Ci aveva provato la Commissione Europea a indicare a Sace il modo per evitare infrazioni che coinvolgessero la partecipata Sace Bt. Ma i manager dell’assicuratore del credito, allora partecipato dal Tesoro e ora sotto il controllo di Cdp, hanno preferito andare avanti per la loro strada, convinti di essere nel giusto.
Eppure, come detto, la Ue, consapevole che la crisi aveva messo a dura prova Sace Bt e tutti gli assicuratori del credito, aveva provato a tendere una mano alle autorità italiane e alla stessa Sace. Indicando un piano d’azione dettagliato che avrebbe potuto evitare la condanna, ridimensionando però al contempo anche l’attività di Sace Bt. In particolare le autorità italiane e la compagnia guidata da Alessandro Castellano avrebbero dovuto presentare a Bruxelles un «piano di ristrutturazione a tutti gli effetti» di Sace Bt entro il 30 marzo successivo. Un progetto molto dettagliato che avrebbe dovuto dimostrare che Sace Bt «sarebbe stata in grado di operare senza nessun altro sostegno di Stato e, alla fine del piano, sarebbe stata in grado di generare un tasso di ritorno adeguato».
Non solo. La società avrebbe dovuto dimostrare che gli aiuti di Stato ricevuti sarebbero stati «limitati a quelli indispensabili per rimettere in carreggiata Sace Bt», senza «consentirle di espandersi in altri mercati o nuovi segmenti di mercato». Anzi, per mitigare gli effetti distorsivi degli aiuti, Bruxelles consigliava Sace Bt di «includere una lista di misure utili per ridurre la presenza sul mercato». Vincoli che evidentemente non sono stati graditi dalle autorità italiane e dal management della società che lo scorso marzo, quando la Ue ha pubblicato la condanna hanno anzi ribadito di «aver sempre agito nel pieno rispetto delle regole di mercato, della concorrenza e senza avvalersi di alcun trasferimento del Mef». Per sapere se la scelta è stata vincente non resta che attendere l’esito dei previsti ricorsi. (riproduzione riservata)