Conquistare la fiducia dei Paperoni permette alle banche di contare su depositi stabili, su un notevole bacino di raccolta e di compensare il calo dei margini nell’attività bancaria tradizionale. Ecco perché banche e reti di promotori stanno puntando sempre di più sul business del private banking.
Anche se gli italiani, da sempre popolo di risparmiatori, oggi fanno più fatica ad accumulare nuova ricchezza. L’osservatorio 2012 dell’Aipb, l’Associazione italiana private banking, evidenzia infatti che per la prima volta l’anno scorso c’è stato un segno negativo nel valore della quota della nuova ricchezza prodotta, anche se l’andamento positivo dei mercati finanziari ha portato comunque a una crescita del valore totale dei portafogli delle famiglie benestanti italiane. «A frenare la crescita della ricchezza è stato l’andamento dei flussi di risparmio per effetto della diminuzione del reddito disponibile particolarmente accentuata nelle componenti che concorrono alla formazione di risparmio nelle fasce più ricche della popolazione», spiegano da Aipb. «Il cedimento della produzione industriale e la conseguente caduta degli utili d’impresa ha costretto inoltre una parte degli imprenditori a trasferire ricchezza personale nelle imprese familiari». Nonostante questo per l’industria del private banking resta centrale il tema della crescita e soprattutto la spinta a conquistare i Paperoni ancora non serviti da banche private. «Se poniamo uguale a cento il totale delle famiglie potenzialmente private in Italia, vediamo che l’8% dei nuclei familiari viene servito esclusivamente dal private banking, il 32% afferma di avere il private come proprio centro finanziario principale, il 14% lo utilizza in modo secondario e addirittura il 46% non se ne serve», dicono dall’associazione.
In particolare, «considerando le possibilità di crescita del segmento, l’elemento che attira l’attenzione degli operatori è la quota di attività finanziarie destinata agli operatori non propriamente di private banking, pari al 36% di chi utilizza il private principalmente e al 60% di coloro che lo utilizzano in modo secondario», continua l’Osservatorio. Quindi «oltre a contendersi l’8% di clienti che hanno ben compreso e sposato il private come unico modello a cui fare riferimento, ci sono alcuni elementi di competizione fondamentali proprio interni al private banking e tra il private e altri operatori». Non solo. C’è poi la necessità di intercettare i benestanti che per ora non sono serviti da operatori specializzati. «C’è ancora una grande quota del 46% dei nuclei familiari potenzialmente private che non si servono dal private banking ma che distribuiscono i propri investimenti in altre strutture», si legge nello studio Aipb. Così il tentativo degli operatori di strapparsi quote di mercato si fa sempre più marcato. Anche perché sono scese in campo le grandi banche estere, che negli ultimi due anni hanno approfittato dei timori dei vip italiani per crescere. La concorrenza tra i big internazionali si sta facendo più agguerrita. Schroders ha appena acquisito Cazenove lanciando così un gruppo di primo piano nella gestione patrimoniale. Anche le banche svizzere reagiscono alla lotta ai paradisi fiscali ingaggiata dai governi in tutto il mondo che minaccia l’appeal della piazza elvetica. A fine marzo infatti Credit Suisse ha rilevato le attività di wealth management (gestione del patrimonio) di Morgan Stanley nell’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa), esclusa la Svizzera. La divisione ha finora consentito a Morgan Stanley di gestire asset per oltre 13 miliardi di dollari tra Regno Unito, Italia e Dubai. «L’acquisizione», spiega Credit Suisse, «rafforza la presenza nei mercati dell’area dove ci sono prospettive di crescita significativa, come Regno Unito, Italia, Scandinavia, Russia e Medio Oriente». Questa acquisizione «conferma la crescita di Credit Suisse nel private banking e in Italia», dichiara Giorgio Riccucci, capo della Market Area Italy per Credit Suisse Private Banking. Un Paese, l’Italia, «che resta centrale nella nostra strategia europea», aggiunge Riccucci. D’altra parte anche i grandi istituti di credito italiani sono tornati a puntare sulla gestione del risparmio per compensare il calo dei margini sulla tradizionale attività bancaria. Per le private bank italiane la sfida resta quella di crescere nella raccolta in un mercato dove la raccolta dai clienti già acquisiti non arriva più con la facilità del passato a causa della crisi. Proprio le difficoltà dell’economia stanno spingendo molti imprenditori a concentrarsi sul proprio patrimonio famigliare. Di qui la domanda in crescita da parte dei Paperoni di gestori in grado di proteggere i patrimoni accumulati in una vita. In questo contesto la strategia seguita dalle private bank per ottenere nuovi flussi passa dal reclutamento. «Più c’è crisi più le private bank sono costrette ad assumere banker per crescere», commenta Marco Mazzoni, fondatore di Magstat, società di consulenza nel private banking, «e oggi i professionisti di questo settore sono attratti soprattutto dalle boutique o dalle banche estere perché in queste realtà si sentono più premiati». (riproduzione riservata)