di Olivia Zonca responsabile fiscalità finanziaria Bnp Paribas Securities Services
Dal 1° luglio entrerà in vigore la nuova aliquota del 26% che andrà a colpire in via generalizzata le rendite finanziarie. Saranno assoggettati all’aliquota del 26% i redditi derivanti, tra l’altro, dai seguenti strumenti di investimento: conti correnti, conti deposito, libretti di risparmio, certificati di deposito, obbligazioni corporate, polizze vita e fondi comuni mobiliari (esclusa la parte investita in titoli di Stato), pronti contro termine, partecipazioni non qualificate, fondi comuni immobiliari, dividendi. Tale aumento riguarda sostanzialmente le fattispecie attualmente tassate con l’aliquota del 20%. La nuova aliquota non si applica, invece, sugli interessi e ogni altro provento (inclusi i capital gain) di titoli dello Stato italiano ed equiparati (titoli emessi da enti locali, titoli obbligazionari emessi da organismi sopranazionali, quali Bei, Birs, ecc.), titoli emessi da enti territoriali di Stati esteri inclusi nella cosiddetta white list e obbligazioni emesse dagli Stati white list. Per questi strumenti è stata mantenuta l’aliquota agevolata del 12,5% che si applica anche qualora tali titoli vengano immessi in gestioni patrimoniali, polizze assicurative e fondi comuni. La novità è quindi rappresentata dall’estensione dell’aliquota del 12,5% sugli interessi e sui proventi derivanti da titoli emessi da enti territoriali di Stati esteri inclusi nella white list, attualmente assoggettati all’imposta sostitutiva nella misura del 20%.
L’imposta nella misura del 26% non si applica altresì ai titoli di risparmio per l’economia meridionale, al risultato maturato di gestione dei fondi pensione che continuerà ad essere assoggettato a un’aliquota dell’11% e ai dividendi corrisposti a società residenti in Paesi della Ue e dello Spazio economico europeo, per i quali è prevista la ritenuta nella misura dell’1,375%. Analogamente a quanto era stato previsto nella precedente riforma (dl 13 agosto 2011, n. 138), anche in questo caso, a partire dal 1° luglio 2014 il valore delle quote dei fondi, al fine della determinazione della plusvalenza o minusvalenza, deve essere considerata al netto di una quota dei proventi riferibili ai titoli di Stato italiano, alle obbligazioni e altri titoli a questi assimilati e alle obbligazioni emesse dagli Stati esteri inclusi nella white list. A tal fine, è stato mantenuto, come in precedenza, un criterio patrimoniale forfettario, basato su un’aliquota sintetica che tenga conto della percentuale dell’attivo del fondo investita in titoli pubblici, assoggettati a imposizione nella misura del 12,5%. Pertanto, tale aliquota sintetica (data dal rapporto tra 12,5% e la nuova aliquota di imposta del 26%) è stabilita nella misura del 48,08%. È stata poi riproposta, come in passato, la possibilità di affrancare all’aliquota del 20% le plusvalenze latenti nel valore dei titoli e strumenti finanziari posseduti al 30 giugno 2014. Con la procedura di affrancamento, pertanto, l’investitore può, mediante apposita comunicazione all’intermediario, chiedere di assoggettare all’aliquota del 20%, in luogo della nuova aliquota del 26%, le plusvalenze implicite nei suddetti valori, cioè quelle eventualmente maturate al 30 giugno: il valore assoggettato a tassazione costituirà il nuovo costo fiscalmente riconosciuto delle attività affrancate.
Un’importante novità rispetto alla riforma entrata in vigore nel 2012 è rappresentata dal fatto che, per le quote dei fondi comuni italiani ed esteri, non è più prevista la procedura dell’affrancamento, o meglio, è prevista una sorta di affrancamento automatico. Infatti la norma stabilisce uno specifico regime transitorio in base al quale, in sede di rimborso, cessione o liquidazione delle quote, si applica l’aliquota nella misura del 26% sui proventi realizzati a decorrere dal 1° luglio 2014, mentre sui proventi realizzati dopo questa data ma riferibili a valori maturati fino al 30 giugno 2014 continua a applicarsi l’aliquota nella misura del 20%. (riproduzione riservata)