Ingeneroso prendersela con la gestione separata dell’Inps. A conti fatti e a parità di reddito, rende meglio di qualche cassa professionale, poco meno rispetto ai lavoratori subordinati e qualcosa in più rispetto ai lavoratori autonomi (commercianti, artigiani). Parliamo di pensioni: oggi, con il sistema contributivo che fa da «calcolatore delle rendita» in ogni settore, quanto viene versato durante la vita lavorativa alla fine è convertito in assegno di pensione. Più si paga e più si ottiene.
Sotto questo aspetto, l’iscritto alla gestione separata versa un contributo per la pensione del 26%; poco meno (-6%) rispetto ai lavoratori dipendenti per i quali le aziende pagano il 33% così ottenendo pensioni di un certo valore; quasi il doppio rispetto al professionista che versa alla cassa professionale tra il 10 e il 15%; poco più (+6%), infine, rispetto agli artigiani e ai commercianti che pagano il 20%.
Il problema, semmai, è un altro. Diversamente da tutte le altre categorie di lavoratori, gli iscritti alla gestione separata non devono osservare nessun minimale di contribuzione: il reddito è di 10, 100 o 1.000 euro si paga sempre e solo quanto risulta dal prodotto dello stesso reddito con l’aliquota contributiva (26,72% oppure 17%).
Ma ai fini dell’accredito contributivo, per aver diritto a «un anno» di anzianità contributiva piena, utile per la pensione, deve risultare versato un contributo non inferiore a 3.784,00 euro per chi versa il 26,72% ovvero a 2.473,84 euro per chi versa il 17% (dati per il 2011). Per esempio, di due lavoratori a progetto, uno con compenso mensile di 1.220 euro e l’altro di 610 euro, il secondo dovrebbe ipoteticamente lavorare 80 anni per avere diritto alla pensione con l’anzianità contributiva di 40 anni che il primo, invece, ottiene dopo 40 anni di lavoro.
La gestione separata Inps. Nasce come gestione assicurativa a carattere residuale, vale a dire con lo scopo di assicurare e garantire, dal punto di vista previdenziale, prestazioni ai soggetti che, pur possedendo redditi, non risultano coperti da nessuna tutela pensionistica a motivo della natura delle attività svolte.
In via di principio, soggetti al prelievo contributivo da tale gestione separata sono tutti (e solo) i redditi non imponibili presso un diverso ente previdenziale (Inpgi o Inpdap per esempio), né presso alcuna cassa professionale (Inarcassa, cassa forense, cassa commercialisti ecc.) e neanche presso altre gestioni dello stesso Inps (per esempio, commercianti). In origine venne prevista una sola aliquota di contribuzione (e di calcolo della pensione) pari al 10% (da cui ne uscì la nomea di «popolo del 10%). Oggi, invece, i pensionati e i soggetti iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria versano il 17%; gli assicurati principali, cioè i soggetti che non risultano iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria e che non sono neppure pensionati, pagano il 26,72% (si veda tabella).
La gestione separata «assicura» tre tipologie di rapporti di lavoro: quello autonomo (professionisti senza cassa, per esempio), quello parasubordinato (le co.co.co., il lavoro a progetto) e quello di associazione in partecipazione. Per i professionisti l’onere contributivo è tutto a loro carico, salvo la possibilità di rivalsa ponendo in fattura un 4% in addebito che fa reddito (da non confondere con il contributo integrativo che si versa per gli assicurati presso casse professionali). La ripartizione dell’onere contributivo tra collaboratore e committente (parasubordinati) è fissata in misura rispettivamente di un terzo e due terzi; nel caso di associazione in partecipazione, infine, la ripartizione tra associante e associato è in misura pari rispettivamente al 55 e al 45% (si veda tabella).
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