nuovi requisiti di Solvency II, le obbligazioni convertibili sono meglio posizionate. «L’approccio di Solvency II, basato su rendimenti aggiustati per il rischio e per il costo del capitale, dovrebbe costituire un vantaggio per le obbligazioni convertibili rispetto alle azioni», osserva Nicolas Delrue (Union Bancaire Privée). Il problema per le compagnie è infatti capire quale asset class offre un’esposizione più conveniente all’azionario senza compromettere il potenziale di rialzo. «In presenza di un costo legato alle regole molto più basso e a parità di rischio d’investimento e di rendimento potenziale rispetto alle azioni (attraverso l’opzione di conversione integrata nel titolo), i bond convertibili sembrano un candidato probabile», conclude l’analista di Ubp. (riproduzione riservata)