di Luciano Mondellini
«Non vedo per quale motivo il board di PartnerRe dovrebbe respingere la nostra offerta, dal momento che è stata presentata nell’interesse di tutti gli azionisti della compagnia». Così ieri il presidente di Exor, John Elkann, ha professato il suo ottimismo circa l’accettazione da parte del cda di PartnerRe dell’offerta della holding torinese, che l’altroieri ha messo sul piatto 6,4 miliardi di dollari (6 miliardi di euro circa) per il 100% della società di riassicurazione statunitense.
Una proposta superiore del 16% rispetto all’offerta presentata dal fondo statunitense Axis Capital in gennaio, con il quale PartnerRe ha tuttora in corso un’intesa finalizzata alla fusione. In particolare Elkann si è detto fiducioso in quanto, mentre l’offerta di Exor non necessita di imprimatur da parte degli azionisti e per essere portata a compimento non servirebbe approntare alcun aumento di capitale, considerate le disponibilità liquide su cui Exor può contare oggi, «il valore dell’offerta di Axis è incerto e dipende dalle sinergie che eventualmente verrebbero realizzate, oltre che dalla capacità di fidelizzare i grandi clienti. Senza tener conto dei rischi di mercato».
D’altronde non si può certo dire che l’ottimismo di Elkann non abbia fondamento. PartnerRe (si veda altro articolo in pagina) è una public company quotata a New York, partecipata dai fondi Vanguard (8%), Franklin Resources (5%), BlackRock (5%), Lsv (3,8%) e State Street (2,5%) che con 6 miliardi di dollari in premi rappresenta la sesta società nel settore danni nel mondo.
Con soci prettamente finanziari, è ben difficile che non venga accettata un’offerta più conveniente in termini strettamente di ritorno sull’investimento.
Se l’affare andasse in porto,Exor si ritroverebbe in portafoglio un asset che rappresenterebbe un terzo degli investimenti complessivi della holding torinese. Inoltre l’operazione rivestirebbe un importante valore strategico per la cassaforte della dinastia Agnelli/Elkann in quanto consentirebbe a Exor di diversificare il portafoglio, che negli ultimi anni ha finito per pendere verso i settori industriali dopo la cessione nel 2013 della società di certificazione svizzera Sgs e alla vigilia della probabile cessione di Cushman & Wakefield, società newyorchese specializzata nell’erogazione di servizi immobiliari. In questo quadro un ingresso nel settore della riassicurazione consentirebbe alla holding torinese di mettere un piede in un business tradizionalmente caratterizzato da una solida generazione di cassa e dalla costante distribuzione di flussi cedolari.
Non a caso ieri il numero uno di Exor ha ricordato come nello scorso anno le compagnie di riassicurazione abbiano prodotto per i rispettivi investitori ritorni superiori al 75% del risultato operativo. Nello specifico, per PartnerRe questa situazione di salute si è tradotta negli ultimi anni in un ritorno medio del 9,5% sugli investimenti. Lo scorso esercizio la compagnia di riassicurazione ha infine distribuito ai suoi azionisti circa 700 milioni di dollari di capitale tra cedole e riacquisto di azioni proprie.
La borsa tuttavia non si è mostrata molto entusiasta di questa operazione. Il titolo ieri ha terminato la seduta con un calo dello 0,62% a 43,09 euro ma nel contempo va detto che l’azione ha incrementato il suo valore da inizio 2015 di circa il 27%. I primi report pubblicati ieri dalle case di brokeraggio hanno visto con favore l’operazione ma hanno messo in guardia sui rischi. L’investimento, ha spiegato Equita sim, è dettato dalle seguenti caratteristiche della società target: business globale, è un leader, intensità di capitale inferiore a Fca e Cnh Industrial, bassa ciclicità, capacità di pagare dividendi in maniera continuativa. «Il prezzo appare ragionevole, tuttavia» Equita non esclude «il rischio di rilancio, essendoci una proposta di fusione con Axis che ha già ribadito il suo impegno e, a differenza di Exor, offre sinergie industriali».
Banca Imi invece ha fatto notare che il premio offerto dalla holding torinese non è «eccessivamente alto se consideriamo la massa critica di PartnerRe e l’acquisizione del pieno controllo del gruppo. L’operazione sembra completamente sostenibile anche grazie alla futura cessione di Cushman&Wakefield». La banca milanese spiega inoltre che «secondo simulazioni preliminari e tenendo conto» di uno scenario che vede la cessione di Cushman&Wakefield, dopo la conclusione dell’operazione «lo sconto di Exor rispetto al net asset value dovrebbe crescere a circa il 25% rispetto al precedente 15-18%, un livello che consideriamo adeguato per una holding come Exor», conclude la casa d’investimento.
Ipotizzando una conclusione positiva dell’operazione, Fidentiis ha fatto notare che «PartnerRe diventerebbe il secondo asset in termini di peso (circa il 32%) nel portafoglio di Exor». I broker pensano che «questa sia un’operazione vantaggiosa per il gruppo, che dovrebbe permettere alla società di differenziare il suo portafoglio che attualmente presenta un’alta esposizione al settore industriale» e riequilibrare lo sconto della holding.
Inoltre, ha proseguito Fidentiis, questa operazione dovrebbe «accelerare la cessione di Cushman & Wakefield e probabilmente andare nella direzione di ulteriori cessioni». I broker pensano inoltre che il portafoglio di Exor«aumenterà sostanzialmente nel 2015 e quindi innescherà un nuovo rating nel titolo della holding (riproduzione riservata)