di Andrea Di Biase
La stangata fiscale del governo Renzi sulla rivalutazione delle quote nella Banca d’Italia, che porterà l’aliquota sulle plusvalenze dal 12 al 26%, ha scatenato la reazione delle banche italiane. L’Abi, oltre a sottolineare la propria contrarietà al provvedimento definito «miope» e «inaccettabile», sta già valutando di impugnare il decreto legge che renderà operativa la misura prevista dal Def.
Un’operazione che secondo i calcoli del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, permetterà al Tesoro di recuperare fino ad un miliardo di euro ma che ai due principali azionisti di Bankitalia, Intesa Sanpaoloe UniCredit, costerà fino a mezzo miliardo di tasse in più in bilancio. Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha chiesto «un confronto, un ragionamento» in vista del varo del decreto la settimana prossima, anche perché se la misura fosse confermata i rapporti tra le banche e l’esecutivo potrebbero risultare compromessi proprio alla vigilia del provvedimento sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, in cui gli istituti di credito avranno un ruolo centrale.
Anche il dg dell’Abi, Giovanni Sabatini, ha sottolineato come il provvedimento sia «illogico» per diverse ragioni, in primis «perché non tiene conto del ruolo delle banche in questo momento per far ripartire la ripresa». «Un miliardo di liquidità sottratta alle banche», ha spiegato, «è un miliardo di liquidità sottratta a finanziamenti a imprese e famiglie». Critici anche gli analisti di Mediobanca che, in un report dedicato alle misure contenute nel Def, hanno espresso le proprie preoccupazioni circa l’atteggiamento del governo sul carico fiscale delle banche. «È un dato di fatto», scrivono gli esperti, «che dopo aver aumentato l’Ires al 36% per l’anno 2013, il governo sta ancora utilizzando le banche per finanziare la riduzione della pressione fiscale». «A nostro avviso», osservano gli analisti di Piazzetta Cuccia, «in un anno dominato dalla revisione della qualità del credito, aumentando l’incertezza sulla normativa fiscale le banche non saranno incentivate a far fluire il credito verso l’economia reale in un modo più agevole». Come stima preliminare, Mediobanca calcola che la maggior pressione fiscale impatterà rispettivamente per il 16% e per il 7% sull’utile per azione di quest’anno di Intesa Sanpaolo e di Unicredit: 360 milioni e 160 milioni rispettivamente. Ma critiche alla manovra sono arrivate anche dal numero uno dalla Fabi, Lando Sileoni. La decisione del governo, secondo il sindacalista, «crea non pochi problemi al settore del credito», «siamo preoccupati che una tale soluzione possa mettere ancora più in difficoltà il settore, con conseguenze che ricadrebbero inevitabilmente sui lavoratori bancari; ancora di più alla luce del rinnovo del contratto nazionale che entra in una fase decisiva». Ma il premier, al momento, non sembra affatto turbato dalle rimostranze dei banchieri. «Chi non ha mai pagato deve pagare un po’ e chi ha pagato è giusto inizi a riscuotere», ha detto in conferenza stampa al Vinitaly a Verona. «Proviamo a chiedere un sacrificio» anche alle «banche che hanno usufruito dell’operazione Bankitalia». Il riferimento è proprio alla rivalutazione delle quote di Palazzo Koch, che ha avuto impatti positivi sui conti delle banche. (riproduzione riservata)