di Andrea Di Biase
Ogni ora che passa si fa sempre più complicata la trattativa tra Unipol, Fondiaria-Sai e Milano Assicurazioni sui concambi per la fusione che dovrebbe essere la tappa conclusiva del piano di integrazione messo a punto dalla compagnia bolognese e apertamente sostenuto da Mediobanca e Unicredit. L’accordo, che secondo gli auspici del fronte riunito attorno a Unipol avrebbe dovuto essere raggiunto entro domenica sera, non è ancora stato trovato e anzi, dopo la riunione di ieri del cda di Premafin (convocato a sorpresa dal presidente Giulia Ligresti), i nodi da sciogliere sembrano ancora più intricati. Se infatti fino a venerdì sera a esprimere un giudizio di incongruità sui concambi fissati da Unipol (0,195 euro per ciascun titolo Premafin pari a una valorizzazione del titolo FonSai di 3,38 euro, tale da garantire a Unipol almeno il 66,7% della compagnia post-fusione) erano stati i cda di Fondiaria-Sai e quello di Milano Assicurazioni e i rispettivi comitati di amministratori indipendenti, da ieri anche il board di Premafin ha manifestato le proprie perplessità sulle valutazioni previste per la fusione. Il cda della holding, che lo scorso 16 aprile aveva dato via libera all’aumento di capitale da 400 milioni riservato a Unipol proprio al prezzo di 0,195 euro per azione, evitando tuttavia di fornire valutazioni sui concambi, ha recepito le perplessità espresse dal comitato per le operazioni per le parti correlate. Nel parere fornito al consiglio, il comitato, assistito dall’advisor Maurizio Dallocchio, ha infatti ritenuto che «la valutazione relativa implicita nell’offerta pervenuta da Unipol, anche così come successivamente dettagliata nelle sue varie componenti, allo stato non è convergente con le risultanze degli advisor». Se il nodo del contendere era stato finora proprio la presenza di Premafin nella fusione e gli impatti negativi per gli azionisti di minoranza di Fonsai e Milano legati sia all’apporto nella nuova compagnia del debito da 368 milioni sia al diritto di recesso garantito da Unipol ai soci della holding (principalmente le società della famiglia Ligresti), ora il focus potrebbe spostarsi su altri temi, quali la stessa valutazione di Unipol Assicurazioni. I presupposti per un accordo, che ancora fino a ieri mattina sembrava alla portata, potrebbero ora essere più lontani. Non sembrano infatti in vista riunioni decisive dei consigli di amministrazione delle varie società coinvolte. Di certo non quello di Unipol, che secondo indiscrezioni poi smentite avrebbe potuto tenersi già oggi, mentre il board di Fondiaria-Sai, se ce ne sarà il tempo, potrebbe riunirsi dopo l’assemblea odierna a Torino (i lavori inizieranno alle 11) ma solo per un aggiornamento. Si tratterà, tuttavia, di un nuovo cda (l’assemblea è chiamata a rinnovare integralmente gli organi amministrativi) in cui siederà, con ogni probabilità, anche il rappresentante di Sator e Palladio (Salvatore Bragantini). I due investitori, forti del loro 8%, dovrebbero anche riuscire anche a nominare il presidente del collegio sindacale. Sator e Palladio, che si oppongono al tentativo di Unipol, potrebbero avere dunque qualche arma in più da utilizzare per mettersi di traverso all’operazione. Difficilmente, però, se l’opzione Unipol dovesse saltare, i due investitori avranno l’opportunità di portare avanti il loro piano di risanamento di Premafin. Senza l’accordo delle banche, a partire da Unicredit e Mediobanca sulla ristrutturazione del debito della holding, anche la proposta di ricapitalizzazione da 450 milioni avanzata da Matteo Arpe e Roberto Meneguzzo potrebbe essere insufficiente a riportare in equilibrio la situazione patrimoniale di Premafin. Il rischio è che, nel caso in cui l’accordo siglato tra la holding e Unipol perdesse efficacia, la Procura di Milano possa avanzare istanza di fallimento anche per Premafin è elevato. Ciononostante all’interno della famiglia Ligresti ci sarebbe chi continua, pur di fronte alla consapevolezza di essere in un vicolo cieco, ad alzare la posta, mettendo a rischio l’intera operazione di salvataggio. Un ostruzionismo di cui non si capisce la reale finalità ma che potrebbe avere gravi ripercussioni anche sulle stesse banche. Mediobanca, in particolare, che fin dall’acuirsi della crisi di FonSai ha assunto il ruolo di regista delle operazioni, potrebbe subire forti contraccolpi, non solo in termini patrimoniali, essendo esposta per oltre 1 miliardo verso la compagnia, ma anche in termini di assetti manageriali. Se la fusione Unipol- FonSai dovesse saltare i critici del presidente Renato Pagliaro e dell’ad Alberto Nagel avrebbero nuove frecce al proprio arco per mettere in discussione la gestione di Mediobanca. Sull’operazione rimane infine l’incognita delle authority. Oggi è in agenda una riunione della commissione della Consob, che non avrebbe però all’ordine del giorno la risposta al quesito sull’esenzione dall’opa avanzato da Unipol, ma invocata anche da Sator e Palladio. (riproduzione riservata)