Andrea Greco
I l paradosso della regolazione. È tanto “antiquata” da avere protetto i fondi pensione dai venti contrari di mercato degli ultimi anni. Ma i vincoli della norma vigente, ormai antistorica, sono una zeppa che rende insufficiente la rendita che la previdenza complementare deve avere per arrotondare pensioni ormai di poco superiori alla metà degli stipendi d’uscita. Tale è la situazione dei gestori di fondi Tfr italiani, in attesa di un maggio denso di sviluppi e annunci per la normativa di settore. Da un lato con l’auspicata pubblicazione del decreto di revisione della 703/’96, che da ben 17 anni disciplina la politica di investimento dei fondi pensione in Italia (tutte le carte sembrano pronte, manca “soltanto” un nuovo governo, con un ministro in pianta stabile cui riferire la copertura politica, al Tesoro. E non è detto che sia poco). Dall’altro con la annuale relazione della Covip, l’organismo di vigilanza che — dopo un iter lungo 13 mesi — ha raccolto i documenti strategici richiesti ai fondi sulla gestione del rischio manageriale e ne darà una prima lettura. Nel frattempo, la gran parte dei fondi pensione italiani, che secondo le stime di Pension markets in focus (il paper Ocse del settembre scorso) continuano a rendere, e a pesare, poco. Il 4,9% del Pil italiano, contro un 34% della media dei paesi Ocse, per un rendimento (2011) negativo del 2,8%, contro una media Ocse negativa dell’1,7% (—1,1% ponderato). Due dati che confermano la scarsa rilevanza di un settore che potrebbe, invece, essere prezioso nel rilancio del paese; e anche il libro verde della Commissione sul “Finanziamento a lungo termine dell’economia europea”, un mese fa, citava i fondi pensione e un sempre maggiore coinvolgimento degli investitori istituzionali come vettori per creare un’Europa degli investimenti. Purtroppo è difficile avere performance di rilievo avendo l’obbligo di investire solo in prodotti dei paesi Ocse (quindi privandosi della spinta di economie più che “emergenti” come Brasile, Cina, India, Russia, Indonesia). E non in Eft, non in commodities, non in derivati o private equity: tutti concetti che sul mercato quasi non esistevano quando nacque la normativa 703/’96. Che difatti non li menzionava: neanche per vietarli. L’effetto, logico, è che i fondi pensione italiani investono per circa metà in titoli di Stato (molti Btp e Bund), solo per l’1% a Piazza Affari. Il resto vola su tranquilli lidi esteri, e la performance totale fatica a onorare la funzione realmente “integrativa” di questi strumenti. Purtroppo, ancora, i sette anni di ritardo per adeguarsi alla direttiva europea (Iorp 2003) sono un’impietosa sentenza su quanto la previdenza complementare sia stata, nel periodo, all’attenzione dei governi. E non basta, a giustificazione, ricordare i tanti intoppi e accidenti che fanno dire a diversi operatori che la revisione della 703 «è un gatto nero, che mena gramo». I funzionari del Tesoro erano pronti con l’adeguamento alle direttive a fine 2005, raccontano gli addetti ai lavori, ma il decreto fu bloccato in un cassetto ministeriale. Nel 2008 stava per uscire e ci fu la caduta del governo Prodi. Stessa cosa a fine 2011, ma con Berlusconi. E il trio Monti-Grilli-Fornero, garanzia di competenza e attenzione in materia, non ha ancora saputo quagliare. L’ultima bozza della nuova 703, in consultazione fino a luglio 2012, era pronta a novembre, quando le disavventure del governo Monti hanno bloccato tutto. Ora le carte sono pronte: presto i fondi vedranno calare al 30% il patrimonio da investire in euro (finora siamo al 66%) e ci saranno ammorbidimenti sugli investimenti in derivati e nei fondi alternativi, benché solo nell’ottica di migliorare l’efficienza. Dall’aggiornamento normativo si aspetta soprattutto un cambio filosofico: dall’approccio quantitativo, plausibile negli anni pionieristici della previdenza, alla fase adulta, in cui si vorrebbe ogni gestore in grado di gestire i rischi e i conflitti derivanti dagli investimenti, con un processo decisionale sistematizzato che ormai è invalso all’estero. Di questi temi si è parlato, il 10 aprile, al convegno di Roma organizzato da Mondo Alternative, che aveva tra gli ospiti il dirigente generale della Direzione IV del Tesoro Alessandro Rivera (che si occupa della revisione della 703) e il presidente del Mefop Mauro Marè. Nel tentativo di non far pesare troppo il ritardo normativo la Covip s’è portata avanti con un assaggio della nuova cornice. E nel marzo 2012 ha chiesto a ciascun operatore di redigere e consegnare il Documento sulla politica di investimento. L’obiettivo è giungere a costituire una “funzione finanza”, meglio se interna ai fondi stessi, che processa gli obiettivi della forma pensionistica, i percorsi per raggiungerli, le forme di investimento, il controllo degli operatori (poiché gran parte delle risorse è allocata a gestori esterni). 1 2 Nelle foto Sergio Corbello (1) presidente Assoprevidenza Fabrizio Saccomanni (2) Dg Banca d’Italia, a capo dell’Irvap che ha sostituito Covip e Isvap La gran parte dei fondi pensione italiani continua a rendere e a pesare poco sul Pil