La richiesta di fallimento avanzata dalla procura di Milano per le holding Sinergia e Imco – le casseforti delle partecipazioni assicurativa e immobiliare della famiglia Ligresti – segna un punto di svolta nella storia del salvataggio di Fonsai. Una brutta storia, costellata dal peggio che il cosiddetto capitalismo di relazione italiano è in grado di produrre – dai conflitti d’interesse alle operazioni con parti correlate sino a una gestione, anche finanziaria, quantomeno allegra e faziosa, il tutto a svantaggio dei piccoli azionisti. Una storia, peraltro, di cui ben pochi dei soggetti coinvolti possono dichiararsi sorpresi. Non gli amministratori e l’azionista di comando, ovviamente, ma nemmeno gli organi di controllo. Quelli interni, con il collegio sindacale che, dopo anni di sonnacchiose vidimazioni notarili dei conti, si è risvegliato denunciando che la stalla era aperta quando i buoi erano ormai persi oltre l’orizzonte; e quelli istituzionali. Consob e Isvap in testa. Secondo gli osservatori la richiesta del Pm, che spalanca le porte anche alla possibilità di procedere per bancarotta, potrebbe smuovere le acque, favorendo un punto d’incontro tra le parti in causa. Ma gli interessi in gioco sono numerosi e in alcuni casi confliggenti. E non riguardano solo l’ingegnere di Paternò e i suoi eredi, Unipol e le banche creditrici, ma anche la Borsa, i piccoli azionisti e il mercato assicurativo di cui i clienti Fonsai e Milano sono una fetta non trascurabile, nonché i lavoratori delle compagnie. Il tempo – tra litigiosità vera o tattica e divergenze di valutazioni – stringe ora più che mai e la posta in gioco è alta.
La situazione riporta alla mente quanto avvenne poco meno di tre anni fa con Risanamento, la società immobiliare che fu di Luigi Zunino, il cui debito bancario fu convertito in equity proprio per dribblare l’istanza di fallimento. A differenza di allora, oggi il potenziale «compratore» gradito a gran parte dei portatori d’interessi c’è; ma chissà come reagirebbe l’Antitrust di fronte alla prospettiva di un crac di notevole portata in alternativa a una deroga delle regole di concorrenza, visto che Mediobanca, già azionista di riferimento di Generali, è anche il primo creditore di Fonsai con un bond subordinato di oltre un miliardo, in parte convertibile.