Nessuna responsabilità per aggiotaggio a carico dei manager delle banche coinvolte nel crack Parmalat; esclusa la punibilità delle rispettive banche ai sensi della legge 231 del 2001. Lo ha stabilito ieri la seconda sezione del Tribunale di Milano ieri al termine del giudizio che vedeva coinvolte quattro importanti banche estere (Deutsche Bank, Citigroup, Bank of America e Morgan Stanley) per presunte responsabilità nel crac di Parmalat.
I giudici milanesi, chiamati a decidere sulle accuse di aggiotaggio informativo al mercato hanno assolto le i manager delle banche per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussiste.
In altri termini, secondo il Tribunale milanese i manager non avrebbero «gonfiato» il titolo Parmalat oltre il proprio reale valore di mercato.
La pronuncia di assoluzione per i manager fa, di conseguenza, cadere anche le accuse a carico delle rispettive Banche estere di aver violato la legge 231 del 2001 che, come noto, impone l’adozione di modelli organizzativi per prevenire i reati commessi dai dipendenti con interesse o un vantaggio dell’azienda. Banche e banchieri tirano un respiro di sollievo.
La Procura della Repubblica, infatti, al termine della requisitoria il 17 gennaio scorso, aveva chiesto, ai sensi della legge 231 del 2011, la condanna degli istituti di credito a una sanzione di 900 mila euro ciascuno e la confisca di 120 milioni di profitti ritenuti illeciti: in particolare, 14 milioni di euro a Deutsche Bank, 70 milioni di euro a Citigroup, 30 milioni e 705 mila euro a Bank of America e 5,9 milioni di euro a Morgan Stanley. Pesanti erano anche le richieste di condanna avanzate dalla Procura nei confronti dei manager delle banche che arrivano sino a un anno e quattro mesi di reclusione. Fortemente penalizzati ne escono invece i risparmiatori che vedono allontanarsi la possibilità di essere risarciti (almeno dalle banche assolte dal Tribunale di Milano) per i danni derivanti dall’acquisto di titoli (azioni od obbligazioni) Parmalat. L’eventuale sentenza di condanna avrebbe, infatti, spianato la strada alle richieste di danni eventualmente avanzate in sede civile da parte dei singoli risparmiatori o comunque agevolato la definizione di accordi stragiudiziali tra banche e investitori. La sentenza, le cui motivazioni verranno depositate nei prossimi mesi e che pertanto non sono ancora note, costituisce certamente un precedente importante nel panorama della giurisprudenza italiana in materia di reati di market abuse ma soprattutto in tema di responsabilità penale d’impresa. Tale forma di responsabilità, introdotta in Italia con la legge 231 del 2001, festeggia proprio quest’anno i suoi primi dieci anni di vita ed è ora oggetto di una probabile riforma organica che dovrebbe condurre a un’inversione dell’onere della prova. Ciò significa che, in futuro (se passerà la legge di riforma), sarà la Procura a dover dimostrare che il modello organizzativo adottato dall’azienda non era efficace e adeguato e non il contrario come invece avvenuto sino ad oggi e quindi anche nel caso esaminato dal Tribunale di Milano con la sentenza di ieri. Va ricordato, peraltro, che già nel recente passato il Tribunale di Milano si era espresso sulla materia della 231 in connessione con il reato di aggiotaggio. Anche in quella occasione la banca venne assolta dal Tribunale per motivi diversi. A differenza di quanto avvenuto ieri, in quel caso la banca era stata assolta perché aveva adottato un modello organizzativo considerato efficace in quanto conforme alle linee guida adottate dalle associazioni di categoria (Abi e Confindustria) e approvate dal ministero della Giustizia. Nella sentenza di ieri non è invece dato a sapere se i modelli 231 erano stati adottati dalle banche e se erano stati fatti conformi alle sopra citate linee guida. Per saperlo bisognerà quindi attendere di leggere la sentenza completa di motivazioni. Certo è che una sentenza di condanna delle banche avrebbe cambiato completamente lo scenario anche e soprattutto per i soci e quanti hanno investito nei titoli delle banche estere coinvolte nel crac. Una loro sentenza di condanna ai sensi della legge 231 del 2001 avrebbe infatti aperto le porte anche a eventuali richieste di risarcimenti diretti nei confronti degli amministratori (e forse anche i sindaci) delle banche per non aver fatto quanto a loro richiesto dalla legge.