Amianto, pubblicato l’ottavo rapporto del Registro nazionale dei mesoteliomi che riporta, analizzando cause e incidenza, le informazioni relative a oltre 37mila casi di mesotelioma diagnosticati tra il 1993 e il 2021

L’impatto delle malattie correlate all’esposizione ad asbesto è ancora rilevante in Italia, malgrado siano trascorsi oltre 30 anni dal bando del 1992 di ogni forma di estrazione, lavorazione, commercializzazione ed esportazione di amianto. L’ottavo rapporto del Registro nazionale dei mesoteliomi, pubblicato dal Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’Istituto, esamina 37.003 casi di mesotelioma diagnosticati nel periodo 1993-2021.

Fino al bando introdotto dalla legge 257 del 1992, l’amianto è stato utilizzato in maniera intensa in un vasto spettro di attività industriali e nell’edilizia residenziale, in ragione delle sue caratteristiche di estrema duttilità e capacità isolante. L’esposizione a fibre aerodisperse di tutte le varietà di amianto è causa di malattie gravi come il mesotelioma della pleura, del peritoneo, del pericardio e del testicolo. Malattia che può essere diagnosticata molti anni dopo dall’inizio dell’esposizione, fino e oltre i 40 anni di latenza.

Il rapporto ReNaM riferisce di 37.003 casi registrati nel periodo 1993-2021. Per oltre 29.000 di essi sono state analizzate le modalità di esposizione causali per la malattia.

Oltre il 50% sono stati registrati fra i residenti in Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia-Romagna (57%).

La sede anatomica di insorgenza della malattia è la pleura per il 93,1% dei casi e l’età media alla diagnosi è di 71 anni, mentre il 72,1% dei casi archiviati è di genere maschile.

Il volume riporta le schede sintetiche per ciascun settore di attività economica coinvolto nell’esposizione e il catalogo dell’uso di amianto nei comparti produttivi, nei macchinari e negli impianti, per come è stato possibile ricostruire sulla base dei dati di sorveglianza e delle informazioni disponibili dalla letteratura scientifica.

Nell’insieme dei casi con esposizione definita, pari a 29.020 soggetti, il 68,9% presenta un’esposizione professionale, il 5,1% familiare, il 4,4% ambientale, l’1,5% per attività di svago o hobby. Per il 20% dei casi l’esposizione è stata classificata come improbabile o ignota.

Considerando l’intera finestra di osservazione (1993 – 2021), e relativamente a quei casi con attribuzione di esposizione ad origine professionale, i settori di attività maggiormente coinvolti risultano l’edilizia (16,5% del totale della casistica), e l’industria pesante, in particolare la metalmeccanica (8,9%), e la metallurgia (4,1%), ma il quadro è estremamente variegato e frazionato con la presenza di numerosi ambiti produttivi nei quali l’esposizione è avvenuta per la presenza del materiale nel luogo di lavoro e non per uso diretto (attività portuali, zuccherifici, industria chimica, della plastica, della produzione, riparazione e manutenzione degli autoveicoli).