Diego Longhin
A ndare sotto la quota del 2,5 per cento in Unicredit, dopo che l’anno scorso si è già limata la partecipazione nella banca di piazza Cordusio, regalando lo scettro di primo azionista tra le fondazioni a Verona? In Fondazione Crt le «riflessioni» sono in corso. La strada sembra però imboccata. Un percorso in due tempi per riorganizzare il portafoglio. Nel 2014 rivedere gli impegni in Unicredit, Atlantia e trasformare la partecipazione di Generali in un asset strategico diretto, facendo scomparire la scatola finanziaria Effeti. Nel 2015 allargare gli orizzonti degli investimenti, puntando su gruppi o fondi che incrementino i rendimenti, anche perché il sostegno alla banca guidata da Federico Ghizzoni si è fatto sentire e si farà sentire ancora sui conti di Crt. Tra gli effetti l’indebitamento della Fondazione, in riduzione, e il taglio delle erogazioni rispetto ai tempi d’oro. Il supporto di Torino a Unicredit, che dopo le pulizie di fine anno ha chiuso con 14 miliardi di rosso, solo l’ultimo in ordine di tempo, costerà ancora alle casse del socio: solo nel 2014 Crt incasserà 14 milioni in meno. Altri 5 in meno nel 2015. Soldi che vengono a mancare per la decisione della banca di non pagare le obbligazioni convertibili «caches», ma solo il dividendo, anche se leggermente in crescita rispetto al 2013. L’anno scorso la Fondazione aveva ricevuto 34 milioni, tutto compreso, ora arriverà poco sopra i 20. Una situazione che ha portato i vertici di Crt, il presidente Antonio Maria Marocco e il segretario generale Massimo Lapucci, ad inaugurare la strada delle «limature» e della «riorganizzazione portafoglio» per avere in prospettiva rendimenti migliori. Un riordino, già in atto, che potrebbe portare anche ad una perdita di peso di Crt nel board dell’istituto al prossimo rinnovo del consiglio. Nelle cessioni non rientrerà Generali. Crt non lascerà per strada la sua quota, per ora in coppia con il fondo Ferak. Per il divorzio con gli investitori veneti è solo questione di tempo, anzi, di quotazione in Borsa, ma la fondazione non si libererà della sua parte. Manovre di cui non si fa mistero a Torino, dove si è appena approvato il bilancio: Crt ha chiuso il 2013 con un avanzo in crescita a 42 milioni, 12 in più rispetto al 2012. Altre fondazioni, come Verona, hanno fatto meglio, chiudendo sopra i 50. «Il risultato risente del notevole sostegno patrimoniale fornito negli ultimi anni alla banca Unicredit», si dice in via XX Settembre. E si aggiunge: «L’azione di risanamento dichiarata da Unicredit ha condotto a risultati 2013 negativi, con effetti penalizzanti per i flussi reddituali della Fondazione ». Il segretario Lapucci sottolinea anche che «la Fondazione Crt pone il massimo impegno nel muoversi efficacemente sulla strada dell’efficienza gestionale e del rafforzamento patrimoniale e per il futuro può contare su un bilancio sano, con una rilevante plusvalenza implicita sulla partecipazione Unicredit». Tra le ipotesi percorribili c’è anche quella di cedere le obbligazioni convertibili «caches» che, se pagate, hanno una cedola del 4,5 per cento annua. Al mercato potrebbero far gola. Crt è già riuscita a ridurre significativamente l’indebitamento passando dai 270 milioni di inizio 2012 a 80 milioni di fine 2013. E conferma erogazioni per 41 milioni di euro, cifra che rimarrà stabile, lontana però dai tempi in cui dalla Crt uscivano intorno ai 130 milioni. Entro l’estate si dovrebbe risolvere la questione Generali che dipende dalle performance di Borsa: ancora un euro e mezzo e si arriverà al D-day. E al divorzio tra Crt e Ferak in Effeti. Una separazione già decisa da tempo, si aspetta solo che il titolo delle Assicurazioni arrivi a 18 euro tondi. Poi ognuno per sé. La quota del 2,2 per cento della scatola finanziaria verrà equamente divisa tra la Crt, che si terrà ben stretto il suo pezzetto del Leone di Trieste (1,1%), e il fondo di imprenditori e finanziari veneti, tra cui Palladio. L’altra gamba forte del patrimonio Crt che porta il nome di Atlantia, sinonimo di autostrade, aeroporti e Benetton, che fine farà? Ci saranno «limature » anche in questo caso dopo la fusione con Gemina. L’intenzione è di scendere rispetto alla quota di poco superiore al 5 per cento per recuperare soldi da investire in altri «asset » nel 2015. Un riordino di portafoglio che ha effetti su intrecci e poltrone: Fabrizio Palenzona, l’autotrasportatore alessandrino, uomo forte di Crt, ha ruoli chiavi nella holding della famiglia Benetton, come la presidenza di Aeroporti di Roma, ed è anche numero uno dell’Associazione nazionale delle concessionarie autostradali, dove Autostrade è il principale socio. Non solo. È anche vicepresidente di Unicredit. Insomma, senza il suo via libera il portafoglio non si cambia. Cosa che ha fatto pensare ad una sua perdita di peso. In realtà tutto sembra pianificato. Nel board di piazza Cordusio in rappresentanza di Crt c’è anche Giovanni Quaglia, cuneense cresciuto all’ombra della diccì. Due poltrone su 15. La quota, però, si è ridotta. Ora è al 2,5 per cento. Cariverona è al 3,5 e Carimonte al 2,9. Gli azionisti maggiori, Aabar (6,5%), Pamplona (5%) e Blackrock (5,2%), potrebbero chiedere una redistribuzione delle poltrone. Crt perderebbe una posizione, ma non quella di Palenzona, che rimarrebbe vice. Così si spiegherebbero anche i rumors che davano Quaglia in rientro in Crt nel ruolo di numero uno al posto di Marocco. Per Quaglia, causa i paletti messi dalla Carta delle fondazioni, le porte della fondazione rimangono sbarrate fino al 2015. Cosa che ha stoppato il cambio, ma non le ambizioni di Quaglia. A sinistra, i risultati di bilancio della Fondazione Crt a fine 2012 I dati del 2013 saranno disponibili nei prossimi giorni