Di Anna Messia

Degli oltre 4 miliardi che il ministero dell’Economia conta di incassare dalla privatizzazione di Poste Italiane, attesa entro l’anno, quasi mezzo miliardo dovrà presto essere versata di nuovo nelle casse della società guidata da Massimo Sarmi. Si tratta, per la precisione, di 443 milioni, cui si aggiungo poco meno di 41 milioni di interessi per un totale quindi di 484 milioni.

Liquidità che le Poste avevano restituito all’azionista pubblico dopo che la Commissione Europea nel luglio del 2008 aveva ritenuto «aiuto di Stato» la remunerazione della raccolta del risparmio postale mediate conti correnti, riconosciuta dal Tesoro sulla base di quanto previsto da una convenzione firmata nel febbraio 2006. In pratica, attraverso quello strumento, il ministero dell’Economia, avrebbe indebitamente avvantaggiato Poste Italiane. A distanza di cinque anni, il 13 settembre scorso, il Tribunale dell’Unione Europea, come noto, ha però ribaltato la posizione della Commissione e, con una sentenza passata in giudicato, ha annullato la decisione: quegli interessi, che riguardavano in particolare le remunerazioni dei conti correnti aperti presso la Tesoreria nel biennio 2005-2006 e in parte del 2007 non erano insomma aiuti di Stato. A questo punto però il ministero è stato chiamato a restituire poco meno di 483 milioni, che le Poste avevano prontamente trasferito in ottemperanza alla decisione del 2008. Al 31 dicembre scorso quel reintegro da parte del Tesoro, azionista di Poste al 100%, non era però ancora stato effettuato e il gruppo guidato da Sarmi ha inserito nel bilancio 2013 il credito rinviando gli effetti patrimoniali al momento dell’effettivo versamento delle somme. A questo punto bisognerà capire se il Tesoro salderà il conto prima dell’ipo o se preferirà incassare i proventi della privatizzazione per poi restituirne subito una parte a Poste Italiane. (riproduzione riservata)