Sullo scambio dei dati fiscali con gli Usa (e il primo test di invio massivo il prossimo 30 aprile) le banche italiane si adeguano all’Agenzia delle entrate americana. Da una ricognizione effettuata da ItaliaOggi è infatti risultato che, nelle more dell’approvazione dal parte del Senato della legge di ratifica sui Fatca (l’accordo intergovernativo volto a censire i contribuenti americani all’estero), gli istituti di credito italiani hanno già avviato le procedure sui clienti aventi i requisiti per essere considerati, secondo il fisco a stelle e strisce, tuttora cittadini Usa.
L’adempimento da parte degli operatori finanziari relativo al Fatca ha portato alla luce un problema di base: mentre i clienti aventi doppia cittadinanza italo-americana si sono già trovati ad affrontare il modulo W9 per la dichiarazione delle informazioni reddituali e fiscali, il disegno di legge relativo al Foreign account tax compliance act è ancora all’esame del senato (dopo l’approvazione alla camera il 18 dicembre 2014), con oltre 200 giorni di ritardo rispetto al 1° luglio, data in cui i principali gruppi bancari italiani hanno avviato il perfezionamento d’iscrizione all’Irs (le Entrate americane) per il rilascio del codice (Giin) da utilizzare nel rapporto di scambio con gli intermediari finanziari esteri. E questo, pur in mancanza di una legge italiana che ne definisca nel dettaglio i parametri.
Tramite la compilazione del modulo W9, gli intermediari raccolgono i dati sulle attività dei propri clienti (eccezion fatta per gli aventi meno di 50 mila dollari al 30 giugno 2014, si veda ItaliaOggi del 24 aprile 2014) da conferire all’Irs, con una prima tranche di segnalazioni che avrà luogo il prossimo 30 aprile. Lo schema di ratifica che lega Usa e Italia tramite l’accordo Fatca (che secondo molti analisti è fortemente sbilanciato a favore dei primi nell’acquisizione delle informazioni) prevede che ai clienti sottoscrittori di profitti presso istituzioni finanziarie e assicurative italiane venga richiesto di confermare l’eventuale residenza fiscale non americana, fornendo documentazione sufficiente a classificare il cliente e a renderlo tracciabile.
Da parte dei principali gruppi bancari italiani, le pratiche per la compilazione del modulo sono già state avviate, vincolando al rispetto di tale procedura non solo gli aventi residenza fiscale negli Usa, ma anche quei clienti d’origine americana non aventi residenza in America, lontani dal paese natio da anni, o titolari di un permesso Green Card. Mentre Intesa Sanpaolo ha confermato che la normativa ha vigore effettivo «già da parecchio tempo», Ubi ha predisposto una sezione ad hoc nel proprio sito per informativa al cliente, aggiungendo: «Seppur in mancanza di una normativa nazionale in materia, occorre ricordare che l’accordo fra Usa e Italia su Fatca ha valenza a partire dal 1° luglio 2014». Anche Unicredit ha confermato di aver già attivato le pratiche del caso, mentre banca Mps ha fornito una spiegazione più ampia, argomentando, per bocca dell’ufficio stampa, che «le attività di adeguamento sono state condotte sulla base delle previsioni contenute nello schema di decreto ministeriale pubblicato dal Mef, nelle more della pubblicazione del provvedimento definitivo». Sempre da Mps fanno sapere che «sul piano operativo, una delle principali difficoltà di applicazione del Fatca è l’impatto relazionale con i clienti, i quali nutrono diffidenza nei confronti di adempimenti volti a supportare verifiche fiscali da parte di uno stato terzo». Verifiche, inutile a dirsi, inquadrate in uno schema di doppia tassazione, non solo per l’Italia, ma in tutto il mondo, nella ricerca statunitense di contenere l’evasione fiscale e reperire una somma di tasse non pagate sui beni dei cittadini americani all’estero per una stima totale pari a 100 miliardi di dollari l’anno.
In via generale, tra le maggiori problematiche individuate dagli istituti del credito italiani, rileva la mancanza di informazioni di carattere tecnico, necessarie per definire «obblighi di reporting verso l’agenzia delle entrate italiana, con particolare riguardo, tra l’altro, alle modalità di trattamento dei rapporti estinti in corso d’esercizio» e la possibile retroattività del provvedimento. Scarsa, inoltre, la collaboratività da parte dei clienti nel rilascio delle informazioni richieste. Per il momento, la soluzione più accreditata per sfuggire alla verifica dell’Irs è stata la rinuncia alla doppia cittadinanza da parte dei contribuenti, misura rispetto alla quale gli Usa hanno già provveduto ad incrementare le commissioni d’uscita. Le richieste di rinuncia di cittadinanza statunitense, dopo l’entrata in vigore del Fatca su scala internazionale (marzo 2010), sono cresciute del 360% dal 2009 al 2014, con una spinta destinata a crescere negli anni a venire.
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