di Paola Valentini
I fondi pensione negoziali si presentano all’appuntamento di fine marzo con un rendimento medio dell’1,6%. Un risultato che consente ai comparti di categoria di battere il Trattamento di fine rapporto (Tfr) lasciato in azienda, che nel periodo considerato, il primo trimestre 2014, si è rivalutato per meno di un quarto, ovvero dello 0,39% netto, a causa del raffreddamento dell’inflazione (la rivalutazione del Tfr è pari al 75% dell’inflazione Istat più l’1,5% fisso).
I dati emergono dall’analisi di MF-Milano Finanza che ha raccolto i rendimenti dei fondi negoziali disponibili a oggi.
Si tratta di un campione significativo, che copre più di 3/4 del mercato. Dai risultati si ricava che nei primi tre mesi dell’anno prosegue il buon andamento dei comparti azionari grazie alla forza di alcune borse dell’area euro, a partire da Piazza Affari. Nei listini dell’Eurozona è investito circa il 40% degli asset azionari dei negoziali. Ma è soprattutto nella parte obbligazionaria, che ancora oggi rappresenta la fetta più importante del patrimonio dei fondi negoziali, che i gestori hanno potuto ottenere buoni rendimenti grazie al recupero delle quotazioni dei Btp in seguito al netto calo dello spread nel trimestre. Ne hanno tratto beneficio le linee più prudenti e quelle garantite, caratterizzate da una maggior presenza dei titolo di Stato italiani. Non a caso a spiccare è la linea Garantita di Byblos con un rendimento del 4,6%, seguita dalla Sicurezza di Cometa (4,3%) e dal comparto Bilanciato di Previcooper (3,23%). Adesso però la vita diventa difficile per i money manager previdenziali visto che i rendimenti dei titoli di Stato italiani sono ai minimi storici. «La componente obbligazionaria del portafoglio», sottolinea Vanna Giantin, presidente del fondo Solidarietà Veneto, «rischia ormai di ritrovarsi molto carente dal punto di vista dell’appeal finanziario, basti pensare che il rendimento del Btp decennale supera ormai di poco il 3%. In questo contesto diventa sempre più difficile remunerare efficacemente il capitale investito, specialmente nel breve termine». «Partendo proprio da questa riflessione», prosegue Paolo Stefan, direttore di Solidarietà Veneto, «il fondo sta proseguendo nelle attività volte a individuare investimenti alternativi ai titoli di Stato che consentano una sempre maggiore diversificazione, nell’obiettivo, fondamentale, di contenere il rischio. Un’attività complessa e costosa per il risparmiatore, ma nella quale un investitore come il fondo pensione territoriale potrà, secondo noi, giocare un ruolo determinante». Anche se si guarda al lungo periodo «la scelta compiuta da chi ha ritenuto di aderire alla previdenza complementare è risultata senz’altro valida, in considerazione del più elevato rendimento rispetto alla rivalutazione del Tfr, dei vantaggi derivanti dal contributo del datore di lavoro e dei benefici fiscali previsti», avverte Rino Tarelli, neopresidente della Covip. Nel periodo che va dall’inizio del 2000 alla fine del 2013 il rendimento cumulato dei fondi pensione negoziali è stato del 48,7% rispetto al 46,1% ottenuto dal Tfr. Ma nonostante questo buon andamento, oggi i lavoratori che hanno aderito ai fondi pensione in Italia sono soltanto 6,2 milioni, il 25% del bacino potenziale. «Se si considerassero i soli iscritti che alimentano regolarmente la propria posizione, il tasso di adesione si abbasserebbe al 20,2%», sottolinea Tarelli. Il problema è che è ancora bassa l’adesione degli autonomi e delle fasce di popolazione più giovani, ovvero quelle esposte in misura importante al problema di riduzione delle coperture pubbliche, anche per le difficoltà a entrare nel mondo del lavoro. E quale che sia la versione definitiva del Jobs act, una cosa è certa: i giovani avranno davanti carriere sempre più discontinue che peseranno sull’assegno pubblico e ciò rende necessario organizzarsi il prima possibile per costruire una pensione di scorta. (riproduzione riservata)