Sul fattore-commissioni è stato appena pubblicato dal Mefop un Midterm Report che analizza i costi di tutti i fondi pensione aperti, negoziali e dei pip. Il contenimento e la trasparenza dei costi rappresentano infatti aspetti fondamentali per lo sviluppo della previdenza integrativa, tanto più nel mutato quadro legislativo che dal 2007 ha equiparato i vari fondi pensione, affidando alla concorrenza tra le diverse forme l’obiettivo di massimizzare l’efficienza del mercato e il livello di welfare degli aderenti.
Che cosa emerge dalla analisi del Mefop? La scelta di lasciare alle forze di mercato il contenimento dei profili di costo sembra dare i primi apprezzabili risultati. Tuttavia si ravvisano spazi per incrementare l’efficienza dell’offerta e abbassare ulteriormente i livelli delle commissioni, in particolare sul versante degli schemi ad adesione individuale come i fondi pensione aperti e i pip. Per quanto riguarda le forme di natura contrattuale come i fondi negoziali, di contro, occorre evitare il rischio che l’attenzione al contenimento dei costi possa frenare l’evoluzione dei profili di governance e dei modelli di allocazione delle risorse verso forme più coerenti con la finalità istituzionale dei fondi pensione, quella cioè di integrare il tasso di sostituzione offerto dalla previdenza pubblica per garantire l’adeguatezza del reddito pensionistico di cui i lavoratori potranno disporre in età avanzata. Il Mefop sottolinea in ogni modo che una delle cause più rilevanti delle differenze di costo risiede presumibilmente nella diversa natura delle forme previdenziali presenti sul mercato. L’assenza dello scopo di lucro dei fondi negoziali, unitamente a un’organizzazione snella, al massiccio ricorso all’esternalizzazione e alla crescente forza contrattuale, hanno prodotto una progressiva decrescita dei profili commissionali. Essi inoltre beneficiano di un economico network di collocamento che è costituito dalle rappresentanze sindacali e dei datori di lavoro. Di contro, gli istitutori di fondi aperti e pip sono operatori commerciali, più sensibili alle logiche di mercato. Non va inoltre dimenticato che nella diffusione di tali prodotti un ruolo determinante è svolto dalle reti di collocamento che devono essere adeguatamente incentivate dalle società istitutrici. Come muoversi per il futuro? Il Mefop trae spunto dal mercato inglese dei fondi comuni. A inizio 2013 nel Regno Unito è entrata infatti in vigore la Retail Distribution Review che vieta alle reti distributive di essere remunerate dalle case-prodotto. Spetta quindi al risparmiatore in fase di sottoscrizione decidere se avvalersi del supporto di un consulente e in tal caso concordare con lui il prezzo del servizio oppure sottoscrivere il prodotto senza ricevere alcun supporto. Tale previsione ha avuto il merito di esplicitare il costo della consulenza finanziaria sollevando il velo sui legami tra società di prodotto e reti distributive e sui meccanismi di remunerazione di queste ultime. Esso inoltre ha consentito di aumentare il livello di concorrenza sul mercato della consulenza agli investitori retail. Una tale previsione, sottolinea il Mefop, potrebbe avere risvolti positivi anche sul mercato dei fondi pensione in Italia. Gli operatori potrebbero diversificare l’offerta previdenziale affiancando ai prodotti commercializzati attraverso i canali tradizionali, che continuerebbero ad avvalersi della consulenza delle reti, altri che non prevedono attività di advisory. Questi ultimi si gioverebbero di un profilo commissionale più economico rispetto ai primi, dovendo remunerare solo i costi sopportati dall’istitutore per l’avvio e la gestione del fondo pensione. Tale prospettiva potrebbe giovarsi tra l’altro delle modalità di collocamento online che consentono di accedere al mercato senza passare dall’intermediazione delle reti. (riproduzione riservata)