I soci si preparano a chiedere conto dei costi troppo elevati degli stipendi e di alcune criticità della gestione che già avevano indispettito Del Vecchio e Bolloré. Per «Les Echos» la poltrona del finanziere bretone è a rischio
di Gaia Giorgio Fedi – 30-04-2011
ASSEMBLEE/1 Non sarà un’assemblea come tutte le altre per Generali e non solo perché sarà presieduta da un presidente (Gabriele Galateri di Genola) diverso da quello nominato solo un anno fa (Cesare Geronzi). I fondi si preparano infatti a dare battaglia sulla gestione del gruppo e sulle remunerazioni. Su quest’ultimo aspetto alcuni azionisti sarebbero addirittura pronti a votare contro uno dei punti dell’ordine del giorno, quello relativo alla «presentazione della relazione illustrativa sulla politica di remunerazione del management della società e del gruppo» (si legga l’articolo di F&M del 29 aprile). Una voce di costo assai pesante per il gruppo triestino, non soltanto per lo stipendio e la liquidazione stellari di Geronzi, che per meno di un anno di lavoro ha ottenuto una buonuscita di 16,6 milioni. Agli amministratori, per esempio, spetta un compenso fisso di 100.000 euro annui e di 150.000 euro per i componenti del comitato esecutivo, con un gettone di presenza di 4.000 euro per ogni riunione del board. Per fare un confronto, la concorrente Allianz dà ai membri del consiglio di sorveglianza 50.000 euro annui, con gettone di presenza di 500 euro a riunione.
Il tema non è nuovo e potrebbe trasformare l’assemblea 2011 in una riedizione dell’appuntamento del 2007, quando il fondo Algebris scese in campo chiedendo a gran voce cambiamenti della governance, della politica sulle partecipazioni e sulla remunerazione dei vertici. Algebris in quell’occasione ne uscì sconfitta, ma molti di quei temi restano attuali. Inoltre, oggi Generali non è più il monolito d’interessi convergenti che era allora. Certo, dato lo stile «asburgico» che contraddistingue gli ambienti del Leone è poco probabile che l’assemblea si trasformi nel ring di scontri sanguinosi. Anche se nelle ultime settimane qualche intemperanza, soprattutto a mezzo stampa, c’è stata. Ma le recenti tensioni all’interno dell’azionariato e la nuova normativa Ue, che facilita la partecipazione in massa di fondi e investitori istituzionali, autorizzano a credere che si tratterà probabilmente di un’assemblea lunga, sicuramente intensa, che potrebbe creare qualche sudore freddo soprattutto a Giovanni Perissinotto. Del resto, non si può negare la delusione di alcuni sull’andamento del titolo e sulla performance del core business assicurativo. Il total return del titolo Generali negli ultimi cinque anni è stato negativo per il 39,85%, peggiore rispetto alla concorrente Allianz (-13,83%) e ad Axa (-36,2%). Mentre l’attività assicurativa negli ultimi anni ha registrato una crescita del combined ratio (somma dell’incidenza della sinistralità e delle spese di amministrazione, quanto più è basso tanto più indica l’efficienza del ramo danni) dal 95,8% del 2007 al 98,8% del 2010: più alto di quello di Allianz, che si attesta al 97,2%, ma migliore di quello di Axa a quota 99,1.
In questo quadro, Perissinotto rischia di diventare il parafulmine dello scontento in azionariato. È vero che di recente sono arrivate delle dichiarazioni distensive nei suoi confronti: la scorsa settimana Lorenzo Pellicioli, presidente di DeA Capital e consigliere del Leone, ha dichiarato che su Perissinotto «non c’è nessun esame da fare» e alcuni giorni dopo il vicepresidente Francesco Gaetano Caltagirone ha detto che ora le Generali «possono andare avanti con concordia», che il management «ora ha una delega in più (la comunicazione, che prima spettava a Geronzi, ndr) e sarà più armonico». Mentre è stato più apparente che reale l’endorsement arrivato dal patron di Luxottica Leonardo Del Vecchio, che si era dimesso proprio lamentando l’impossibilità di incidere realmente nella gestione, contrariato da alcune mosse di Perissinotto relative a operazioni immobiliari in Francia (la costruzione della Tour Generali nel quartiere parigino della Defense) e all’acquisizione di una quota nella banca russa Vtb. Due giorni prima dell’assemblea il patron di Luxottica aveva detto che con l’arrivo del nuovo presidente Galateri – peraltro senza deleghe, quindi in teoria incapace di incidere sulla gestione – probabilmente Perissinotto «migliorerà anche lui, lo spero». Parole che lascerebbero supporre come la delusione nei confronti del ceo non sia ancora passata.
I problemi della gestione avevano del resto già creato uno scossone quando Vincent Bolloré, critico sulle opacità della joint venture con il gruppo ceco Ppf di Petr Kellner, aveva deciso di non votare il bilancio. Una mossa che, secondo Les Echos, ha determinato una frattura insanabile all’interno del Leone, che metterebbe addirittura a rischio la vicepresidenza di Bolloré e perfino la sua permanenza in Italia, in cui da anni è un azionista forte del patto Mediobanca. Per il giornale francese, il finanziere bretone sarebbe ormai inviso all’establishment finanziario italiano, mentre Unicredit si starebbe preparando ad accrescere il suo potere nel Leone. La situazione, insomma, sarebbe più calda che mai e sulle rive di Trieste sembra ormai ovvio che si stiano tessendo le trame di un nuovo equilibrio sull’asse Unicredit-Mediobanca-Generali.