di Stefania Peveraro
Lagrande effervescenza che in questi primi mesi dell’anno sta vivendo il settore dell’m&a sarà fonte di ricchi guadagni per le banche d’affari in tutto il mondo. E l’Italia non farà eccezione. Anzi. Visto il grande interesse che il nostro Paese sta riscontrando da parte degli investitori esteri, proprio l’investment banking è la divisione che quest’anno dovrebbe portare le maggiori soddisfazioni nel 2015, in termini di commissioni, dopo che nel 2013 e 2014 il boom dei ricavi si è registrato nel trading sui Btp e nel risparmio gestito.
Se c’è più m&a, infatti, c’è più lavoro per chi fa advisory puro e per chi organizza i finanziamenti.
S’intensifica inoltre l’attività di chi sul mercato del debito va a collocare bond o a sindacare prestiti per finanziare le acquisizioni, e anche per gli strutturatori di aumenti di capitale e quotazioni in borsa. Ma avrà più lavoro anche chi organizza operazioni considerate ancora innovative per il mercato italiano ma già rodate in altri Paesi, come le quotazioni tramite Spac (Special purpuse acquisition veichle). Sono veicoli d’investimento che raccolgono preventivamente il capitale presso gli investitori, si quotano e poi individuano una società target unica non quotata, di cui acquisiscono una partecipazione significativa e con la quale poi si fondono portandola automaticamente in borsa. Da fine 2014 a oggi sono state ben tre le operazioni di questo tipo che sono arrivate alla conclusione del loro ciclo: quella di Ipo Challenger che ha dato vita a Italian Wine Brands, gruppo vinicolo nato dall’integrazione di Giordano Vini e di Provinco Italia; quella di Space su Fila, il noto gruppo produttore di matite e pennarelli colorati; e infine quella di Italian Stars of Italy su Lu-Ve, gruppo produttore di scambiatori di calore e sistemi industriali di condizionamento.
Tornando ai ricavi da investment banking, secondo i dati raccolti da Dealogic, da inizio anno a fine marzo le banche italiane ed estere che hanno lavorato su deal con protagonisti italiani hanno maturato ricavi netti da investment banking pari a 238 milioni di euro, in leggero aumento dai 225 milioni del primo trimestre 2014. Ciononostante, l’anno scorso l’attività di investment banking aveva portato ricavi netti per ben 1,355 miliardi di euro, in sensibile aumento dai 995 milioni del 2013 e poco sotto gli 1,45 miliardi del 2006, anche se si trattava di una cifra ancora lontana da quella record di 1,75 miliardi del 2007.
A dare le maggiori soddisfazioni nel trimestre appena passato è stato l’equity capital market con 47 milioni di euro di ricavi, più del triplo rispetto ai 13 milioni del primo trimestre 2014. Bene anche il mercato del debito, a quota 142 milioni dai 126 milioni dell’anno scorso, mentre risultano in netto calo proprio le commissioni da advisory sul m&a a soli 29 milioni dai 60 del primo trimestre 2014. In calo anche le fee da finanziamenti, a 19 milioni dai 26 precedenti. Quanto alle singole banche, Dealogic ha estratto appositamente dal suo database le classifiche aggiornate per MF-Milano Finanza, dalle quali risulta che i ricavi netti più importanti sono quelli di Unicredit (30 milioni, con il 12,6% del mercato italiano). La banca guidata da Federico Ghizzoni appare anche al tredicesimo posto della classifica europea di Dealogic, con oltre 95 milioni di euro di ricavi netti nel trimestre e il 2,5% di quota di mercato (che vale poco meno di 3,9 miliardi). Al secondo posto in Italia c’è poi Barclays (con 19 milioni di euro di fee e il 7,9% del mercato), mentre al terzo posto c’è Citi (18 milioni e 7,4% del mercato). Le altre banche italiane censite da Dealogic sono Intesa Sanpaolo, (al 4° posto con 16 milioni), Mediobanca (al 10°, 9 milioni) e Monte Paschi (al 19°, 3 milioni). L’anno scorso, considerando i dati di tutti i 12 mesi, in cima alla classifica c’era il classico terzetto Unicredit-Mediobanca-IntesaSanpaolo, con le banche estere a seguire. (riproduzione riservata)